È tempo di turarsi il naso ma non per andare a votare


In molti mi stanno dando ragione. Me lo vengono a dire, qualcuno perfino scusandosi per non averlo fatto prima o avermi girato le spalle quando, anni addietro, prefiguravo le macerie odierne. Sono donne e uomini che, da allora, sono rimasti protetti nelle istituzioni repubblicane o nel mercato del lavoro assistito.
Sono ore terribili per la Repubblica e molti sono pentiti di non aver fatto tutto quello che si poteva fare per non arrivare disarmati alla fase. Andrebbero sfanculati (vi va bene il verbo?) ma come si è visto la formula non ha portato buona sorte.
La scelta, pur vecchio e stanco come sono e soprattutto mi sento, è quella di rimuovere la coda di sentimenti personali e qualche spiacevole ricordo e accogliere tutti, forti come siamo di una visione che mai mai mai ci ha abbandonato. Visione che parla prima di doveri e poi di diritti. Visione mazziniana che mi ha portato fino alle estreme conseguenze organizzative in cui vivo e ho fatto vivere i miei cari. Prima i doveri quindi perché ora è tempo del dovere dell’azione e di farsi, ancora di più di quanto, riservatamente, abbiamo fatto, coscienza critica ed esempio di come affrontare la fase. Guardiamoci intorno.

L’Italia (questo penso sapendo come è ridotta quella che avrebbe dovuta essere la sua anima profonda cioè le agenzie di intelligence e il loro coordinamento) si sta decomponendo come fosse rosa da una lebbra perché, non solo manca di principi ideali, ma le guerre tra bande stanno assumendo forme mai viste (ed è tutto dire!) nella storia della Repubblica. Oggi però (e questo è il paradosso che deve far riflettere e far prendere decisioni) nessuno ha più bisogno di uccidere il consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici (e con lui il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato dell’Arma Salvatore Bartolotta e il cittadino Stefano Li Sacchi), inaugurando la stagione stragista con le auto imbottite di tritolo, perché evidentemente la criminalità ha altro da fare che perdere tempo con uno Stato in dissoluzione.

Il M5S non è riuscito nell’intento di infondere nel vecchio corpo dell’Italia un’anima nuova. Anzi. E quando dico Italia potrei circoscrivere ai “servizi”. I grillini  avrebbero dovuto partire dai servizi  e dal COPASIR e invece lì si sono subito arresi se non appecoronati. Se non si sono addirittura fatti corrompere.

I Grillini avrebbero dovuto mettere in moto un rinnovamento morale illuminando ai cittadini lasciati confusi dai grandi mascalzoni che avevano guidato la partitocrazia per decenni, i più profondi abissi ai confini delle stelle (a cominciare dalle loro cinque più tutte le altre del sistema universale) mancando il compito e lasciando anzi la notte nera nei loro cuori: mai vista tanta gente che odia e sparla come loro dei colleghi. Sembrano AISE e AISI + ovviamente DIS.

Tutte le energie dell’intelletto grillino e dei loro esperti consigliori (a cominciare da De Masi, finendo a Giannuli) andavano indirizzate verso il motto: educatevi (e si è visto a che docenti Grlllo e Di Maio decisero di rivolgersi) e disciplinatevi. Invece al massimo Rocco Casalino ha provato a insegnare agli ignari parlamentari mossette a fine televisivo.

Quando il MoVimento ha assunto il potere (più di quello che avete avuto?) c’era un paese (e con lui le agenzie di intelligence) che si reggeva sull’illecito. Ormai Di Maio e compagnia tendono a zero e lasciano un paese che si regge sull’illecito. Solo che, cosa non minore, nel frattempo Putin ha innescato la guerra calda in Europa e il clima sta facendo il resto. Mentre si intravedono le sagome di un Unno o due, poco distante c’è un Gallo, forse Edueno, che immerge audacemente i piedi nella fresca corrente (fino a quando ci sarà acqua) e si disegnano all’orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. In quella che potrebbe ancora sembrare Europa, i Normanni bevevan calvadòs. Quando arrivarono i grillini la scena era sostanzialmente quella. Al massimo oggi gli Unni cucinano bistecche alla tartara, i Gaulois fumano gitanes, i Romani disegnano greche, i Franchi suonano lire, i Saracineschi pervenuti chiudono persiane per non vedere ciò che accade. I Normanni bevono calvados.
Ed io ho deciso di turarmi il naso ma non certo per andare a votare.
Oreste Grani/Leo Rugens

Belloni-Gabrielli: la lotta di potere al vertice dell’intelligence

La scintilla è stata la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale. Da allora Franco Gabrielli e la direttrice del Dis sono impegnati in un duello politico ad alto livello, che non riguarda solo l’intelligence. E dice molto delle loro future ambizioni.
Andrea Muratore
Belloni-Gabrielli: la lotta di potere al vertice dell'intelligence
«Diplomatici e membri dell’intelligence? Difficilmente vanno d’accordo». Una fonte qualificata vicino al mondo degli apparati strategici dello Stato spiega così, dialogando con Tag43, l’origine del dualismo tra il sottosegretario Franco Gabrielli, autorità delegata alla Sicurezza della Repubblica, e l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, direttrice del dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis) che coordina l’attività delle agenzie. «Ma il punto cruciale non è questo. Il vero tema è il potere», sottolinea la fonte che commenta le dinamiche che stanno dividendo, negli ultimi mesi, le due figure apicali dell’intelligence italiana.

Lo scontro sul documento pubblicato dal Corriere
Il culmine dello scontro si è avuto nelle scorse settimane. Il Corriere della Serafa riferimento al Dis e ai servizi nel pubblicare un elenco di presunti “filorussi” attenzionati dagli apparati. Monta la maretta al Copasir e tra i servizi. Interviene Gabrielli, che a inizio giugno ha desecretato il documento del Dis, il cosiddetto Hybrid Bullettin, avvertendo di voler prendere provvedimenti contro le presunte “manine” interne che hanno fatto uscire le informazioni arrivate al quotidiano di Via Solferino. Evidente il suo obiettivo. Gabrielli ha preso due piccioni con una fava, da un lato mostrando la sua capacità di coordinamento con le agenzie, dall’altro mettendo indirettamente in imbarazzo Belloni i cui analisti hanno prodotto un report formalmente secretato ma che non contiene più informazioni sensibili o strategiche di quante non ne avrebbe potute raccogliere un analista con un’attività di open source intelligence tra blog, gruppi Facebook, chat Telegram. Ora, in prospettiva, la sfida di potere tra i due alti esponenti dei servizi italiani guarda al futuro assetto delle istituzioni nazionali.
Da Mario Draghi, sul punto di lasciare dopo il flop della candidatura al Quirinale, alle possibili dimissioni di Gabrielli: i retroscena sulla corsa al Colle
Elisabetta Belloni (Twitter)
Belloni e la partita Quirinale
Gabrielli e Belloni hanno entrambi grandi ambizioni politiche per il loro futuro, una dinamica emersa in particolar modo nella prima metà del 2022. A fare il primo passo l’ex Segretaria generale della Farnesina, accettando di essere coinvolta nella partita del Quirinale su proposta di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle che ha cambiato notevolmente gli assetti di potere nel mondo dell’intelligence. Un vero e proprio autogol per la donna che nei primi mesi del suo mandato era stata occhi e orecchie di Mario Draghi, venendo attivamente consultata nelle partite più calde per la normalizzazione dei servizi, come il delicato caso del pensionamento della “super-spia” Marco Mancini. Gabrielli ha inizialmente sofferto il protagonismo di una diplomatica divenuta zarina dell’intelligence capace di dare del “tu” al premier. Accomunato a Belloni dalla formazione gesuita e dall’indole tecnocratica, ha poi dato attuazione al suo ridimensionamento. Mentre Draghi giocava, senza successo, la partita del Quirinale e Belloni coltivava l’ambizione di insediarvisi, Gabrielli, d’intesa con il Colle e il Partito Democratico, oltre che l’appoggio esterno di Matteo Renzi, ridimensionava le aspirazioni presidenziali dell’ambasciatrice. Le mosse di Belloni finivano quotidianamente sui giornali diventando pubbliche, così come quelle dei partiti che avevano provato a promuoverne la causa, il M5s e in second’ordine la Lega di Matteo Salvini, anche lui intestatario del progetto annunciato come “la prima volta di una donna al Quirinale”.
Politica italiana - Belloni-Gabrielli: la lotta di potere al vertice dei servizi
Franco Gabrielli (Getty Images)
Le ambizioni dell’ex capo della protezione civile
Difficile non riconoscere dietro queste mosse la mano di Gabrielliil quale ha, del resto, non minori ambizioni. Gabrielli, come ricordato nella presentazione del suo libro Naufragi e nuovi approdi tenutasi alla Luiss School of Government il 25 marzo scorso, ha avuto nella sua vita due grandi amori professionali: la Polizia e la Protezione Civile. In entrambi i casi il funzionario di punta dei servizi italiani ha avuto il potere di plasmare in forma verticistica e centralistica gli apparati da lui diretti. Parlando a nuora perché suocera intenda, significa che l’ambizione sui servizi segreti è simile: verticalizzare la catena di comando, creare linee di fedeltà personale, consolidare un proprio “partito” nelle istituzioni. Cosa che, nel caso di Gabrielli, rappresenta il naturale proseguimento del sistema creato negli Anni 90 e 2000 dal suo predecessore Gianni De Gennaro. Il triangolo tra Polizia, servizi e consociativismo politico (vicinanza al centrosinistra ma apertura di credito notevole dal centrodestra) accomuna le due figure. Ma Gabrielli vuole ribadire il suo predominio nei rapporti di forza con Belloni anche perché coltiva ambizioni maggiori. «In prospettiva», dice a Tag43 un attento conoscitore del sistema dell’intelligence italiana, «Gabrielli aspira a fare il Presidente del Consiglio o, almeno, il ministro dell’Interno». In quest’ultimo caso il modello di riferimento è quello di Marco Minniti, autorità delegata alla sicurezza della Repubblica con Renzi e titolare del Viminale nel governo di Paolo Gentiloni. «Risponde a questa logica il suo sostegno al prolungamento dei mandati dei vertici di Aisi e Aise, che vuole avere come suoi alleati in questa scalata» dopo le elezioni del 2023. Gabrielli si immagina titolare del Viminale in un Draghi-bis e, in futuro, riserva della Repubblica. Ma per arrivare a questo ruolo serve presentarsi e accreditarsi come il garante della continuità operativa dell’intelligence, l’unico vero riferimento politico e operativo negli apparati e il portavoce degli interessi di sistema di fronte ai garanti dell’intelligence nazionale, gli Stati Uniti.
Italia - Belloni-Gabrielli: la lotta di potere al vertice dei servizi
Marco Minniti (Getty Images).
L’intelligence al centro del gioco politico
Troppo “europeista” Belloni, saldamente atlantico Gabrielli: questo uno degli schemi a cui si può aggrappare l’ex capo della Polizia per sgombrare il campo a suo favore. Ma in quest’ottica il dualismo tra i due insegna molto sullo stato di salute del potere italiano. Un Paese in cui l’intelligence diventa campo di battaglia, come troppo spesso è accaduto negli ultimi anni, è un Paese che va incontro a possibili riassestamenti del sistema politico-istituzionale e che deve cercare nuovi equilibri. L’intelligence rappresenta il potere delle informazioni sensibili, la porta dell’accreditamento internazionale e una garanzia d’influenza per chi, al suo interno, sa navigare con attenzione. Ma va ricondotta nel quadro di un saldo controllo istituzionale. Già Minniti, che gestì gli apparati in via molto più defilata e pragmatica, vide le sue ambizioni di leadership nazionale ridimensionate proprio per i mal di pancia registrati sulla sua continuità con intelligence e apparati di sistema. Con Belloni è accaduto lo stesso principalmente per l’intervento di un avversario, Gabrielli, che coltiva ambizioni simili. Fino a quando sarà sostenibile un dualismo del genere non è dato sapersi. Ma ora più che mai, mentre la posizione globale del Paese è messa a rischio per la guerra in Ucraina e le crisi economiche, energetiche e alimentari che si presentano all’orizzonte e mentre la sicurezza nazionale appare patrimonio comune della Repubblica e delle istituzioni l’unico obiettivo dei decisori dovrebbe essere la stabilità degli apparati e la loro corretta e serena operatività. Tertium non datur, pena un colpo ulteriore alla capacità d’azione del Paese nella tempesta che agita l’ordine mondiale.