Essere europei in tempo di conflitti armati

Raccolgo note biografiche di Karl von Clausewitz, sull’attualità dei suoi spunti e pensieri su ciò che lo aveva preceduto quale uno dei più grandi teorici militari di tutti i tempi. Lo faccio in una fase storica di transizione (in Europa e nel resto del Pianeta) in cui guerre e colpi di Stato potrebbero andare di moda anche alle nostre latitudini e inaspettatamente maturare nei nostri confini. Sempre tenendo conto che si potrebbe tornare a pensare che la guerra sia sostanzialmente la continuazione della politica con altri mezzi. Come ormai sappiamo pensare a Mosca il duo sanguinario Putin–Kirill.
Clausewitz e la sua centralità culturale quindi con il suo pragmatismo e la sua prosa a-morale che me lo fanno apparire quasi un “filosofo” della guerra e dell’impiego della forza. Sempre ricordando che la guerra non scoppia improvvisa e che la sua preparazione non è opera di un momento, perciò, ecco il grande teorico, ciascun avversario può giudicare l’altro, non da quello che a rigore dovrebbe essere o fare, ma da quello che è già e da quello che fa, mai dimenticando che la guerra in ogni caso non è un’attività autonoma, ma uno strumento della politica. Per questo una politica ai minimi termini come quella italiana ci deve allarmare quando ritiene di poter partecipare ad una guerra. Ci deve spaventare quello che accade a Roma perché la qualità del ceto politico tende a zero e non per ipocrita generico pacifismo di facciata.

La guerra, oltre che una scienza organizzativa, è infatti (così la pensiamo) una forma di pensiero dove comincia il giudizio. La guerra è certamente anche abilità “militare” ma soprattutto è un atto della vita sociale, è un conflitto di grandi interessi che senza il governo della politica e della diplomazia si risolve nel sangue. Se si sceglie la guerra si sa sempre cosa si sta “ormai” facendo.
Ormai è la parola che mai dovrebbe avere il sopravvento.
Oreste Grani/Leo Rugens

ESSERE EUROPEI IN TEMPO DI CONFLITTI
L’epoca in cui Karl von Clausewitz (1780-1831) muove i suoi primi, precoci passi di soldato è caratterizzata, in Europa, dalle ripercussioni della Rivoluzione francese. Dopo la presa della Bastiglia e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (1789), attraverso il Terrore (1793-1794) e il Direttorio (1795 1799), la Francia, tra mille contraddizioni, irradia la sua carica innovativa verso gli stati limitrofi: il progetto di abolizione dell’assolutismo e del feudalesimo in tutto il continente, unito alla rivendicazione delle Alpi e del Reno come confini naturali, portano alla Prima guerra di coalizione (1792-1797) contro l’Austria, la Prussia, la Gran Bretagna e altre potenze europee. A partire dalla Campagna d’Italia (1796-1797), l’astro nascente di Napoleone, il gioco alterno delle alleanze e sanguinosi conflitti segneranno quest’epoca cruciale, conclusasi con il Congresso di Vienna (1814-1815) e la Restaurazione.
Un nuovo modo di vedere, politico e strategico, sarà stato diffuso in Europa dalle armate napoleoniche: sentimento di patria, servizio militare obbligatorio, promozioni degli ufficiali in base al merito e non per provenienza sociale; superamento della tattica settecentesca (geometrica e astratta), della guerra di posizione e di logoramento, a favore di una strategia senza schemi, giocata in grandi battaglie risolutive.
Sul piano delle idee e dell’espressione artistica siamo nel periodo, altrettanto contraddittorio, che vede sorgere fremiti d’insofferenza nei confronti dell’Illuminismo, proprio mentre quel grande movimento di pensiero sta consegnando alla Storia i suoi frutti. È la Germania, questa volta, a riverberare sull’Europa la sua nascente sensibilità: nato dal movimento dello Sturm und Drang (1770-1785 circa), sostenuto poi dalla riflessione teorica dell’idealismo (Fichte, Schelling), il romanticismo tedesco propugna il ritorno al sentimento e la ribellione al razionalismo dei Lumi, si richiama alla tradizione cristiana e medievale, riscopre Shakespeare; considera la vita come un perenne divenire e la poesia come uno slancio dell’anima verso l’infinito, sviluppando il culto dell’io e del genio individualista. Dai Dolori del giovane Werther di Goethe (1774) alla poesia di Novalis, dai saggi dei fratelli Schlegel al teatro di Kleist, si assiste alla fioritura di una grande letteratura tedesca, che raggiungerà i paesi latini grazie all’opera di Madame de Staël (De l’Allemagne, 1810).
Con il suo rifarsi alle tradizioni popolari, il romanticismo diffonde inoltre in Germania un sentimento nazionale; nonostante le sue connotazioni non univoche (cui fa riscontro una situazione politico-territoriale frammentaria), tale anelito conosce un momento di orgogliosa vitalità durante l’occupazione napoleonica, e trova espressione nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte (1808).Quanto alla Prussia e alla sua vita politica, sociale e militare, per cogliere il significato degli anni in cui Clausewitz stesso si trova a essere protagonista (a partire dal 1807) bisogna prima fare un cenno all’ordinamento statale paese, lasciato da Federico II il Grande (1740-1786). Il potenziamento della macchina bellica, una politica espansionistica e il conseguimento, per il del ruolo di potenza europea sono stati gli obiettivi primari di quel sovrano. Il suo dispotismo illuminato non ha messo in discussione i rapporti fra le classi e non ha intaccato il potere degli Junker (aristocrazia fondiaria), contrapposti a un ceto contadino di veri e propri servi della gleba e a una borghesia debole, sprovvista di una reale capacità produttiva e ancora lontana dalla rivoluzione industriale.
Si tratta, insomma, di un organismo costruito intorno alla funzione bellica: è inevitabile che un crollo militare provochi il crollo dello Stato stesso, e questo avviene durante il regno di Federico Guglielmo III (1797-1840), quando le armate napoleoniche sbaragliano i prussiani a Jena e ad Auerstedt (1806). Ma da quel disastro nasce un fermento positivo di rinnovamento, un periodo (1807-1814) di «riforme dall’alto» che, promosse da ambienti politici accetti alla monarchia (ricordiamo i baroni Karl von Stein e Karl August von Hardenberg), vengono a ridisegnare i rapporti fra le classi: abolizione della servitù della gleba, libera scelta dell’attività economica, parità dei diritti, innovazioni amministrative e militari.
Il nuovo ordine europeo di Metternich, sancito dal Congresso di Vienna e dalla Santa Alleanza, comporta, per la Germania, la momentanea rinuncia ad aspirazioni unitarie diffuse in certi circoli patriottici; per quanto riguarda la Prussia in particolare, Federico Guglielmo III vanifica le riforme, allontana gli uomini che ne sono stati i protagonisti e favorisce il sorgere di una nuova grande proprietà terriera. La conservazione, il concetto della monarchia per grazia divina, l’alleanza fra trono e altare sono alcuni aspetti di un’epoca che trova, un po’ dappertutto in Europa, le sue giustificazioni ideologiche e culturali in filosofi come Hegel (la «sintesi» del suo sistema dialettico si manifesta nella Restaurazione del 1815) o in scrittori come Joseph de Maistre e Chateaubriand, in cui pure si trovano sfumature di sensibilità romantica.
Chi, come Clausewitz, si spegne all’inizio degli anni Trenta, fa appena in tempo a sentire il nuovo fremito di cambiamento che percorre il continente, dalla Francia alla Polonia, dagli stati tedeschi all’Italia.
Che con la sequenza crisi di sistema – pandemia – guerra si stia entrando in una fase a dir poco difficile non ho alcun dubbio. Ciò che maggiormente mi spaventa è che sembra che si sia aperto un vaso di Pandora dal quale escono mefitici miasmi che pensavo, illudendomi, di non dover più sentire.
Nel leggere l’articolo che segue, pubblicato da un nuovissimo quotidiano (chi paga?), mi rendo conto che c’è chi, nei guai incombenti, vede un’inaspettata (attesa?) opportunità.
https://www.lidentita.it/razionamento-verso-la-societa-della-carestia/
Di seguito informazioni sul nuovo quotidiano così tempestivamente apparso sulla scena.
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Qui qualche informazione sul quotidiano e sui suoi promotori
https://www.primaonline.it/2022/06/15/354833/in-edicola-arriva-lidentita-quotidiano-edito-scge-diretto-da-alessandro-sansoni/
Riguardo ai personaggi, aggiungo a ciò che Leo Rugens già conosce il fatto che il fratello ex Nar di Marcello De Angelis (attualmente legato a Forza Italia – e questo spiega anche altre cose) è morto in uno scontro a fuoco nel 1980 e che la sorella ha sposato quel Luigi Ciavardini che è stato condannato per la strage di Bologna e che adesso va in giro liberamente a fare affari, pare assai lucrosi, sulla gestione delle carceri.
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Le vicende inglesi mi riportano alla mente due libri.
Il primo è “Il golpe inglese”, dell’ottimo Giovanni Fasanella, basato su una lunga ricerca negli archivi britannici e USA. Quindi niente chiacchiere complottiste. Vi si evidenzia l’irriducibile avversione nei confronti della politica estera ed energetica di Mattei e Moro e si sa che fine abbiano fatto entrambi. Tra i molti documenti ce n’è uno, solo parzialmente desecretato, in cui si parla anche di un “piano B” in luogo dell’ipotesi “alla greca”, scartata da americani e tedeschi (ma non dai francesi), essendo i primi ancora intenti a leccarsi le ferite del Watergate.
Mi sovviene non soltanto che anche la destra extraparlamentare (chiamiamola così) ha beneficiato di una “dottrina Mitterrand” oltremanica, in qualche modo speculare a quella francese. Con la differenza che la vita che i vari Pietrostefani e Petrella si erano rifatti oltralpe ruotava intorno ad attività culturali di vario tipo, l’esilio dei britannici è stato solo temporaneo, essendo tutti rientrati una volta trascorsi i termini delle prescrizioni, dopo aver fatto soldi con attività “imprenditoriali” di vario genere. Proprio nel luogo che, dopo la caduta del Muro e, poi, della cricca di Eltsin, verrà chiamato Londongrad.
Questi i pensieri che mi attraversano la mente quando, approfondendo la figura del direttore del nuovo quotidiano, ne scopro l’interesse per la Libia, tale da consentire, per un certo periodo (immagino che corrisponda a quello della docenza a contratto presso la Federico II di Napoli, al cui rettore divenuto ministro il Nostro dedica un’intervista sdraiata, come a dire “ricordati di me”), anche una collaborazione con Limes. In particolare, il neo-direttore sembra interessato a Ahmed Maiteeq, discusso politico libico ricevuto a Roma con scarsi risultati da Salvini quando era Ministro degli Interni (idem per un altrettanto inutile incontro in Libia), ma anche volato a Mosca a stringere la mano a Putin (che, tanto per rendere più complessa la situazione, già aveva schierato la Wagner sul confine con il territorio controllato da Haftar).
Dell’altro libro non ricordo il nome ma è quello dello storico Galli (non ricordo nemmeno questo, di nome, e non voglio correre il rischio di affibbiargli quello del virologo onnipresente in TV ed attualmente indagato dalla Procura di Firenze, insieme al primario del noto Ciauscolo) sul “nazismo magico”, che tanta incomprensione ha creato con un amico lettore che, pur essendo indubbiamente dotato di intelligenza sottile, sembra non comprendere che bianco e nero sono complementari…
Il libro in questione tratta, con scrupoloso richiamo alle fonti, dell’emergere, a partire dalla fine del XIX secolo, di una corrente irrazionalistica nel contesto culturale europeo che avrà un’influenza non irrilevante nell’ascesa del partito nazista, ma con una diffusione non soltanto in Germania, ma anche in Francia (da cui poi Guenon, che tanto piace ai vecchi marpioni di Terza Posizione ritornati in patria dal temporaneo esilio inglese, e anche il nuovo nume di riferimento, Alain de Benoist) e in Inghilterra, con addentellati che arrivano vicini vicini alla Casa Reale e che includono i Cambridge Five (e, attraverso Philby, anche Angleton) e quel Crowley che turba i sonni di Carlo Palermo (a proposito: che fine ha fatto? Da qualche tempo è scomparso). Galli lega questi fili invisibili imbevuti di esoterismo al mai del tutto chiarito volo di Rudolf Hess in Inghilterra, alla vigilia dell’Operazione Barbarossa.
Per inciso, l’incomprensione di cui sopra nasceva dal fatto che, parallelamente a questa corrente culturale, proprio nello stesso periodo era sorto il movimento Volkisch, che raccoglieva una serie di istanze identitarie riconducibili al concetto di Heimat e si esprimeva attraverso iniziative, sostenute dal mondo junker industriale e militare, di tutela del patrimonio culturale delle tante “piccole patrie” tedesche, in opposizione alla modernizzazione urbana.
L’abilità del gruppo dirigente nazista, impregnato di occultismo, consistette, secondo Galli, nel sovrapporre questo movimento di massa (quello che io avevo approfondito in passato) a quello elitario ed esoterico, divenuto ingombrante e difficilmente “digeribile” da parte di quei generali della Wermarkt (che, infatti, tenteranno poi, senza riuscirci, l’attentato a Hitler), che era cosa ben diversa rispetto alle SS.
In ogni caso, il tentativo di “abboccamento” dei nazisti verso quegli ambienti elitari inglesi con i quali condividevano un idem sentire non andò a buon fine per la ferma opposizione di Churchill, dalle cui parole, riportate da Galli, trapela sia l’avversione per certi “mondi” oscuri, sia la preoccupazione per il rischio di coinvolgimento di ambienti vicini alla Casa Reale.
Certamente BoJo non è Churchill ed in un altro momento avrei gongolato per la sua caduta. Tuttavia mi colpiscono queste dimissioni di massa e questa indignazione in fondo sproporzionata ai fatti. Non riesco non pensare che nei Tories confluiscono anche quel tipo di ambienti. E che lo scenario è Londongrad.
Tra l’altro, un’amica che vive in Galles (attualmente in casa col Covid con febbre), in una zona rurale (dalla quale proviene, tra l’altro, uno dei dimissionari), mi dice che a) trattori dalle sue parti non se ne sono visti; b) che comunque ha sentito e letto della protesta; c) che questa muove dai bacini elettorali più conservatori; d) che la defenestrazione di BoJo punterebbe a sostituirlo con un “falco” (il ministro della Difesa), disposto a “mettere gli scarponi sul terreno”. La cosa non mi convince molto. L’ipotesi Londongrad mi sembra più verosimile, tanto più per il tempismo riguardo alle intenzioni di BoJo di utilizzare le riserve russe all’estero ed i patrimoni degli “oligarchi” per la ricostruzione.
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