Cucina russa

“Misha, non dire cretinate. Il frigo è un problema nostro. Il vostro è, come si direbbe a Odessa, mangiare e non far domande…”
Markus Wolff
“Il KGB poteva comunque contare su informazioni che venivano da uomini a lui legati da tempo, per quel che ne sappiamo: persone come quel Giorgio Conforto che, pur essendo stato un funzionario della polizia segreta fascista di Mario Roatta, risultò essere in contatto con il servizio sovietico fin dal 1930. Ma “Dario” era anche molto vicino ad ambienti del Viminale e in ottimi rapporti con uomini dell’apparato, tra cui il memorabile capo dell’Ufficio Affari Riservati Federico Umberto D’Amato.”
Rita Di Giovacchino, Il libro nero della Prima Repubblica, Fazi editore, 2005
Davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Caso Moro, un paio di anni fa, la sua rabbia è esplosa quando ha scoperto che la Digos era a conoscenza di un’informativa del Sismi su Giorgio Conforto, l’agente doppio del Kgb (in ottimi rapporti con l’Ufficio Affari Riservati) in casa del quale furono arrestati proprio Faranda e Morucci. “Nessuno me ne ha mai parlato [parole di Ferdinando Imposimato] e pensare che erano proprio queste le notizie che a me interessavano di più”.
Rita Di Giovacchino, Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2018

La passione per la cucina accomunava Federico Umberto D’Amato (“Menù e Dossier”, Rizzoli, 1984) e Markus Wolff (“Segreti della cucina russa” Esedra, 2000, l’edizione tedesca è del 1995).
Anni fa, 2008, avevo progettato un volume di cucina “povera”, con ricette basate su pochi ed economici ingredienti.
Nel frattempo è morto Eugenio Scalfari, nessuno che evesse informato Papa Francesco di che tipo fosse salvandolo dalla figuraccia di considerarlo qualcuno degno di essere pianto.
Lo sanno anche i sassi quali rapporti intercorressero tra il D’Amato e lo Scalfari ma nessun pennivendolo ha osato sommare 1 più 1 e denunciare che se la verità delle stragi e di decine di omicidi è stata abortita lo si deve al piombo dell’inchiostro di Repubblica sommato al piombo della “banda di sicari del Viminale” (cit. Adriano Monti).
Non so chi informasse la Di Giovacchino che se ne è andata l’anno scorso, so quanti hanno versato fiumi di inchiostro dopo avere messo le mani sull’archivio di Circonvallazione Appia per ottenere che oggi i loro colleghi versassero lacrime sulla bara di un signore nel quale mi imbattei un tardo pomeriggio d’inverno nel Parco di Porta Venezia a Milano; passeggiava accompagnato sottobraccio a una elegante signora come elegante era il suo cappotto. Al tempo non avevo letto ancora abbastanza quindi lo osservai con rispetto anzi reverenza per l’aura che promanava; poco distante avevano gambizzato Montanelli: perché uno sì e l’altro no, mi chiedo.
La cucina russa imperversa ma è destinata a ripiegarsi sempre più se stessa perché privilegi e corruzione hanno avuto la meglio, peggio per tutti, un monito per ciascuno.
Alberto Massari
MOLTO BELLO…….COMPRENSIBILE DA “TUTTI”………come dovrebbero essere gli scritti…quando si desidera “veramente” farsi comprendere……….scrivendo ,comunicando “,,per gli altri…” e non per compiacere se stessi e pochi ELETTI…….
Parafrasando Battisti “…tutte le occhiate “maliziose” che davi, eran semi sparsi al vento, qualche cosa che perdevi…e mi inaridivi….”………”cercando gli applausi…senza chiedersi per quale gente……….”
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Ah il D’Amato, fu sovraintendente della.segreteria Nato per i rapporti Italia Usa nell’ambito del Patto Atlantico e uomo di fiducia dell’oss l’ancestra della cia.
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Chissà se l’elegante signora era quella che il Montanelli gambizzato (già, perché lui sì e l’altro no?) aveva definito “dispotica guatemalteca”, peraltro anche moglie di suo marito (il secondo). Tanti piccoli indizi di un opportunismo senza etica, del quale, però, non si rinviene traccia nell’ipocrita piagnisteo generale. Anche (!!) da parte di chi, per via documentale, certi angolini oscuri avrebbe potuto illuminarli. Il fatto è che di Dario Borso ce n’è solo uno.
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Barbabianca salvato da un Cavallo?
Si comprende lo scoop…
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In questa suggestione venutasi a creare al solo evocare l’elegante signora accostata al Barbabianca mi viene in mente la stranezza di un’agenzia di stampa che va a scegliersi come nome quello di un quotidiano nazionale già esistente. Così come mi appare sotto una luce nuova l’animosità nei confronti di quel Ghino di Tacco (con il quale, però, giocava a poker), che un ambiguo personaggio “francese” lo aveva pure messo bene a fuoco. Pensandoci bene, anche il soprannome scelto appare significativo. Noto, tra l’altro, che i figli dell’ingombrante Esule non si sono uniti al coro beatificante. Il che si può capire. Ma magari, se sanno qualcosa, potrebbero prendersi lo sfizio di parlare.
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