“Amato dalle donne braccato dalla mobile”

Nemici per la pelle è un film del 1968 diretto da Denys de La Patellière.
Il film, di produzione franco–italiana, con protagonisti Louis de Funès e Jean Gabin, è risultato ottavo al botteghino del 1968 in Francia con 3 211 778 entrate.
Trama
Nello studio del pittore Dubois, Félicien Mézeray, un antiquario che si è arricchito nel commercio dei dipinti naïf, incontra Legrain, un ex legionario che si è recato dal pittore per farsi fare un ritratto. Sulla schiena del legionario è tatuato un autentico Modigliani. Come vedono il tatuaggio, subito due collezionisti americani, Smith e Larsen, si offrono di acquistarlo in contanti. Poiché l’ex-militare è riluttante a “vendere cara la pelle”, Mézeray gli propone di restaurargli la casa di campagna in cambio della proprietà dell’opera d’arte, da prelevare naturalmente dopo la morte naturale del possessore. Quel che Mézeray ignora è che la casa in questione è un vasto castello in rovina dell’XI secolo, dimora ancestrale del misantropo e collerico ex legionario, che in realtà è l’ultimo conte de Montignac.
Produzione
Il racconto scritto da Roald Dahl e intitolato Pelle, apparso tra l’altro nell’antologia Storie impreviste, tratta di un argomento simile: un uomo anziano, Drioli, ha sulla pelle della schiena un ritratto della moglie tatuato una notte di bevute dal pittore Chaïm Soutine. Dopo la morte dell’artista, la pelle del vecchio è ambita dai mercanti d’arte. Sembrerebbe, inoltre, che la storia di questo film sia stata ispirata da una notizia del 1960, il cui contenuto proviene da una sentenza del Tribunale di Prima Istanza di Parigi il 3 giugno 1969.[2] Nella nota giudiziaria si afferma che un produttore cinematografico avrebbe stipulato un contratto con una ragazza, secondo cui quest’ultima doveva posare nuda nel film dopo che le fosse stato tatuato un’immagine su una natica. Il commentatore doveva poi annunciare al pubblico che detto tatuaggio sarebbe stato asportato e venduto al miglior offerente.[3].
People Are Preserving Dead Relatives’ Tattoos and Turning Them Into Art
Tattoo artists have a new hustle: recovering ink from bodies of the recently-deceased at the behest of their loved ones.
by Claire Woodcock June 29, 2022
Nel 2019, Jonathan Gil ha perso il fratello gemello in un tragico incidente di barca. Il corpo era rimasto in acqua troppo a lungo e gli operatori funebri non volevano farglielo vedere prima della cremazione, a meno che non fosse in grado di riconoscerlo dai tatuaggi.
Mentre organizzava il funerale, Gil ha scoperto l’esistenza di una ditta USA che offre un modo particolare per conservare la memoria dei propri cari. Si chiama Save My Ink Forever e si occupa di separare e trattare la pelle tatuata dei cadaveri per trasformarla in un’opera d’arte da collezione.
Il fratello di Gil aveva molti tatuaggi, quindi ne sono stati scelti due che la casa funeraria ha inviato al laboratorio di Save My Ink Forever in Ohio. Al momento del funerale, Gil e sua madre hanno ricevuto la pelle del fratello incorniciata dalle mani dell’impresario funebre. “In un certo senso, ci è stato restituito. Abbiamo riavuto indietro un pezzo di lui che faceva parte dei nostri ricordi,” Gil ha detto a VICE. “Insomma, c’è chi trasforma le ceneri in diamanti. Nell’era vittoriana tagliavano i capelli e ci facevano collane. Non è poi così diverso,” ha spiegato Kyle Sherwood di Save My Ink Forever.
Negli USA non ci sono leggi a livello federale né statale che proibiscano esplicitamente a un impresario funebre di tagliare via un pezzo di pelle di una persona morta e spedirlo in un laboratorio per renderlo conservabile nel tempo. Ma alcuni esperti dicono che questa pratica si colloca in un’area grigia. “Siamo attentissimi proprio a causa dello scetticismo di alcune persone. Ci assicuriamo che ogni passaggio avvenga con il massimo della dignità,” ha detto Sherwood. “La nostra intenzione non è di scandalizzare o fare i fenomeni da baraccone. Non vogliamo dare alla gente scuse per disprezzare quello che facciamo.”
Sherwood prevede che la domanda per i loro servizi aumenterà con l’aumento di popolarità dei tatuaggi—un sondaggio del 2018 ha rilevato che il 46% degli americani (e il 48 degli italiani) ha almeno un tatuaggio. Per di più, sostiene Sherwood, la preservazione postmortem dei tatuaggi serve anche a dare una seconda vita alle opere degli artisti che li hanno realizzati.

“Quindi, pare a me, che il tatuaggio sacro di Loreto debba la sua origine alle Stimmate di San Francesco per riprodurne il simbolo e la figura: e lo confermerebbe l’usanza che hanno di tatuarsi nell’avambraccio presso la mano e anche nella mano stessa, nei luoghi dove si può far uscire tanto sangue che basti per iniettarvi l’indaco” così Caterina Pigorini Beri, sorella del paleontologo che ha lasciato il suo nome a uno dei più affascinanti musei del mondo situato nel centro dell’EUR a Roma, nel suo saggio “I tatuaggi sacri e profani della Santa Casa di Loreto” del 1889.
Nel museo citato si trova una straordinaria collezione di stampi utilizzati dai tatuatori di Loreto i quali, nonostante il divieto, proseguirono fino agli anni Trenta del Novecento nella loro opera. Rimarchevoli tra di essi alcuni che riproducono gli emblemi dell’Arma dei Carabinieri.

Ben custodito nei magazzini del museo c’è un altro piccolo tesoro conservato in una scatola di cartone che Laura Guidi di Bagno così descrive all’inizio del saggio che allego di seguito: “I tatuaggi da me esaminati si trovano presso il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari. Sono raccolti su tavole i cui numeri d’ventario partono dal 27969 fino al 27981. Il numero complessivo dei tatuaggi che vi sono raccolti è di 96 pezzi. Sono tatuaggi incisi su pelle umana prelevata dai cadaveri degli obitori delle carceri, e raccolti al Museo probabilmente dai discepoli della scuola del Lombroso intorno al 1906 e il 1911”.
Vi invito a leggere l’intervista ivi contenuta al giovane tatuatore romano, vent’anni nel 1975, che imparò l’arte nel carcere minorile.
Non essendo stato marinaio, legionario, detenuto ecc, data l’età sono cresciuto tra generazioni che non avevano il tatuaggio quale occasione per indicare una appartenenza, una fede, un qualcosa di identitario da mostrare sulla pelle del corpo eppure mi sono rimasti impressi gli strumenti del tatuatore che vidi su una bancarella di antiquario normanno nei primi anni Ottanta. Per qualche insondabile ragione, forse la passione per il mare, la vela o la lettura di “Moby Dick” o presentendo con la sensibilità tipica dei giovani l’approssimarsi del sorgere di uno stile di vita, non voglio dire moda, quei contenitori di vetro per i pigmenti e gli aghi necessari alla pratica mi tornano in mente ogni volta che osservo corpi tatuati chiedendomi perché a me non sia venuto in mente mai di farmene fare uno.
Forse, a pensarci bene, la visione del numero tatuato sull’avambraccio di un anziano signore che cenava al tavolo di fianco al mio, il primo e unico che abbia visto coi miei occhi, sapendo da sempre che era il segno della maggiore infamia umana mai concepita, potrebbe essere stato il freno o la ragione della mia scelta.
A proposito di tatuaggi, pare che le teste tatuate che i Maori regalavano imbalsamate agli esploratori inglesi, fossero una semplice presa per i fondelli, appartenendo le suddette cocuzze a prigionieri e affini. Un sense of humor decisamente all’altezza dei sudditi di sua Maestà.
Alberto Massari

Circa dieci anni fa un giovane amico medico, chirurgo plastico, mi ripeteva che le operazioni chirurgiche vere (rinoplastica, mastopessi, ginecomastia, etc) si facevano sempre meno (rispetto agli anni ’90 e rispetto agli interventi di medicina estetica) ed erano appannaggio di vecchi esperti chirurghi sulla piazza da prima di lui. Cercare di batterli con la pubblicità sarebbe stato impraticabile visti i budget che i vecchi chirurghi avevano a disposizione. Feci alcune ricerche in inglese su Google Trends e gli consigliai di iniziare a praticare la rimozione dei tatuaggi. Oggi c’è la coda fuori dallo studio del mio amico. 🙂
nb: si lamenta però del fatto che avrebbe bisogno anche di uno psicologo in studio
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Beccata un’altra fandonia nel noto sito web. Stavolta si vuole confutare l’allarme per il caldo sostenendo che in UK sarebbe piuttosto il freddo a causare la mortalità. La tesi viene sostenuta citando un articolo di The Lancet e rimandando ad un articolo di un sito web dove c’è un link all’articolo di The Lancet, il cui obiettivo è valutare il rischio di mortalità di fasce di popolazione con differenti condizioni economiche, nel quale si prendono in considerazione, tra le cause di mortalità, anche il freddo.
Insomma, siamo al ridicolo e alla malafede più sfacciata. Non faccio nemmeno la fatica a mettere il link del link del link.
Poi, eventualmente, giro il messaggio whatsapp di un’amica disperata per i 40 gradi in Galles, con il suo povero cane boccheggiante.
È da un po’ che non mi informo sull’andamento della situazione in Ucraina, evitando la propaganda del campo opposto. Ho letto di sfuggita, però, che i russi si sono presi una specie di tregua, ma per capire se è vero dovrei approfondire (ad esempio su Parabellum, che consiglio). Mi domando se a questa valanga di palle e di tentativi di destabilizzazione non corrispondano difficoltà sul campo, dove pare che finalmente siano arrivate le armi occidentali (con buona pace di quanti blaterano sulla “guerra per procura”…).
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Questo mi manca, con De Funès adoro “Oscar” e “Le Grand Restaurant”, qui nel Baltico i distributori hanno qualche problema di tempistiche
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Pensavo che il tatuaggio fosse una prerogativa delle tifoserie calcistiche e delle gang di spacciatori. Scopro, invece, che da un po’ di tempo a questa parte si dibatte con passione di tatuaggi anche in ambienti del tradizionalismo cattolico.
https://www.verticale-blog.info/il-tatuaggio-come-pratica-mistica-una-risposta-a-blondet/
Mi viene in mente che anche Lilin è un tatuatore. E pure uno strano giovinotto bolognese-romano…
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