Nella vicenda Qatar-UE sarebbe interessante sapere chi ha presentato chi a chi
Ho aspettato alcune ore per capire se ero sveglio o avevo incubi. O sogni felici. Felici perché finalmente si accendono super fari sul Qatar e su quegli italiani (e altri pezzenti europei) che con quella monarchia fanno affari. Con il mio amico Alberto Massari, socio in questa morale avventura nel web, ci auguravamo da anni che si facesse un po’ di luce su queste spregiudicate relazioni.
Mi riferisco ai comportamenti che avrebbero tenuto alcuni parlamentari europei (e fauna al seguito) per conto e per nome del Qatar. Autorità del Qatar che opportunamente (ovviamente dal loro punto di vista) provano a smentire.
Autorità “monarchica” perché, per chi non lo sapesse, in Qatar non c’è la democrazia ma una “monarchia”. Distinguo non da poco come andando avanti in questa loschissima vicenda vedrete. Fanno bene (è la loro unica speranza) le autorità qatarine perché se viceversa fosse provata la corruzione e il riciclaggio internazionale (le grandi cifre di cui si parla fanno ipotizzare questo tipo di reato) la loro reputazione verrebbe gravemente danneggiata. Più di come stanno, direte?
Comunque, direbbe un mio vecchio amico: se vai per questi mari, questi pesci prendi. Ma come si fa a fidarsi di gentarella come quella che potrebbe essere coinvolta nella losca vicenda? Ma l’avete ben guardata la signorina greca e il di lei fidanzato? E avete visto il fasullo sindacalista (l’ultimo difensore dei lavoratori si chiamava Giuseppe Di Vittorio ma è morto) Antonio Panzeri? Come si fa a prestargli fede? Forse in Qatar hanno troppi soldi da buttare (tutto ha origine con i petroldollari) e alla fine non sanno scegliere. Almeno un tempo i lobbisti a favore del Qatar avevano le fattezze del signore di Modica, Ignazio Moncada, come questo marginale e ininfluente blog ebbe a indicare sin dal 22 agosto 2014.
A guardare bene, ora che il nome mi è affiorato “sulle dita”, rizoma dopo rizoma, accostamento a sinistra dopo accostamento a sinistra, conoscenza dopo conoscenza (Moncada, secondo i ricordi di Leo Rugens, attestato a Torino, in decenni di potere, dovrebbe aver conosciuto sia Massimo D’Alema che Giuliano Amato, così come oggi potrebbe avere frequentazioni con figure istituzionali tipo l’amb. Giampiero Massolo o vertici dei servizi) potrebbe essere lo scout che, quando i profani non sapevano neanche dove fosse il Qatar, potrebbe, tramite la sua Fata (non turchina), aver tracciato la via che, ancora oggi, spregiudicati mascalzoni “di sinistra” con lucro percorrono. Qualcuno infatti (è siamo al metodo Grani che si ripropone) deve aver introdotto (e garantito) questa gentarella presso i vertici qatarini.
Pronto a scusarmi se sono lontano dalla verità.
Oreste Grani/Leo Rugens preoccupato perchè questa storia della corruzione nella UE potrebbe essere il primo “cigno nero” di quella flotta che ritengo (l’ho lasciato detto qualche giorno addietro) si potrebbe delineare all’orizzonte. E se spunta una flottiglia di uccelli acquatici neri, potrebbero essere cazzi amarissimi.
È ORA DI SAPERE I NOMI DEGLI ITALIANI CHE SE LA FANNO CON GLI STATI “CANAGLIA” (PER PRIMO IL QATAR) CHE FINANZIANO I TAGLIATORI DI TESTE DELL’ISIS.
Forse, più che porsi il problema, puramente retorico, se il giovane deputato Alessandro Di Battista, eletto nelle fila del M5S, sia “amico” o meno dei boia dell’ISIS, si dovrebbe esaminare, da parte dell’AISE (nella cerchia dirigente di primo livello della nostra intelligence ci sono generali che vantano vasta esperienza in quei teatri operativi), ora che siamo in guerra “guerreggiata e dichiarata” con i decapitatori arruolati nei califfati che sorgono diffusi nel mondo, la posizione di personaggi italiani (loro sì, pericolosi) che, nell’ombra, da anni, intrattengono relazioni d’affari con paesi che, certamente, “passano soldi” all’ISIS.
Questo agire affaristico lo chiamerei, vecchia maniera, collaborazionismo con il nemico e, come tale, lo “tratterei”. Ad esempio, mi porrei il problema di chi, italiano, faccia affari con gli emiri del Qatar o, peggio, chi fra i nostri connazionali (si fa per dire!) danno, per soldi o per motivi oscuri, “consigli strategici” a chi finanzia i decapitatori.
Al nostro Ministero degli Esteri dovrebbe essere ben nota la situazione che indichiamo “da mettere sotto stretta sorveglianza”. Diamo infatti per scontato che l’AISE, negli anni, abbia “attenzionato” tali personaggi.
Non sarebbe male, in queste ore drammatiche in cui l’opinione pubblica viene strattonata emotivamente, senza una qualche finalità elaborata nell’interesse nazionale (qual’è, infatti, l’Interesse dell’Italia in questo guazzabuglio geopolitico?) dare almeno segnali che gli affari vengono dopo la salvaguardia della vita della nostra gente e prioritariamente delle nostre ragazze prigioniere e onestamente mosse, nel loro agire, da sentimenti umanitari e votati alla Pace.
Leo Rugens
IGNAZIO MONCADA, L’UOMO VENUTO DA MODICA
Alcuni giorni addietro ci siamo permessi di immettere nella rete un ragionamento (È ora di sapere i nomi degli italiani che se la fanno con gli stati canaglia…) sulle responsabilità etico/politico/morali (ma queste categorie non stanno insieme, direte voi) implicite nelle relazioni d’affari. Pensieri ingenui, quasi di nessun conto ma che, viceversa, non sottovaluterei negli attuali frangenti internazionali. Quello che oggi può sembrare “candore” senza senso, potremmo scoprire che è in realtà il prodromo di una politica “di sicurezza”, epurativa, pre bellica che per semplicità chiamerò: metodo Alì La Pointe (il protagonista dell’indimenticabile capolavoro cinematografico “La Battaglia d’Algeri”). La campagna che precede qualunque “battaglia”, prevede, infatti, l’eliminazione preventiva degli agenti al soldo del nemico. Si tengono, deliberatamente, in vita solo alcuni double cross con la funzione di disinformare e intossicare il nemico. Ritengo sia arrivato il tempo di rigorose epurazioni nei confronti di figure che da sempre vivono di doppiogiochismo se non, addirittura, al soldo di interessi divergenti da quelli dichiarati della Nazione. Nel 17 luglio 2007, la Repubblica, giornale controllato dal noto piemontese Carlo De Benedetti, avvertiva, sia pur presentando la cosa nella forma di notizia promozionale, che a Torino agiva indisturbato (anzi, protetto), da decenni, tal Ignazio “Moncada un pontiere tra 007 e grandi affari”. Articolo importante, a firma doppia (Ettore Boffano e Paolo Griseri), con riferimenti a complessità che oggi vanno ri-lette, cogliendo, opportunamente e alla luce degli avvenimenti geo politici in corso, quello che nella realtà c’è ma non si vede. A vantaggio di chi lavora Ignazio Moncada?
Moncada, un pontiere tra 007 e grandi affari
Il signor Fata, un pontiere tra servizi segreti e business
Quelli che negli eserciti, come nella vita di tutti i giorni, tentano di scavalcare i fiumi e sorpassare i baratri, di interrompere fratture, contrasti, divisioni. Nel suo caso, di far dialogare la politica e l’economia: o, meglio ancora, di far parlarli affari. Poi, tante altre cose ancora: agente segreto all’inizio della sua carriera (ma ha mai smesso sul serio?), brasseur d’affaires, manager industriale, consulente di banchieri internazionali e, soprattutto, “amico”. Amico di Giuliano Amato, di Gianni De Michelis e, con loro, degli enfant prodige del Garofano subalpino: Giusi La Ganga, Beppe Garesio, Franco Tigani, Elda Tessore. Un pontiere “sopravvissuto”, però, alla Prima Repubblica e capace di trovare nuovi amici su entrambe le sponde dell’ Italia e della Torino “bipolari”. I nomi si sprecano di nuovo, chi lo conosce bene a volte parla di rapporti intensi, a volte di “millanterie”, ma i personaggi sono tutti eccellenti: il “risorto” Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Romano Prodi, Silvio Berlusconi. Infine, un contatto recente, ma importante per Torino e le sue trame bancarie: consulente di Emilio Botin, il patron del Banco Santander sconfitto dall’ accordo San Paolo-Intesa. Ma chi è davvero Ignazio Moncada, nato a Modica [paese noto anche per la migliore cioccolata del mondo ndr.] (Ragusa) il 18 febbraio 1949 e approdato a Torino dopo un breve parentesi romana? Tutto comincia proprio nella Capitale, all’inizio degli Anni 70, quando il generale Gianadelio Maletti, capo dell’ufficio D del Sid (il controspionaggio militare), mette su una squadra di giovani funzionari e informatori col compito di controllare la sicurezza nazionale e della Nato nelle aziende che hanno rapporti con l’ Est comunista e con l’Urss. Una delle città italiane più calde, da questo punto di vista, è Torino dove con il blocco comunista lavorano la Fiat e anche la Fata, la società fondata a Pianezza da Gaetano De Rosa. E proprio sotto la Mole, all’inizio degli Anni 80, arriva Moncada: forse ancora agente segreto, forse già consulente, di sicuro nell’ orbita del Garofano, forte dell’ amicizia con Amato. Nel gossip della politica cittadina, è accostato spesso a La Ganga (craxiano di ferro) e, in subordine, a Garesio (più vicino a De Michelis). Nel frattempo, si infittiscono i suoi rapporti con De Rosa e la Fata. E proprio in riferimento all’ azienda di Pianezza, le cronache giudiziarie cittadine scoprono per la prima volta il suo nome. Nel processo per lo “scandalo delle tangenti” del 1983, il faccendiere Adriano Zampini racconta così riguardo all’ affare del magazzino centralizzato del Comune: «Andammo alla Fata con Enzo Biffi Gentili, ma ci sentimmo dire: di questa cosa sono già venuti a parlarci La Ganga e Moncada». Parole che, però, non rivestono rilievo penale (fare il “pontiere” non è sempre un reato) e che il giudice istruttore Mario Griffey liquida nel suo rinvio a giudizio: «Del Moncada non mette conto parlare…». Sono anni intensi, di affari e di politica: il suo impegno e le sue consulenze spuntano anche nelle trattative di Acqua Marcia per acquisire la commessa dello stadio Delle Alpi per i Mondiali del 1990. Intanto Moncada sta costruendo la propria carriera di manager nella Fata, una società che si occupa di macchinari per fonderie e impianti per la lavorazione dell’ alluminio e che guarda ai mercati dell’ Est, ma anche al Medio Oriente e all’ America Latina: le terre di conquista di quella cooperazione allo sviluppo che ha, in Italia, come forza politica-guida il Psi. Man mano che cala l’ astro di De Rosa, e con lui il buon andamento economico dell’ azienda, cresce invece quello dell’ uomo venuto da Modica. Nel 1988, c’ è il primo ingresso di Finmeccanica in Fata, con il 24 per cento delle quote, poi via a via, a Pianezza, il peso del colosso pubblico si fa sempre più forte. Poco dopo, l’ Italia e Torino subiscono il terremoto di Tangentopoli: cadono teste e padrini, ma Ignazio Moncada non si ferma. Con un unico intoppo, nel 1994, quando il suo nome è accostato a quello di un vecchio amico dei tempi dei servizi segreti, quel Michele Finocchi personaggio chiave dello scandalo del “Sisde deviato”. Finocchi è arrestato dopo una lunga latitanza in Svizzera: si mormora che abbia vissuto a Zurigo grazie agli aiuti, tra gli altri, dell’ antico collega, ma anche quest’ ipotesi finisce nel nulla. Il pontiere si riprende subito e conosce e frequenta la nuova politica, non perde di vista Amato e comincia a dichiararsi amico di D’Alema e a vantare rapporti con i due “nemici”: Berlusconi e Prodi. A Torino vede spesso chi conta: non è innaturale che un manager del suo peso conosca bene i sindaci (compreso Chiamparino) e anche il potentissimo Enrico Salza del San Paolo, ma sempre con la riserva mentale di quel rapporto stretto con Botin. Per lui, sono gli anni dell’ apoteosi: presidente e amministratore delegato di Fata. Sino al 2005, quando la crisi a Pianezza si fa gravissima e Finmeccanica spende quasi 200 milioni di euro per rilevare azienda e debiti. Qualcuno allora immagina il tramonto del “pontiere”, ma il numero uno di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini, pretende che gli venga lasciata almeno la presidenza, sia pure con pochissime deleghe internazionali. Sono gli stessi tempi del suo incarico anomalo in “Lumiq Studios” e in altre società legate in qualche modo ai progetti della nuova politica subalpina. Come “Musinet”, l’azienda collegata all’ autostrada del Frejus che si occupa di collegamenti internazionali con fibre ottiche: lì Moncada è vicepresidente. Agli “amici” e alle “amiche”, che gli chiedevano perché, il pontiere dava poi sempre la stessa risposta: «Io non volevo, ma me lo hanno chiesto…». E adesso, come mai gli era accaduto in tutta la sua carriera, il suo nome occupa le pagine dei giornali e anche le curiosità della procura della Repubblica di Torino che si prepara a convocarlo per la vicenda di “Lumiq Studios”. Con tutti i politici subalpini, della Prima e della Seconda Repubblica, pronti a interrogarsi: Ignazio Moncada, davanti al pm, farà il “pontiere” oppure l’amico?
ETTORE BOFFANO E PAOLO GRISERI 17 luglio 2007
Facendo un salto indietro, al 12 febbraio 2003, troviamo un altro articolo illuminante e preveggente: “Una FATA dalla Siberia (minchia!) all’Iran (super minchia)” a firma del solo Paolo Griseri. Ovviamente, le espressioni scurrili sono un nostro gentile omaggio al siculo torinese Ignazio Moncada.
Una Fata dalla Siberia all’Iran
Hanno venduto celle frigorifere ai siberiani. E non la considerano una stranezza: «Siamo degli organizzatori, la nostra specialità è sempre stata quella di mettere insieme sistemi complessi. Se serve il frigorifero, procuriamo anche quello». Ignazio Moncada, 53 anni, è il presidente della Fata, società con sede a Pianezza che realizza il 95 per cento del fatturato all’ estero. Fondata nel 1936, occupa oggi un migliaio di dipendenti. Ha fatto fortuna negli anni ’70 e ’80 producendo sistemi per l’automazione di processo. Ha realizzato gli stabilimenti Fiat a Togliattigrad, con i paesi dell’Est ha lavorato ben prima della caduta del Muro. «Per decenni – spiega Moncada – la nostra specializzazione è stata l’ hard, il prodotto di metallo, che si tocca. Abbiamo realizzato linee di montaggio, fonderie, sistemi per la logistica e l’ industria agroalimentare». Poi, almeno una parte della attività tradizionali hanno dovuto essere riconvertite. Alle fine degli anni ’80 la crisi dell’automazione industriale spinta ha avuto contraccolpi sul fatturato del gruppo. E anche la caduta del Muro ha fatto sentire i suoi effetti. Lo scorso anno è stato deciso un nuovo taglio agli organici degli impiegati. E hanno perso il posto una decina di interpreti russe, lascito dell’ epoca d’oro in cui l’Unione Sovietica era uno dei principali committenti della società. Ora la Fata ha deciso di provare a cambiare pelle. In due direzioni: accentuando la sua presenza nei paesi «difficili», dall’Iran ai Balcani. E tentando di aumentare il fatturato in Italia. «Per quel che riguarda la presenza italiana – spiega Moncada – abbiamo deciso di puntare su produzioni innovative. Di passare dal materiale all’ immateriale, dall’ alluminio all’ organizzazione». Così è nata l’idea di rilevare il più grande pacchetto azionario del Multimedia park di Torino, la nuova cittadella del cinema e degli effetti speciali che sta sorgendo nell’ area ex Fert. Capannoni e studi che necessitano di personale, di logistica, in una parola di essere organizzati per funzionare. Quando il progetto sarà realizzato, promettono alla Fata, dovrebbe produrre «tra i 300 e i 400 posti di lavoro». L’organizzazione si può vendere ai cineasti ma anche ai militari realizzando una società mista con la Zust Ambrosetti per il trasporto dei pezzi di ricambio dei caccia. O costruendo una joint venture con la Sitaf, la società che gestisce l’autostrada per Bardonecchia, con lo scopo di «fornire infrastrutture e supporti di telecomunicazione per assistere all’ evento olimpico». Fuori dall’ Europa continua invece l’ attività tradizionale. La società di Pianezza ha appena concluso importanti contratti con l’ Iran per un ammontare di oltre 400 milioni di euro. Si tratta di fornire le fonderie per l’alluminio e due linee di montaggio di automobili per un’ azienda francese. Presto la Fata aprirà un ufficio a Teheran. Non sembra il periodo più tranquillo per investire nell’ area: «Finora tutto è andato molto bene – ribatte Moncada – e non abbiamo mai avuto particolari problemi. Per il momento i venti di guerra non hanno avuto effetti sui rapporti con il governo iraniano». Altre importanti commesse stanno per essere ottenute dal governo di Pechino; India e i Balcani, le prossime tappe della strategia aziendale.
PAOLO GRISERI 12 febbraio 2003
Ora, come sappiamo, si potrebbe avvicinare, la Terza Guerra Mondiale e ciò che andava bene qualche anno addietro potrebbe risultare indigesto alle strutture di sicurezza USA/NATO. Ciò che poteva sembrare utile per poter stare con otto piedi in una scarpa, si potrebbe rivelare, da un giorno all’altro, motivo per cui una persona viene dichiarata “non gradita” . Così è la vita.
Oreste Grani
La Kaili (tra lei e il padre 750.000€ + i 600.000 di Panzeri) era anche, e con atteggiamento ambiguo, nella Commissione che doveva indagare su Pegasus
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2022/12/12/qatar-perquisite-a-milano-le-abitazioni-della-famiglia-panzeri-_6e874db5-ff27-4641-bce6-50b50d4cdd2d.html
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Spioni greci
https://lavocedinewyork.com/news/2022/09/12/pegasus-gate-arriva-in-grecia-accusata-di-aver-spiato-giornalisti-e-politici/
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L’ombra del Sultano?
https://www.linkiesta.it/2022/09/il-caso-di-spionaggio-in-grecia-e-arrivato-in-parlamento-e-anche-a-bruxelles/
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Perchè non parlare poi della Fondazione Policlinico Gemelli e dei suoi presunti legami finanziari – non è Stato Estero e non è extraterritoriale – con i Paesi degli emirati arabi , se esistenti come si vocifera da qualche anno ?? Ci azzecca qualcosa forse con il fatto che il Policlinico Gemelli non venga benedetto da anni dal Santo Padre ?? E che si stia imbarcando in grandissimi prossimi investimenti finanziari per la sanità del lazio (accreditata e cioè pagata da noi) nonostante si parli di un presunto massiccio indebitamento dello stesso Policlinico con un pool di banche.
Io dico una cosa semplice semplice. Vuoi essere parte della grande famiglia pubblica, cioè del sistema privato che svolge servizio pubblico e quindi viene accreditato dalla Regione e quindi pagato dalle tasse de noantri ?? Ebbene, se si devi consentire che si getti piena luce a partire dal tuo sito web su TUTTE LE VOCI DI CONTROLLO SOCIETARIO della tua proprietà. Senza barriere o schermi, fondazioni, società anonime, società fiduciarie, società estere ecc ecc.
Perchè il pericolo che si faccia un mischione di tutto è enorme e anche perchè esiste il fortissimo pericolo che DI FATTO in certe Regioni italiane più critiche e sensibili SI CREI UN PERICOLOSO MONOPOLIO PRIVATO ALIMENTATO DA INGENTISSIMI SOLDI PUBBLICI in aree delicatissime della sanità pubblica. Per esempio i bambini e forse anche altri settori.
Una volta creato di fatto il MONOPOLIO è evidente pure ai più sprovveduti che gli altri (compreso il sistema pubblico) arrancherebbero fino a scomparire piano piano del tutto dalla scena del mercato, per esaurimento della risorsa umana e per progressivo continuo indebitamento.
Sarebbe una distorsione del mercato imponente. Ancora più grave se si pensa che magari non si sa esattamente da dove provengano TUTTI i soldi. Ogni riferimento a cose e persone è del tutto casuale.
Concludo, dicendo che se la salute fosse SICUREZZA NAZIONALE – e a mio sommesso avviso lo è perchè te ne accorgi solo quando stai veramente male – se questo non configura un pesante ATTACCO ALLA SICUREZZA NAZIONALE ditemi voi cosa altro lo è !!
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Così disse uno che prendeva soldi da Philip Morris e che chissà da chi continua ad essere imbeccato (perché di suo non ci arriva proprio)
https://www.editorialedomani.it/politica/italia/dino-giarrusso-qatar-scandalo-parlamento-europeo-intervista-avr4qo4o
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Sostiene che funzionari qatarioti si aggirassero per il Parlamento Europeo offrendo viaggi. Delle due l’una: o cerca una qualche visibilità (e, visto il personaggio, anzi personaggetto, ci sta) o si tratta di un tentativo di sviare l’attenzione dai fatti reali. Qui si tratta di un milione e mezzo, altro che viaggi!!
Ci sarebbe, poi, anche una terza ipotesi, visto che fa riferimento alle forniture di gas e che altri fornitori potrebbero essere interessati ad una demolizione della reputation del Qatar (che è ovvio che sia visto come un possibile fornitore per l’Europa, dal momento che condivide con l’Iran uno dei più estesi giacimenti al mondo), proprio come lo stesso Qatar è, invece, interessato a costruirsene una.
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Svelato il mistero.
Repubblica di stamattina riferisce di un “Comitato di amicizia UE-Qatar” (sciolto in questi giorni), composto da uno sparuto gruppetto di eurodeputati (13 in tutto), tra cui due italiani. Uno dei due è, appunto, Dino Giarrusso.
In sostanza, il Nostro si esibisce (da dilettante) in quella specialità del “mettere le mani avanti” nella quale altri sono dei veri professionisti.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/12/13/il-lobbismo-e-una-cosa-seria-qui-vedo-solo-politici-che-si-svendono-qatargate-lo-sfogo-di-velardi-su-regole-assenti-e-crisi-della-sinistra/6904607/
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Cominciano, comunque, ad uscire i primi titoli sul ruolo degli Emirati, ai cui servizi si dovrebbe la “soffiata” alla Procura belga…
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Si sono, nel frattempo, rarefatti i titoli dei quotidiani sul ruolo di mediatore con il Qatar di Baffino per gli stabilimenti di Priolo…
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A quanto pare, si tratta di un’offensiva in grande stile…
https://www.repubblica.it/cronaca/2022/12/14/news/influenza_del_cammello_qatar_tifosi_mondiali-379009379/
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Anche gli italiani hanno collaborato alle indagini? Non credo proprio.
Però… chissà…
Dopotutto, sarebbe una buona notizia. Altrimenti (se fossero stati esclusi dall’indagine) sarebbe davvero pessima
https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/12/14/qatargate-gia-a-luglio-una-incursione-segreta-dei-servizi-belgi-a-casa-di-panzeri-trovati-700mila-euro-cosi-e-nata-linchiesta/6905578/
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