Demografia e sicurezza nazionale, una riflessione spagnola

L’entropia geopolitica di questi giorni ci restituisce sempre nuovi dettagli da aggiungere al  quadro complesso del pianeta, per la gioia di chi volesse cimentarsi nell’affinare la vista e  riuscire a scorgere per quali strade si muoverà l’umanità nei prossimi anni. La strage di Cutro dei giorni scorsi ci ha lasciati attoniti di fronte alle numerose lacune del  nostro Paese (ma anche dell’Europa) sul tema migratorio. Non posso non rilevare le  modalità davvero banali con cui certo giornalismo ha approcciato la notizia, per non  parlare del dibattito politico privo di contenuti di sorta o dei segni di un seppur minimo  approfondimento della materia. Ma non voglio sparare sulla croce rossa, tranquilli,  piuttosto condividere con voi delle letture da effettuare in momenti di emergenza.

Mi è stato segnalato un articolo del dott. Francisco Javier Cuenca-Bua, La difícil relación entre la curva demográfica negativa europea, la curva demográfica positiva africana y la seguridad nacional, pubblicato nel numero 19 (2022) della “Revista del Instituto Español de Estudios Estratégicos“, che ho letto con interesse non soltanto perché lo conosco quale esperto del  tema migratorio (oltre ad essere stato anche il relatore di alcune conversazioni che hanno  fatto parte della mia formazione on the job durante il mandato parlamentare) ma per una  serie di riflessioni che ho trovato particolarmente attuali. 

L’articolo parte infatti dal problema delle pensioni, e nella mia testa rimbalzano le  immagini dei lacrimogeni e degli idranti durante le manifestazioni nelle piazze parigine che  stanno mettendo in seria difficoltà il governo francese (salvo grazie ad una manciata di voti  mancanti alla mozione di sfiducia presentata all’Assemblea Nazionale; e in un’Europa un  po’ traballante, sarebbe stato un duro colpo se il governo francese fosse caduto). 

L’idea di partire da un tema estremamente concreto, quello delle pensioni, per  esemplificare come i mutamenti demografici possono cambiare profondamente la realtà in  cui viviamo e diventare questione di sicurezza nazionale è decisamente calzante. Nei nostri  Paesi, da decenni ormai, vi è una scarsa propensione ad assumere un approccio pragmatico  di fronte ai mutamenti. L’inverno demografico, l’aumento cospicuo della popolazione non  più attiva, i cambiamenti che sempre avvengono nel settore del lavoro (soprattutto legati  alle innovazioni tecnologiche) ci dicono con la forza dei dati che qualsiasi sistema  pensionistico è destinato a collassare, a meno che non si sviluppino per tempo  accorgimenti che consentano una maggiore sostenibilità economica ed allo stesso tempo  una imprescindibile equità.  

Senza stabilità non può esserci sicurezza, e questo non riguarderà più i singoli Paesi ma  occorrerà ragionare per macro aree. Per questo concordo col dott. Cuenca-Bua quando  giunge alla conclusione che, per tutta una serie di fattori analizzati nel suo saggio, si è  indotti «to consider a timely broadening of the meaning and scope of the term National  Security» (a considerare un opportuno ampliamento del significato e della portata del  termine Sicurezza Nazionale). Per essere ancora più chiari, basta tornare indietro a  qualche anno fa, durante la pandemia da Covid-19, per comprendere che soluzioni a  problemi globali non possono che richiedere risposte congiunte (strumenti economici  straordinari messi in campo da tutti gli stati europei, oppure l’approvvigionamento  comune dei vaccini). 

Nell’articolo si arriva quindi al tema della Difesa e all’età media elevata dei suoi membri: un  rilievo emerso di frequente anche nei dibattiti in commissione alla Camera dei Deputati  durante alcune audizioni. Se a questo aggiungiamo che la carriera militare non esercita più  l’appeal sui giovani come in passato, è chiaro che le selezioni effettuate gioco forza su numeri inferiori hanno abbassato l’asticella delle aspiranti nuove leve. Probabilmente se  fossero a conoscenza dei livelli di indebitamento di una parte sempre più corposa del  personale delle Forze Armate e di Polizia, anche questo dato dovrebbe essere d’interesse per la  Sicurezza Nazionale, sarebbero ancora meno incentivati a scegliere questo percorso. Tutto  questo avviene a fronte delle sfide che ci attendono nel futuro prossimo, inclusa quella  migratoria, e con la guerra alle porte dell’Europa. Senza dimenticare che i cambiamenti  climatici e il problema dell’acqua potrebbero comportare anche per il sud dell’Europa, e  non più soltanto per l’Africa, una profonda destabilizzazione: questo raccontavano i dati e le parole per il 2040 (cioè domani) di padre Gael Giraud, durante la 49a Settimana Sociale  svoltasi a Taranto. 

L’autore dell’articolo riflette quindi sul dilemma della fragilità dello Stato nel continente  africano, resa ancora più aspra da aiuti a pioggia ma privi di visione elargiti da enti vari.  Riesco a figurarlo: anziché insegnare loro a pescare, magari regalandogli anche una canna  da pesca, gli abbiamo fornito pochi pesci che hanno sfamato solo alcuni, tenendo così in  vita quel rapporto di dipendenza che titilla tanto le fantasie di certe menti obnubilate.  Aprendo praterie per attori terzi, con più forza economica e ancor meno umanità di noi,  che nel tempo ci hanno tagliati fuori da scenari che hanno ritenuto strategici per i loro  disegni. E si divertono anche, di tanto in tanto, ad aggirarsi in casa nostra indisturbati. 

Non resta che concordare con le conclusioni, ovvero sulla necessità di un nuovo approccio  al fenomeno migratorio e delle modalità con cui aiutare i paesi africani, quanto meno senza  il solito spirito predatorio. Invece in materia di Difesa, almeno per quanto riguarda l’Italia,  trovo le proposte difficilmente realizzabili a causa della vetustà dei luoghi in cui fino al  2005 si svolgeva il servizio di leva obbligatoria. Nel 2019 è stata approvata una proposta di  legge che dovrebbe avviare in via sperimentale dei percorsi formativi in ambito militare di  6 mesi per giovani fra i 18 e i 22 anni, ma credo sia tutto fermo al palo. Tuttavia ritengo che  il modello militare non sia il solo attraverso il quale è possibile far crescere il  coinvolgimento attivo dei cittadini alla sicurezza del Paese. L’interesse per il bene della  comunità è un dato fondamentale tanto quanto gli altri enumerati nel saggio, vista la  sempre più scarsa partecipazione alla vita democratica in tutto il globo terraqueo. Non  credo si possa parlare di democrazia stanca, quanto piuttosto di un cambiamento epocale  che si sta producendo all’interno dei governi rispetto ad un mondo dai confini sempre più  labili. La cittadinanza terrestre, teorizzata da Morin, troverà i suoi spazi e le sue forme per  affermarsi e sopravvivrà chi riuscirà ad adattarsi intelligentemente, tempestivamente e  meglio al cambiamento. 

Tutto il resto sarà semplicemente una rincorsa all’emergenza di turno che produrrà  soluzioni tampone e discese verso il basso in ogni tipo di classifica.

Alessandra Ermellino