Disordini in Francia: se 450 poliziotti feriti vi sembrano pochi


Direi che la notizia del giorno, oltre ovviamente al numero notevole di feriti tra le forze dell’ordine e di arresti tra i cittadini, è che Macron ha dovuto disdire la visita ufficiale del re d’Inghilterra Carlo III. Vuol dire che le cose si mettono male, molto male dal punto di vista dell’ordine pubblico e dell’immagine per la Repubblica Francese.
Annullare una visita è un fatto estremo soprattutto se riguarda un re come Carlo III.

Molta gente è inferocita in tutta la Francia e non certamente solo per la regolamentazione delle pensioni. Sono milioni i francesi che non vanno più a votare e che non si riconoscono non solo nei partiti ma nell’Eliseo o in chi è previsto lo occupi ancora per qualche anno.
Per ora le periferie si astengono ma eviterei da parte di giornalisti di sparare cazzate improvvisandosi sociologi.

Il malessere tra chi si sente a pancia pienissima e chi si vede precario è alla base del bordello parigino. Capire come si metteranno le cose nei prossimi giorni è molto molto molto difficile. Prendiamo atto dell’annullamento della visita di Stato. Che non è una cosa minore.

Solo per mio sfizio personale trovate a seguire delle pagine descrittive di altri bordelli (il maggio del 1968) e cosa “serpeggiasse” sotto, dietro, sopra durante quelle giornate violente anche ad opera di agenti provocatori organici a vari servizi segreti. Anche ufficialmente non nemici dichiarati della Francia.

Non dico che ci siano situazioni assimilabili, ma eviterei semplificazioni. In tutto l’Occidente. E all’epoca c’era De Gaulle. Oggi all’Eliseo c’è un ometto fragile fragile come Macron. In molti paesi la rivolta cova. Come si è visto in Grecia, dopo il gravissimo incidente ferroviario (mi dicono che le Ferrovie Italiane abbiano una partecipazione azionaria in quelle greche). Come si vedrà, tra poche ore, in Germania, con i primi scioperi nei trasporti.

Oreste Grani/Leo Rugens

MAGGIO 1968: “FORSE QUESTA È L’OCCASIONE BUONA PER SBARAZZARSI DEL GENERALE DE GAULLE”.

Oggi 23 giugno, primo anniversario della registrazione del blog Leo Rugens, sento il dovere di ringraziare le persone care che mi hanno consentito di pubblicare 840 riflessioni autobiografiche e ragionamenti propedeutici ad estrarre dalla realtà ciò che c’è ma non si vede.

Il post “IPOTESI DI FANTAPOLITICA: DIETRO LE RIVOLTE “CONTESTUALI” IN TURCHIA E IN BRASILE SI INTRAVEDE UNA SOLA REGIA.” è, ad esempio, un omaggio a quanto, da giorni, mi gira per la testa: approfittando di reali condizioni di ingiustizia sociale, culturale ed economica in cui versano il Brasile e la Turchia, abili fomentatori di violenze hanno innescato processi degenerativi  di cui è difficile vedere la fine.

Pubblico, a supporto dei miei pensieri maligni, una pagina tratta dal libro “Cigno” di Luis Manuel Gonzales-Mata.

Nel Quartiere latino il primo moto studentesco scoppiò il 3 maggio 1968, un venerdì. 

Pausa durante il weekend, poi la battaglia ricominciò il 6 a Saint-Germain-des-Prés. La sera di venerdì 10 il Quartiere latino si coprì di barricate. Inutile dire che i servizi segreti non c’entravano per niente: DST, servizi spagnoli, tedeschi, CIA, nessuno ci capiva niente in questa insurrezione. I vecchi dossier erano inutilizzabili, e vi lascio immaginare lo sbalordimento degli agenti segreti quando si trovarono a dover distinguere un trozkista frankista da un trozkista lambertista, o un filocinese del PCLMF da un marxista-Ieninista dell’UJCM-1.

Il colonnello BIanco mi inviò un dispaccio. Dovevo infiltrarmi nel movimento e individuare gli spagnoli che avessero preso parte alle manifestazioni. L’unica preoccupazione di Franco era di evitare l’estendersi del contagio al di là dei Pirenei.

La CIA fu ben più esigente.

Essa mi fece incontrare un membro della missione americana. Era il gran coordinatore dei servizi americani a Parigi e si faceva chiamare Donavan.

“Lei deve continuare la sua azione contro il governo francese,” mi disse.

Io (sorpreso): Come?

Donavan: Forse questa è l’occasione buona per sbarazzarsi del generale De Gaulle.

Io: Gli preferite i goscisti? .

Donavan: I goscisti non arriveranno mai al potere, ma se il disordine si allarga, la borghesia francese si spaventerà. Costringerà De Gaulle a cambiare politica, ad allontanarsi dai paesi dell’Est e del Terzo mondo per riavvicinarsi agli Stati Uniti. Oppure toglierà la propria fiducia al generale e la rivolgerà ad altri partiti con i quali potremo intenderci più facilmente.

Io: In concreto, cosa significa tutto questo?

Donavan: Significa che dobbiamo incoraggiare il disordine, creare incidenti tra i rivoltosi e il servizio d’ordine. Solo così scateneremo l’indignazione della maggioranza silenziosa.

Di lì a pochi giorni, Donavan mi informò che la CIA aveva già alcuni uomini all’interno del movimento; si trattava per la maggior parte di ex componenti della Legione o dell’OXS che erano riusciti ad infiltrarsi nei gruppuscoli dell’estrema sinistra.

«Alla Sorbona” mi spiegò, “abbiamo solidi agganci tra i katanghesi, quelle bande che occupano i sotterranei e che si battono con tanta violenza contro la polizia. Lei si unirà a loro. Se lo tenga in mente: vogliamo il massimo dei feriti e dei danni.”

Mi mescolai dunque ai rivoluzionari. Identificai immediatamente numerosi agitatori che si erano infiltrati, agenti segreti, poliziotti in borghese dei servizi francesi, militanti del movimento di estrema destra Occidente, membri del SAC, delinquenti comuni. Tutti costoro si agitavano, sorvegliavano, tentavano di familiarizzare coi capi goscisti. Un giorno raccolsi dei feriti che avrei ritrovato più tardi dietro una scrivania di rue des Saussaies.

Un’altra volta vidi uomini fortemente sospetti attirare una squadra di CRS in una sala per rinfreschi: furono cosi abili che gli agenti finirono per bastonare un matrimonio: la sposa in abito bianco ebbe un collasso cardiaco, dodici invitati rimasero feriti. Poco dopo, altri poliziotti francesi, attirati nello stesso modo, aggredirono una vecchia coppia che scendeva da un taxi. Era esattamente questo il genere di incidenti che la CIA voleva, era a questo che miravano i miei “colleghi”.

Oreste Grani