Il valore e l’onestà di Aldo Giannuli sono  provati dalla rettifica alla svista su questi troppi Boschi che si trovano sparsi in Toscana

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Spero di non essere frainteso quando dico che adoro Aldo Giannuli (capito Emanuela?) e il suo approccio di studioso che non lascia mai la porta chiusa all’ironia. Mi ricorda il grande insuperato critico letterario Paolo Milano che mi rivelava cose non facili da credere con una naturalezza e doppi sensi che erano il vero piacere del capire e scoprire le cose. Giannuli, in queste ore (28 gennaio 2016), aveva consegnato alla rete un j’accuse per la ministra Boschi di tale eleganza che sarebbe stato un gravissimo errore lasciarlo cadere. Al tempo stesso, sarebbe stata una leggerezza prendere tutto per oro colato. Non abbiamo fatto in tempo a  fare verifiche sulla gravissima affermazione contenuta nell’articolo che è arrivata l’autocritica (vedi Francesco Boschi non era il nonno di Elena). Così si comportano le persone serie. Comunque, sbagliando, il nostro, ci ha preso.

Importante quindi è tenere l’attenzione sulla scena a prescindere dall’equivoco e dall’omonimia che si presentava oggettivamente ghiotta. 

Alcune sfumature a corredo degli scritti di Giannuli: Ivan Bruschi (tessera Arezzo n°395), morto ormai da venti anni (1996), non era solo un antiquario ma l’ideatore e il fondatore della Fiera antiquaria di Arezzo; Mario Lebole (tessera Arezzo n°139), già socio di Gelli, si suicidò, nel lontanissimo 1982; il professor Renato Pellizzer, sia pur legato alla Banca Etruria (era stato il Presidente della Etruria Leasing) era iscritto alla Propaganda 2, ma in Siena, tessera n° 682. Pellizzer non può essere più ascoltato in quanto anche lui passato al Grande Oriente ma non da suicida. Da fratelli, in molti si ammazzano, oppure, sono in media ma sembrano di più. Anche familiari di Gustavo Raffi (più di uno) si sono suicidati. Anche David Rossi, risulterebbe suicidatosi, grande amico del successore di Raffi, Stefano Bisi che – per ora – è vivo e vegeto.

Dico questa cosa un po’ macabra dei suicidi massonici, in quanto anche Calvi, banchiere, è passato al Grande Oriente in qualità di assassino di se stesso. Come Alighiero Noschese (tessera n°343), il grande imitatore di voci, che la fece finita con una calibro 38 che, da depresso cronico, inopportunamente, gli avevano lasciato, a disposizione, in clinica. Cosa inspiegabile (non si lascia un revolver carico nella stanza di un depresso) se non dando credito all’ipotesi investigativa che il bravo Noschese avesse prestato la sua abilità vocalica, a volte, al servizio di quei bravi ragazzi, appassionati del bene dell’Italia, come li ebbe a definire il generale Siro Rossetti (di cui non trovo però traccia certa di iscrizione alla P2). E qui ci siamo: il generale Rossetti, dirigente del SID, collega del generale, anch’esso del SID quale Direttore del Controspionaggio, Gian Adelio Maletti (affilato, in Roma, con tessera n°499) e dell’altro piduista accertato, generale Vito Miceli, tessera Roma n°491 (notare il numero progressivo di iscrizione ravvicinato 491/499) non risulta negli elenchi “sequestrati” pur dichiarandosi, senza remore, iscritto e frequentante la loggia massonica. A quale loggia si riferisce e in quale elenco (rimasto segreto?) compare il nome di Rossetti, “reo confesso” della sua affiliazione? Miceli era il capo di Rossetti e Miceli è accertato abbia agito nell’ambito del mancato Golpe Borghese, la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Fa differenza ricordare se uno è entrato “in loggia” nel 1970 o nel 1971. Anche perché, ve ne abbiamo già parlato, a cominciare proprio dai primi mesi del 1971, dalle casse della FIAT (quella potente di quegli anni) escono, destinati in quelle della Loggia P2, in conti correnti anche aperti presso la Banca Etruria, nelle disponibilità di Gelli e Salvini, 3.000 (leggasi tremila!), tremila (leggasi 3.000!) assegni corrispondenti a 15 miliardi di lire, somma che nessuno degli Agnelli ha mai voluto giustificare. La Procura della Repubblica di Firenze verso il finire del ’78, Moro da poco morto e Brigate Rosse ancora super attive, indaga su questo fiume di denaro ma ad oggi, che io sappia (e vorrei tanto saperne di più) nessuno sa a che titolo furono versati. Tenete conto che per mia esperienza personale non ho mai avuto sentore di una qualche filantropia degli Agnelli. Di cose ancora misteriose ne girano intorno alla Toscana, alla Banca Etruria, ai massoni di quelle terre, alla Permaflex e soprattutto alla Dormire di Licio Gelli comprata dall’ENI. La Dormire non faceva estrazioni petrolifere ma all’ENI c’erano piazzati, sin da allora non pochi influenti massoni futuri piduisti.

 Il Boschi che presenta il generale a Gelli non è quindi il Boschi parente stretto della signora Ministra che torna a essere innocente.

Il padre di Maria Elena, non è figlio del Boschi presentatore di ufficiali felloni alla loggia gelliana, ma solo quello che va da Flavio Carboni a chiedere consiglio e soluzioni per gli organici della Banca Etruria, quasi il vecchio sardo fosse un cacciatore di teste dello Studio Ambrosetti e non un malavitoso acclarato.

Vedrete che il preveggente Leo Rugens, quando si sofferma sulla figura di Flavio Carboni, non si sbaglia di molto. Vedrete.

Leo Rugens sempre grato ad Aldo Giannuli per l’opera meritoria di ricostruzioni storiche e di incursioni nel futuro, a prescindere, direbbe Totò, da questo granchio. Come un rondine non fa primavera, un granchio non fa una tempesta. Che non si usa dire, ma …ci può stare. 

Oreste Grani/Leo Rugens