Il rapporto vitale tra il mondo civile e militare va affrontato senza dilettantismi ed annunci eclatanti
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Quindi, signor ministro di Polizia e signora ministra della Difesa, il problema del Paese non sono la Calabria, la Sicilia, la Campania con le relative mafie e come queste strutture criminali, attraverso processi complessi e rizomici, si sono spinte, nei decenni, nelle varie Ostia, ma Ostia presa a sé stante? Non sono certo io a dire che ad Ostia non c’è gangsterismo e violenza (certamente, grazie ad una maggiore vigilanza sul vostro referente politico PD, avreste dovuto svegliarvi prima ma, come si sa, quel ceto politico era impegnato a fare affari certamente non leciti e non bisognava disturbarlo!) ma, forse, le priorità nel Paese sono altre. A meno che, partendo da Ostia, anche via mare, viaggiando a ritroso, non avete deciso di risalire a quei comuni del nostro martoriato Sud dove si gioca la partita del potere repubblicano. Che non lo sappia bene la genovese Roberta Pinotti, non dico che è accettabile (Genova, comunque, con il suo porto, è, da decenni, nel mirino delle mafie) ma che lei, calabrese doc, Ministro dell’Interno, per anni referente dei servizi segreti, ci voglia far credere di aver scoperto solo ora, dopo queste ultime testate/pistolettate, quello che anche questo marginale ed ininfluente blogger sa da anni, non è molto elegante. Intendendo dire che lei ci prende un po’ per fessi e anche un po’ per il culo. Vediamo Maurizio Crozza, venerdì p.v., quando la imiterà, cosa è pronto a dirci di questi suoi stupori e candori dell’ultima ora. Non a caso il Capo della Polizia, Franco Gabrielli, ci sembra essere, saggiamente, fortemente preoccupato di tali semplificazioni ad effetto. Su ben altro terreno si deve giocare il necessario rapporto civile-militare e in vista di ben altre situazioni complesse emergenti/insorgenti tra la gente, anche nelle nostre città, nello scontro all’ultimo sangue che si potrebbe delineare se anche uno dei “tre ombrelli” che fino ad oggi ci hanno protetto si dovesse chiudere.
Gentile Marco Minniti, nel febbraio del 2012, lei era già componente della commissione Affari costituzionali della camera dei Deputati ma, soprattutto, “scaldava i motori” quale presidente della Fondazione Icsa, Inteligence culture and strategic analysis (rigorosamente in inglese!) per dedicarsi alla strategia di sicurezza nazionale. Forte di queste esperienze e, ritengo, di studi approfonditi, dalle pagine del mensile Formiche, oltre cinque anni addietro, ci delineava gli obiettivi di riforma del mondo della Difesa. Nel suo intervento, ci parlava di coniugare (da quando i brigatisti rapirono Moro e massacrarono la sua scorta è sempre più piaciuto questo verbo!) l’esigenza di una “riduzione” delle spese militari (da quel momento in crescente aumento a conferma di come lei vede lungo!) e di attività sinergiche di un “gruppo di testa” composto da Francia (di che parliamo?), Germania (ma veramente?), Regno Unito (spero, per lei, che abbia capito che gli inglesi si sono dati!), Spagna (vediamo come finisce la questione repubblica-monarchia!) e, ultima ma non ultima, l’Italietta nostra che, nei cinque anni trascorsi dal suo pre-veggente articolo non mi sembra abbia fatto passi in avanti a cominciare da sottosegretari alla Difesa che, come obiettivi strategici di riforma, si sono posti il poter andare allo stadio ad assistere al derby Roma- Lazio, con una vettura di servizio o di far mantenere un figlio sfaccendato, a tremila euro al mese, dalle casse dello Stato. Facendosi beccare da quegli agenti d’ambiente che vanno sotto la denominazione di “Iene”. Per queste mandrakate non credo che ci volesse l’istituzione di una Commissione Bilaterale (lei, da ex dalemiano doc, doveva sapere che queste denominazioni portano anche iella) come, per geniale pensata, suggeriva per affrontare le complessità emergenti, interne ed esterne. “Un processo riformatore dello strumento militare nazionale deve essere necessariamente guidato dalla politica”, con lucidità e visione prospettica affermava in quei giorni vicini/lontani. Nel frattempo la politica ha fatto la fine che ha fatto (nessuno se non i vostri clientes e parte dei pentastellati irriducibili) e lei e la signora Ministra della Difesa, state ripiegando sul bagnasciuga di Ostia.
Lungo il litorale (da Ostia fino ad Anzio-Nettuno, per rimanere in prossimità della Capitale), da decenni, la criminalità fa come cazzo gli pare e la politica di cui voi siete espressione non minore, ha fatto sempre pippa. Sono passato al linguaggio triviale che le vostre banalizzazioni (mi sembrano le stupidaggini relative ai 5.000 combattenti da far sbarcare in Libia!) si meritano.
Mettiamo un po’ in ordine sul problema di Ostia/Torvajanica e del mercato che essa rappresenta, d’estate e d’inverno. Ostia, nella sua degenerazione, è questione di criminalità. Punto.
Veniamo a ben altre complessità.
Ogni volta che sento parlare di ‘ndrangheta e della amata Calabria (pur non essendo calabrese come Minniti), mi chiedo se chi di dovere, soprattutto se di origini calabresi, ha fatto tutto quello che doveva fare perché la situazione non degenerasse fino al punto in cui oggi è: la criminalità calabrese, non solo è padrona del suo territorio ma, dal santuario territoriale, si è spinta prima a Roma e poi, su su, fino a tutto il Nord e poi in Europa e in mezzo mondo. Questo fenomeno esponenziale ha inizio negli anni ’70, certamente dopo Boia chi Molla. Il signor ministro era un giovane militante del PCI e si faceva le ossa politiche proprio nella Federazione calabrese e ci si dovrebbe raccapezzare in questa selva oscura.
Per fissare nel tempo il fenomeno di cui vorrei sentire dire cose con la dovuta serietà, uso un articolo recuperato dal n.31 dell’L’Europeo, del 1976 per calarmi, a mio marginale ed ininfluente giudizio, negli anni che creano la transizione culturale a quello che oggi vediamo. O non vediamo. Certamente a ciò che c’è ma non riusciamo ad “estrarre”, fino in fondo, spiantando la mala pianta, dalla realtà di quei territori.
L’articolo, di Duilio Pallottelli, finisce con questa frase: “La mafia non può scomparire se i calabresi non si decidono a farla scomparire”.
Parafrasando questa lapalissiana (ed onesta) affermazione direi che la criminalità ad Ostia non può essere battuta se solo il 37% dei cittadini aventi diritto esce di casa per andare a votare.
L’articolo – del 1976 – comincia con queste parole: “Metti piede a Reggio Calabria, ormai raggiungibile solo via terra, sempre più tagliata fuori dal resto del Paese, l’amico ti prende sottobraccio e dice: “Hanno appena fatto saltare la macchina del presidente del tribunale”.
“Ordine nuovo?”, viene spontaneo in bocca.
“Ma non farmi ridere: il giudice De Caridi aveva appena firmato 50 decreti di custodia preventiva all’Asinara. Il giudice De Caridi è uno che stanga. Loro hanno voluto dare un avvertimento”. Se volete e se avete curiosità, trovate nella rete il pezzo e andate a leggervi il resto del ragionamento. Anzi, ve lo riproduco io. Qualche volta mandatemi un centesimo.
Salto, a piè pari, diciotto anni di cui, spero, sappiate quasi tutto.
Il 23 settembre 1994, a Villa Literno (Caserta), la popolazione si schiera contro gli extracomunitari (così si chiamavano allora) e scende in piazza a manifestare contro gli immigrati. Siamo nei primi mesi del Governo Berlusconi e un quarto di secolo dopo qualcuno, ancora, ritiene che quel vecchio sola possa fare qualcosa per l’Italia. In questo caso strumentalizzando l’Arma dei Carabinieri.
Il 25 settembre, sempre di quel fatidico 1994, Vincenzo Scotti, ex ministro DC di Polizia, viene indagato per associazione a delinquere in una inchiesta sulla camorra. Scotti se la cava ma non è certo un “Caso Tortora”. Eppure, dopo 25 anni, Vincenzo Scotti, guida ancora la Link Campus University, struttura di formazione che pretende di fare addestramento sul tema dell’Intelligence, dell’antiterrorismo e del contrasto alle Mafie. Non ho scritto che Scotti fosse camorrista, dico solo che siamo al colmo, ricordando che allo stesso uomo politico dobbiamo la leggerezza di aver aperto un’autostrada ai campioni del riciclo con la nascita delle sale bingo prima e con l’introduzione vasellinata delle slot machine dopo. Un vero mascalzone, moralmente parlando, che si fa garante dei master sulla legalità.
Ma questi non muoiono mai?
In Sicilia, per finire il trittico, decine di migliaia di voti hanno fatto la differenza tra Musumeci e Cancelleri. Si comincia ad avere certezza che centomila voti (quanti sono bastati) sono stati raccolti da personaggi che davano garanzie alla criminalità di disponibilità a comprendere le necessità di chi vuole scambiare ben altro che semplici voti. Chiudiamo qui. Al resto ci penseranno, se li lasceranno lavorare, Federico Cafiero de Raho, Nicola Gratteri e Ilda Boccassini, tanto per fare dei nomi.
Cari, a tempo determinato, membri del Governo, forse avete pensato di potervi concentrare sul litorale laziale perché è morto Riina e le cose, ora, secondo le vostre notorie capacità di analisi strategica, si dovrebbero aggiustare. Bene, siamo tutti lieti che vi diate da fare ad Ostia con Polizia, Carabinieri, Finanzieri, CIS (l’esercito avrà altro da fare) ma, lasciatevelo dire, meglio se non vi foste distratti negli ultimi 40 anni. Lei, Minniti, certamente, anche per un dato anagrafico e perché, da comunista, doveva stare, per definizione e logica, dalla parte dei vessati dalla criminalità. La signora ministra, diciamo, almeno venticinque. Anche lei comunista. Decenni in cui, è certo, non governavano in Calabria, in Campania, in Sicilia, ad Ostia, a Genova i cittadini pentastellati.
Oreste Grani/Leo Rugens
L’ha ribloggato su Leo Rugense ha commentato:
Questo post – cui tenevo particolarmente – non ha avuto il successo che speravo. Lo riposto e vedete di approfondire. Pigroni!
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