Ci sono più modi per onorare Paolo Borsellino

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Tomba di Paolo Borsellino; Cimitero di Santa Maria dei Rotoli a Palermo; stranamente è l’unica immagine del sepolcro che abbiamo trovato in rete.

Il primo è di evitare di ricordarlo solo oggi.

Questo deve essere chiaro (o eventualmente va chiarito) a chi ha ben maggiori responsabilità istituzionali di questo marginale e, dicono, ormai influente blogger. Blogger che prova ad agire potendo rispondere solo ed esclusivamente alla sua coscienza di uomo libero. Privilegio e limite.

Intendo dire che se uno fa il Ministro di Giustizia deve ricordarsi Paolo Borsellino (e tutti i nostri eroi caduti sotto i colpi delle mafie) tutti i santissimi giorni. Il ministro Bonafede quindi, per l’altissimo ruolo che ricopre, è il primo della lista di quelli che non devono mai perdere la memoria. Ovviamente questo vale anche per i suoi sottosegretari e per i collaboratori sia del ministro che dei sottosegretari. Altrettanto vale per tutti i componenti della Commissione Antimafia a cominciare dal Presidente Nicola Morra, finendo al senatore Mario Michele Giarrusso, finalmente uniti nella prassi e negli intendimenti.  Penso inoltre a chi, nel Governo, ha maggiori responsabilità di coordinamento. Intendo quindi dire che il Premier Conte (uomo di legge) si deve tenere nel recondito della mente, sempre e comunque, l’esempio del sacrificio di Borsellino.

Ci sono modi apparentemente minori di onorare e ricordare i caduti, quali proteggere opportunamente chi collabora con i magistrati nella investigazione della complessità criminale. Passi falsi in questo campo, azzerano, infatti, colpevolmente, anni di lavoro e di pericoli scampati. Da questo settore delicatissimo della Pubblica amministrazione arrivano, troppo spesso, scampoli di verità che non tranquillizzano certo.  Così non si onora certo il ricordo di Borsellino. Si onora vicersa facilitando, a norma di legge chi, anche con modalità atipiche, prende contatto con le Istituzioni dopo aver inutilmente bussato alla porta di procure competenti. Sono sfumature ma che non vanno sottovalutate in questa lotta spietata e spesso impari tra lo Stato e le organizzazioni criminali. Non ho citato il CSM per ovvi motivi di tragica inadeguatezza. Speriamo quanto prima risolti. Così come non cito vicende sconcertanti come la logistica, senza soluzione, del Tribunale di Bari.

Saper ascoltare e non burocratizzare doveva essere una delle riforme culturali che ci si aspettava si facessero strada a Via Arenula presieduta da un “pentastellato”.

Comunque, anche su questo terreno periglioso (chi fa cosa e perché nelle aule di tribunale e nelle cancellerie), avendo 72 anni vissuti (dovete pensare che il colonnello Antonio Varisco, allora capitano, mi faceva entrare in aula, a piazza Cavour, a seguire le udienze di processi a sfondo politico anche se ero minorenne) e avendo visto di tutto, consiglio accorato la vostra attenzione alla sostanza dei fatti e a farci domande sui reconditi motivi (non ho volutamente scritto moventi) delle azioni degli uomini e delle donne. Anche se magistrati.

In queste ore, in televisione di Stato, con modalità giustamente ancora accorate e indignate, Attilio Bolzoni, giornalista siciliano, ricorda che troppi magistrati isolarono Falcone e Borsellino prima che i “mafiosi” li uccidessero. Gli ho sentito dire, pochi minuti addietro, che “neanche per prendersi un caffè fu chiamato Paolo Borsellino” che poteva fornire particolari sull’esplosivo che era pervenuto a Palermo per uccidere proprio lui e i suoi fedeli scudieri.

Sapete, se mi leggete con occhi intelligenti, che invito i miei sedici lettori a guardare al Quirinale soprattutto quando si vivono ore difficili per la Repubblica. Ogni volta che posso do il consiglio di non perdere la speranza certo che, a differenza di quando il Colle era occupato da Giorgio Napolitano, oggi il Presidente, cioè il primo degli Italiani, è persona che ha avuto ucciso suo fratello e, soprattutto, che, ancora, anche lui, come l’ultimo di noi, non conosce esecutori e mandanti di quel delitto che lo colpì. Mi fido di Mattarella come politico, giurista, siciliano.

Onorare Paolo Borsellino vuol dire non dimenticare che la folla, il giorno dei suoi funerali, ruppe i cordoni ed aggredì i politici e le autorità che si erano recati alla funzione. Politici e autorità che furono salvati a stento da una vera e propria “civile” punizione. Civile non incivile. Incivile è che ancora non sappiamo troppe verità e che ancora troppi magistrati risultino collusi con i mafiosi, i massoni criminali, i nazisti istigatori all’odio razziale.

Quello a cui mi riferisco, accaduto durante le esequie di Borsellino, fu un episodio prolungato di iconoclastica purificatrice violenza di cui non sento mai parlare, quasi si volesse, dimenticandolo, esorcizzarlo. Ma io, come ormai sapete, tendo a non scordare sia pure ormai vecchio e tardo come diceva di sé il poeta Mario Luzi, invocando la maestra Ipazia e forse l’amica fine.

Passano gli anni  e ascolto prevalentemente ricordi ipocriti e retorici. E, mentre ascolto, assisto a scelte, dentro e fuori i “palazzi”, che sembrano emulare quei comportamenti che consentirono la feroce “punizione” dei rompicoglioni  Chinnici, Falcone, Borsellino.

Speravo, ve lo scrivo da cittadino sempre più stanco, che, sotto un cielo a cinque stelle, qualcosa cambiasse. Non ho strumenti culturali (bisogna saper scrivere per scrivere di questi inimmaginabili peggioramenti) sufficienti per trasferirvi la delusione che provo a vedere quante piccole vanità sterili guidino le donne e gli uomini in cui avevo avuto fiducia. Piccole vanità e cinismo ambizioso. Cioè formule maggiormente dirompenti e distruttive rispetto a qualunque quantitativo di esplosivo plastico.

A che alludi? A cosa fai riferimento? A niente e a tutto. Certamente a quel molto che so e che, per un mal interpretato senso del pudore, non voglio “buttare in rete”. E il mio modo (sento comunque che sarà l’ultimo) di onorare, oggi, 19 luglio 2019,  la memoria dei caduti nella stage di Via D’Amelio.

Oreste Grani/Leo Rugens