Due Cattivi maestri e una povera cretina



« A fine luglio quando / da sotto le pergole di un bar di San Siro / tra cancellate e fornici s’intravede / un qualche spicchio dello stadio assolato / quando trasecola il gran catino vuoto / a specchio del tempo sperperato. . . ». Vittorio Sereni citato da F. & L.

“La nostra collaborazione alla «Stampa » cominciò nel 1972, poco dopo l’uscita della Donna della domenica. Alberto Ronchey, che dirigeva allora il quotidiano, c’invitò a scrivere per la terza pa­gina un paio di elzeviri al mese su qualsiasi argomento ci fosse venuto in mente, e a questa specie di rubrica appose l’elastico e disadorno titolo di «L’agenda di F. & L. ».

I nostri rapporti col giornale furono dunque n dall’inizio piacevolmente informati, amichevoli, e tali restarono sotto i suc­ cessivi direttori , Arrigo Levi e Giorgio Fattori , e sotto i loro « vice », Carlo Casalegno e Lorenzo Mondo. Tranne qualche blando sollecito durante i mesi estivi, non abbiamo mai subito la minima «pressione », né mai è accaduto che un nostro articolo venisse ri utato, censurato, modi cato (se non talvolta nel titolo, per via della lunghezza). Anche durante e dopo il malinteso con il colonnello Gheddafi (vedi capitolo VIII), « La Stampa » si comportò con noi impeccabilmente; non solo la richiesta della nostra « cacciata » non fu nemmeno presa in considerazione, ma non ci fu rivolto né un rimbrotto né una raccomandazione a es­ sere più cauti per l’avvenire.

L’aderenza a questo « stile » (per non usare una parola più solenne) costò la vita a Casalegno, e ogni volta che prendiamo la penna in mano per commentare a nostro capriccio il minuscolo fatto di cronaca o l’avvenimento di portata mondiale, il libro d’attualità o l’uso di un certo vocabolo, siamo perfettamente scienti del vertiginoso privilegio di cui godiamo. La libertà di stampa, che a molti ottusamente appare come un bene indiscus­so, inalienabile, acquisito una volta per sempre, a noi fa tuttora l’effetto di qualcosa di raro e fragilissimo, un lusso ignoto a quat­ tro quinti degli abitanti del globo.

Certo, i nostri sono di rado interventi « a caldo », né abbiamo l’obbligo affannoso di misurarci quotidianamente con quello che succede nel mondo e fornire commenti, valutazioni, interpreta­zioni che « impegnano » il giornalista professionista e il gior­nale. Noi possiamo permetterei di aspettare. Possiamo pensarci su con comodo. Possiamo scherzare, ricamare, digredire, ignorare. È ovvio che questo genere di distaccata irresponsabilità, se consente da un lato di evitare le cantonate e goffaggini più gravi, spegne d’altra parte ogni possibile illusione circa l’utilità dei propri scritti. Oggi non ha molto senso porsi come modelli i maestri settecenteschi della polemica e della satira giornalistica, né vale la pena di rimpiangere la loro influenza immediata, in­cendiaria, sulle opinioni del cittadino e del principe. Meglio pen­sare che si scrive da un osservatorio semidesertico, per una cer­chia di amatori invisibili che il buon senso suggerisce di ritenere esigua, irrilevante.

A posteriori, rileggendo queste nostre « osservazioni » di tre­dici anni, ci siamo resi conto senza troppa sorpresa che esse ri­ guardano in gran parte la betise, quella stessa di cui Flaubert per primo registrò ossessivamente e insuperabilmente l’apparizione nel secolo scorso. Ad altri il nostro tempo appare dominato da ombre in qualche modo più nobili: l’egoismo, il fanatismo, la cupidigia, l’irreligiosità, l’amoralità, l’ambizione, l’edonismo, la ferocia. Vizi di suono classico, di biblica data, che a noi riesce di cile attribuire plausibilmente a quest’èra definita « di basso romanticismo » da un poeta.

Poco interessanti catene di cause e e etti terapeutici, dietetici, sociali, politici, tecnologici spiegano l’esponenziale proliferazione della betise. Figlia del progresso, dell’idea di progresso, essa non poteva che espandersi in tutte le direzioni, contagiare tutte le classi, prendere il sopravvento in tutti i rami dell’umana attività. È stato grazie al progresso che il contenibile « stolto » dell’anti­chità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica; ma una società ch’egli si compiace di chiamare « molto complessa » gli ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, a destra come a sinistra, gli ha procurato innumeri poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasioni per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per « realizzarsi ».

Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Di­ leggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsape­volezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sem­ pre « un altro »); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, « inferiore », anche quando – agghiacciante fenomeno – vi si abbandona egli stesso.

Un libro come questo non può allora offrirsi che come mode­sto, temporaneo sollievo alle sue vittime minoritarie. Né denun­cia, né rivalsa, né vendetta, ma testimonianza stoicamente ilare, quasi rassegnato sospiro, estremo gesto di reazione quando le braccia tendono a cadere. Tratto dall’« Agenda di F. & L. », e in piccola parte dalla nostra saltuaria collaborazione ai settimanali « L’Espresso » ed « Epoca », il volume non segue un ordine cronologico ma tenta una classificazione per temi della vasta ma­teria: il cretino nella scuola, il cretino in viaggio e in vacanza, il cretino nella pubblica amministrazione, il cretino in politica, il cretino intellettuale, il cretino mass-medianico, il linguaggio del cretino, ecc. Un capitolo riservato alle donne ci ha portati alla curiosa scoperta semantica che dire: « è una cretina » non ha, misteriosamente, lo stesso signicato sferico, irrevocabile, che di­re: « è un cretino ».

Infine, poiché prevalenza non signica (ancora) dominio asso­luto, l’ultima parte del libro raccoglie gli scritti da noi dedicati nel corso degli anni ad alcuni di quegli isolati che, in diversi tem­pi, modi, paesi, si sono battuti e si battono contro il comune ne­mico; ai tristi e lucidi capitani, agli sparsi e preziosi compagni di una resistenza che bisogna pur fare. Sia poi detto che, nell’in­sieme, ci siamo anche divertiti.”

Carlo Fruttero Franco Lucentini, La prevalenza del cretino, Mondadori, 1985, Prefazione



Chi mi conosce sa che compro tanti libri e che quei pochi che leggo hanno su di me un effetto simile a quello che i poemi cavallereschi avevano sulla mente del gentiluomo spagnolo che lottava contro giganti e streghe e infedeli. Mi capita così a volte di non riuscire bene a distinguere se i problemi siano nella mia testa o davanti al mio naso, sicché a volte vengo riportata bruscamente in quella dimensione che i più chiamano “realtà” per il dolore intenso che la mia propaggine discretamente sviluppata mi procura quando incontra un fantasma più in carne di altri.

Devo ammettere e fare ammenda rispetto a un piccolo inconveniente che temo di avere procurato a un amico seguendo una delle mie elucubrazioni relative a un personaggetto che mi era parso vittima della proprio agire piuttosto che del malanimo altrui con la, per lui, spiacevole conseguenza di finire arrestato, quindi di vivere sulle spalle degli onesti che pagano le tasse.

Pensai che se un avvocato, nell’esercizio delle sue funzioni, forse spingendosi un po’ oltre, finisce per essere arrestato meritasse a pieno diritto il titolo di “cretino” così, senza pensarci due volte, lo bettezzai come tale. Apriti cielo!

Tralascio qui per non tediarvi l’evoluzione della questione, salvo rimarcare che mi senta oltremodo certa che l’ennesimo gesto compiuto dal Mr. Wolf lo connoti nei secoli dei secoli come un cretino, il che non risolve la questione ma perlomeno mi fa sentire seduta dalla parte dei giusti. Addirittura, esclamerai caro lettore, carezzando l’idea di associarmi al cretino suddetto.

Io non ci sto! Oggi ho compreso donde ho tratto la filosofia che mi porta con leggerezza eccessiva a definire cretino qualcuno, anzi, ritengo in qualche modo di essere vittima della suggestione esercitata sulla mia anima dai due esimi scrittori: Carlo Fruttero e Franco Lucentini, che instillarono nella mia di allora giovane mente di diciannovenne molto immatura, l’idea che i cretini pullulino sotto il sole come le zanzare nelle pozze di acqua stagnante. Chi sa perché l’immagine di un ambiente liquido e torbido, popolato di insetti e anfibi, mi porti alla mente i volti di amministratori e consulenti accasati sul sacro Campidoglio; devo essere davvero uscita di senno.

Caro lettore e caro amico, ti chiedo di essere indulgente con chi oggi dichiara a gran voce di sentirsi vittima di quei due cattivi maestri, quei due scrittori da quattro soldi che mi riempirono la mente di sciocchezze e fandonie; oggi lo posso affermare con certezza: il Colonnello Gheddafi, morto ammazzato dopo avere causato innumerevoli lutti finanziando terroristi di mezzo mondo, invece di avere operato per promuovere la pace e il benessere nel Mediterraneo, non solo non si dimostrava cretino nell’attaccare con violenza di due letterati, bensì rivelava la statura di un martire e di un padre premuroso nel promuovere le passioni artistiche o calcistiche dei figli.

Chiedo quindi scusa a tutti coloro i quali, contravvenendo ai codici civile e penale o alle universali leggi umane, hanno trascorso parte della propria vita in galera – i Mandela non rientrano in questo genere, sia chiaro – o non sono morti nel proprio letto, ho osato appellare come cretini, giacché, come sanciva scienficamente il maestro Carlo Cipolla, gli stupidi sono pericolosi oltre che a se stessi, agli altri, e i cretini, secondo una mia interpretazione, sono un sottoinsieme degli stupidi.

Dionisia