Sergio Restelli e Giovanni Falcone, in qualche modo colleghi 

Ho conosciuto personalmente Sergio Restelli. Era il 2011. Con me lo valutò, per qualche mese, tutti i giorni l’amico Alberto Massari. Non so lui ma io dal primo momento mi sono chiesto come fosse stato possibile piazzare in una stanza strategica di Via Arenula (all’epoca Ministero di Grazia e Giustizia) un “debole” (per sua cortese ammissione) come il bizzarro Restelli. Con che criterio si arriva in questo Paese a mettere sotto lo stesso tetto Giovanni Falcone e Sergio Restelli? Come avviene il reclutamento, la selezione e la formazione dei “servitori dello Stato”? Perché uno come Giovanni Minoli un giorno tra un drink e una canna (alcuni fumavano anche) lo raccomanda? E chi è pertanto nella storia della Repubblica Giovanni Minoli per poter piazzare uno come Restelli? Direte che è un giornalista. Appunto. Non un uomo di Stato, quindi. Come Maurizio Costanzo, per intendersi. 

Tornando al Restelli, potete leggere (sono confessioni spontanee rilasciate un anno dopo la morte di Falcone e Borsellino) dettagli che lasciano ancora oggi sconcertati. E nel leggerli, immaginate che uno che nella vita assume quei comportamenti (dal tavolo verde alla corruzione) viene innestato nel cuore della P.A. e in particolare nelle stanze dove si reggono le fila della Giustizia. Guardate le date e, senza rabbrividire, pensate anche solo un minuto (almeno sessanta secondi quindi) che le stesse carte a cui aveva accesso Falcone, le poteva esaminare Restelli. Non insinuo nulla (vediamo di essere chiarissimi pena la solita noiosa querela) dico solo che uno che aveva quella predisposizione all’illecito (ammessa da lui stesso con una qualche forma di calcolata ingenuità) non doveva trovarsi al posto sbagliato, in quei momenti drammatici della vita della Repubblica. Lui come altri. Come il setaccio della P.A. faccia passare i peggiori, anche valutati dal punto di vista etico e morale, è il problema del futuro di questo Paese. Restelli anello debole a via Arenula, quindi? Di più. È di questo che scrivo e di questo voglio eventualmente rispondere. Così come del fatto che Paolo Scaroni (quello quasi sempre assolto) gli aveva passato 200 milioni di vecchie lire. Non prelevati dai suoi risparmi. Scaroni all’epoca socialista appassionato come Craxi, Martelli, Nisticò, Restelli, Cusani, Mach, Forte, Chiesa. Scaroni, cugino primo di Margherita BoniverBoniver la vera introduttrice nelle stanze del potere di Paolo Scaroni. Così come lo era stato Giovanni Minoli di Sergio Restelli

Oggi appesantito da tutta la retorica di queste ore su Falcone e Borsellino me ne sono andato a ricordare Restelli e l’organigramma che, graficamente, lo posizionava “sopra” Falcone. Così mentre Falcone viene intercettato a Capaci, Restelli faceva la bella vita e, scordarello, quando ricostruisce le sue appropriazioni non riesce a trovare un qualche modo per ricordare il “collega”, conosciuto a Via Arenula, quando era in Direzione Generale, Direttore degli Affari PenaliDirettore fino al 23 maggio 1992, giorno della strage. Direttore sostituito dopo la “provvidenziale” morte nella funzione da tale Liliana Ferraro. Un ambiente profumato a Chanel n°5?  Direi piuttosto grovigli bituminosi mefitici. All’epoca come oggi, con le dependance al CSM.

Meditate, gente meditate perché il tema della meritocrazia vi accompagnerà nell’ipotesi della ricostruzione. Perché, senza meritocrazia, hai voglia a passare 100.000 euro (sono i vecchi 200 milioni di Scaroni a Restelli) a quel segretario particolare piuttosto che a quell’altro. Vi accompagnerà il tema del contrasto alla criminalità e la condizione in cui ormai è ridotta la Giustizia. 

Oreste Grani/Leo Rugens