Lettera a un amico nato donna

Nota preliminare: i nomi sono di fantasia.

Caro O,
ricordo una lunga conversazione durante la quale mi convinsi che tu avessi il pieno diritto di modificare il tuo corpo per diventare ciò che desideravi fin da bimba: un maschio.

Ciò avvenne di fronte a chi ti amava e che aveva compreso come ciò avrebbe determinato la fine della vostra realazione; così è stato con dolore e distanza.

Non ho smesso da allora di interrogarmi sulla questione, sulle tue ragioni e sul tema che ogni giorno di più viene brandito come una clava da quanti rifiutano di accogliere chi si pone in posizione altra rispetto al sentire comune.

La fortuna ha voluto che un amico mi facesse dono del libricino di Daniela Danna, “La piccola principe” (2018), con il quale ho potuto aggiungere alcuni tasselli a questo grande quesito.

Danna è una sociologa e, spero non si offenda, una militante, nel senso positivo del termine, sui temi legati all’omossessualità, lesbismo, maternità surrogata, in merito alla quale sono curioso di sapere cosa pensa.

Il libricino è idealmente indirizzato alle adolescenti o preadolescenti che sentono di possedere un corpo sbagliato e per questa ragione si orientano o sono orientate a intervenire farmacologicamente se non chirurgicamente per modificarlo.

L’autrice si dichiara fermamente contraria a tale pratica per due ordini di ragioni: la prima inerente la pericolosità dei farmaci prescritti la cui vendita fa gola a Big Pharma, la seconda partendo da un ragionamento che costituisce il nucleo della presente riflessione.

Prendendo le mosse dalla distinzione tra “sesso” e “genere”, Danna si concentra sulla differenza tra la dimensione naturale del primo termine e quella culturale del secondo. “Genere” è di fatto un concetto che origina dall’evoluzione culturale delle società patriarcali, le quali determinano gli stili di vita e di comportamento della donna, orientandola fin dalla nascita. Nulla di nuovo, senonché è dal rifiuto di questa imposizione che nasce il problema.

La donna che prova attrazione per un soggetto dello stesso sesso, si trova di fronte un dilemma o si accetta per ciò che è contro le convenzioni comuni o può arrivare al limite estremo di considerare il proprio corpo un errore di natura cui porre rimedio in qualche modo (farmaci e chirurgia, ovvero la tecnica, oggi lo consentono in certa misura, ovviamente non definitiva).

Se comprende facilmente che la seconda possibilità di fatto spinge il soggetto a sposare in pieno proprio quella cultura patriarcale che nega alla donna la possibilità di amare una sua simile. Ne consegue che per la Danna chi si incammina sulla via della transizione è due volte vittima della cultura dominante.

Oltre alle farmaceutiche, a soffiare sul fuoco, ovvero a sostenere il tema della transizione, uomo / donna o donna / uomo, è una galassia di autori che l’autrice rapidamente connota come elaboratori della “filosofia queer postmoderna”. Qui mi fermo perché la questione diventa più complessa per quanto assai degna di attenzione e per ora a me largamente ignota.

Concludo, caro Osvaldo, pensandoti sempre con affetto e stima, soprattutto come individuo che ha sofferto e probabilmente continuerà a soffrire alla ricerca di un equilibrio che ripari ai torti che da millenni le donne sopportano.

Alberto Massari

P.S. Allego una recensione al saggio che mostra quanto possa essere infuocata la questione e contrapposte le opinioni.

Monica J. Romano#BlogDaniela Danna, piccola principe, transgenere
Ho appena terminato la lettura de “La piccola principe” di Daniela Danna, che affronta il tema delle persone transgenere #FtM adolescenti in modo, a mio parere, alquanto parziale e strumentale.
I percorsi di transizione degli adolescenti sono infatti usati come grimardello per scardinare l’impianto teorico che legittima la stessa esistenza delle persone T sul piano giuridico, scientifico, sociale: ad essere messa in discussione è, infatti, l’esistenza stessa dell’#identità di #genere.
Danna riporta in auge l’errata identificazione del fenomeno della #variabilità di #genere con quello dell’omosessualità, riconoscendo nella misoginia interiorizzata la causa dei percorsi di transizione e autodeterminazione FTM.
Danna ritorna – ignorando volutamente decenni di studi e letteratura scientifica che avvalorano la tesi che la variabilità di genere non rientra nel novero delle patologie mentali ma, semmai, delle variazioni naturali della concezione comune e binaria dei generi – sulla “questione delle cause”, mettendo ancora una volta all’angolo l’autodeterminazione delle persone transgenere.
Il dibattito e il confronto sul delicatissimo tema degli adolescenti transgenere necessitano di competenze trasversali (mediche, giuridiche, sociali, culturali, politiche), esperienza diretta e documentata con il fenomeno e le persone a cui ci riferiamo, onestà intellettuale e assenza di posizionamenti ideologici e strumentali, non di verità calate dall’alto e selezioni capziose di dati e ricerche.