Il preveggente ambasciatore Ettore Sequi e la questione della fedeltà coniugale 

Quindi, se ho ben capito, l’ambasciatore Ettore Sequi, vera guida illuminata e preveggente della Farnesina, tanto che già 11 (undici) anni addietro aveva strumenti di intelligence che gli consentivano di parlarci dei talebani come dei bravi ragazzi avviatisi sulla via di Damasco (nel senso che si preparavano ad una svolta culturale di cui solo lui e pochi altri avevano sentore), ritiene che con quei cattivoni islamici dobbiamo, come Italia e membri della NATO, avviare un dialogo. E questo sostenendo che la guerriglia talibana, di cui tanto si parlava quando lui era rappresentante speciale dell’Unione Europea in Afghanistan (“non è un blocco monolitico” e che tra i satanassi ce ne erano alcuni niente male) ora che si è ritrovata nuovamente in sella (e con dote di armamenti per i prossimi anni), va legittimata, cogliendone gli aspetti migliori. Così, senza un approfondimento, una pausa di riflessione, una verifica di come la pensino realmente i cittadini afghani, questo boss (in neerlandese vuol dire zio o persona importante) della Farnesina ci spinge verso una soluzione negoziale (forse perfino di una cordiale “amicizia” e fattiva collaborazione) con quelli che fino a ieri erano i taglieggiatori dei produttori/contrabbandieri d’oppio e quindi del suo maggiore derivato, cioè l’eroina.

Forse lo sapete ma tra i tanti nomignoli che mi hanno affibbiato c’è anche quello di “taliban” per cui approfitto e forte della cattiva fama dico, anzi scrivo: perché mi dovrei fidare di uno che tradisce la moglie? Direte che se uno tradisce la moglie non è detto che tradisca anche l’interesse superiore della Nazione. Nel mio caso essere “talebano” (cioè intransigente fino al fanatismo) vuol dire questo. Non voglio affidare le sorti della politica estera (cioè tutto) della mia già malandata Italia a uno che è doppio e ad una donna dice una cosa, mentre non la pensa o, peggio, ritiene di poterne avere più di una “contemporaneamente”, da talebano paramussulmano. A noi, che non siamo nessuno, eventualmente (ma noi amiamo e rispettiamo una donna alla volta), il privilegio di tradire. Non chi è ambasciatore. E poi diciamolo, se per caso il Sequi avesse da tempo il vizio di tradire la moglie potrebbe essere stato indotto a farlo più volte, nei tempi passati, nelle sedi in cui rappresentava l’Italia. E a guardare bene le cancellerie dove il Sequi si è buscato la pagnotta rabbrividisco se penso a tutti i casi noti in cui i diplomatici, si fecero mettere in mezzo dai servizi di quei Paesi. 

La signorina Valentina Pizzale sarà pure un persona particolarmente espansiva e “ossessiva” ma su una cosa non è stata smentita dai solerti investigatori: la relazione con Sequi era vera ed è stata consumata. Quando il Sequi era coniugato. Pertanto Sequi è oggettivamente – e in modo documentato – un traditore. Certamente della moglie. Dell’interesse superiore della Repubblica non mi avventuro ad affermarlo visto non solo la querela facile del Sequi ma anche come viene creduto nelle sedi di giustizia. Mi limito a dire che andare a farsi le ossa diplomatiche a Tehran nel 1989 (che annata!), Tirana, Kabul per poi sbarcare a Pechino, passando per la Mongolia (dove le donne notoriamente sono quasi tutte bellissime e hanno la pelle di seta), è per pochi. Ed è per pochi in quelle sedi resistere alle tentazioni. Sedi dove difficilmente agli ambasciatori non si cerca di apparecchiare qualche scherzetto e non in alternativa a qualche dolcetto. 

Oreste Grani/Leo Rugens

Valentina Pizzale