Lo Yemen entra nella guerra civile e gli USA fanno fagotto rapidissimamente
Si scatena l’inferno nello Yemen con centinaia di morti e gli americani, anche da quelle parti, devono allontanarsi in tutta fretta. Boko Haram, in Nigeria e territori limitrofi, si disfa delle spose adolescenti (precedentemente rapite) per non doverle “restituire” a chi dovesse avanzare. in Libia nessuno ascolta più nessuno che si trovi a Tobruk ad autoproclamarsi governo di qualcosa piuttosto che a Tripoli.
L’ insorgenza e non più terrorismo, è quanto stiamo per assistere nello Yemen, ormai precipitato in una guerra civile a tutto campo. Ciò che ci viene raccontato ci sembra pre condizione perché una delle parti provi a passare all’insorgenza armata e, poi, da questa fase, forzi la situazione, in tempi brevi, fino all’atto rivoluzionario della presa del potere. Le insorgenze a cui stiamo assistendo, in più paesi contemporaneamente, non sono colpi di Stato, anche se possono assumere – in alcuni momenti – questa forma, ma fenomeni cruenti decisamente più diffusi. Lo Yemen quindi entra in quella fase di guerra civile che si concretizza in un conflitto combattuto all’interno di tutto lo Stato e in cui la popolazione si scinde in due o più fazioni contrapposte. Queste fazioni si contendono, con le armi, il potere governativo o il controllo di una determinata area territoriale. Questi fenomeni complessi sono in atto sia in Libia che nello Yemen che in Siria che nel nord dell’Iraq che in Nigeria e compagnia cantando. La lotta armata vede partecipare una percentuale notevole della popolazione contro l’autorità costituita nella prospettiva di una significativa ristrutturazione “valoriale” della società.
Stiamo per assistere ad una netta contrapposizione tra componenti della popolazione nazionale o di parte di essa, contro lo Stato o di quello che ne avanza. Questa fase dei conflitti destinati a sfociare in guerre civili lunghe e sanguinose si distingue immediatamente per intensità numerica e operativa, da tutte le manifestazioni o stadi precedenti della conflittualità non convenzionale: agitazione sovversiva, terrorismo e insorgenza. Già quando si entra nello stadio dell’insorgenza riesce molto difficile “mettersi in mezzo”. Solitamente è troppo tardi e si rischia, come quando si ritiene di saper dividere due che si vogliono aggredire brutalmente, di prendersi una “coltellata”. Sentire dire ai nostri improvvisati governanti che dobbiamo “metterci in mezzo” per provare a rappacificare la Libia fa accapponare la pelle e descrive il grado di inadeguatezza culturale di intelligence e classe dirigente. Ormai è troppo tardi. Ormai è già avvenuto che qualcuno pensasse di fare soldi facendo girare, estero su estero, parte dei 5.000 milioni stanziati da Silvio Berlusconi pre risarcire il suo amico Gheddafi. Molti che hanno taciuto su quanto stava per avvenire sono ancora lì a pontificare su cosa si deve fare adesso e anche un dilettante come me se ne accorge analizzando superficialmente le corbellerie che i nostri ministri arrivano a dire. Mal consigliati dal 1969, ucciso Aldo moro nel 1978, continuiamo a raccontarci cazzate e a girarle all’opinione pubblica. Amici lettori, ormai sette, sento il dovere di dirvi che siamo drammaticamente alla resa dei conti e che la confusione aumenterà tra poche ore con il risultato elettorale nella sorella terra di Francia. Anche l’Andalusia potrebbe metterci un carico da “11”.
Oreste Grani/ Leo Rugens