Strane coppie: Bartolomeu Constantin Savoiu e Gianmario Ferramonti

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Bartolomeu Constantin Savoiu

Si legge sul Il Tempo (il quotidiano di Luigi Bisignani e di pochi altri) di oggi, 30 dicembre 2019, che i soliti tipi strani che si spacciano per massoni si sono ri-organizzati in una ennesima misteriosa loggia. Addirittura, leggete leggete, pretendono di essere gli eredi di Licio Gelli. Quello. Il racconto lo fa il giornalista Carlantonio Solimene.

Ad un certo punto della cronaca spunta il nome di Gianmario Ferramonti e lo si descrive come se fosse un personaggio misterioso. Il 22 dicembre 2017 (oltre due anni addietro) pubblicai un post che ne chiariva tutti i contorni. Quasi tutti, in realtà. Se ben ricordo mi scrisse anche lui personalmente. Non ricordo di aver conosciuto personalmente Ferramonti ma l’uomo della CIA Renzo De Chiara (anche suo figlio è ora in organico), certamente sì.

Leggete, se siete appassionati del genere. Ma di che genere si tratta? Da qui cominciano i misteri misteriosi. Comunque, per più e diverse ragioni, eviterei di sottovalutare chi, sia pur avanti negli anni, si dichiara erede di Gelli.   

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Gianmario Ferramonti

Questa è una storia di grembiulini, compassi, paramenti. È una storia, insomma, di massoneria. Il 24 dicembre è per l’Italia un giorno importante. Non solo perché le famiglie si accingono a celebrare il Natale e il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti comunica al premier Conte le sue dimissioni rischiando di terremotare il già fragile governo. Ma anche perché, più o meno in quelle stesse ore, sul canale YouTube della «Marea Loja Nationala Romana – 1880» (la Grande Loggia Nazionale Romena) viene pubblicato un video dal titolo evocativo: «Nuova Loggia Propaganda Massonica 3 (P3)». Si tratta di un filmato di circa venti minuti durante i quali il capo di quella loggia, il generale delle forze di terra romene Bartolomeu Constantin Savoiu, dà un annuncio deflagrante. A suo dire, la Loggia Propaganda Massonica 3, diretta emanazione della P2 di Licio Gelli, ha appena visto la luce e nei giorni precedenti, il 15 dicembre, ha celebrato a Roma la sua prima riunione operativa. A guidarla è, appunto, Savoiu, per volere dello stesso Gelli. 

Millanterie di un mitomane? A scorrere nomi e circostanze che ricorrono in questa storia sembrerebbe di no. Partendo proprio dal generale romeno. Che in patria è presidente di un partito minore (Aliantia Lege si Ordine – Alleanza Legge e Ordine) il cui motto è «Dio è la patria». E in Italia sale alla ribalta della cronaca per la prima volta alla vigilia di Natale 2015. Licio Gelli è scomparso da pochi giorni e ad Arezzo si presenta proprio Savoiu. Che convoca i giornalisti in un albergo di periferia e mostra una lettera del «Venerabile» datata 20 settembre 2014 in cui Gelli nomina proprio il generale romeno suo «erede spirituale». «Ritengo – si legge nella missiva – che tu sia l’unico massone con le qualità adatte per continuare il percorso massonico e di moralizzazione della società intrapreso da me anni fa». Peccato che la moglie di Gelli, la cui presenza era annunciata nell’invito, diserti l’appuntamento. Sarebbe stata l’unica in grado di confermare l’autenticità della missiva. 
Come che sia, dopo 4 anni Savoiu ha dato seguito all’invito – vero o falso che sia – del «Venerabile». E ha tagliato il nastro della P3. Nel video, registrato in quello che appare come uno studio in casa, oltre a mostrare e leggere la lettera di Gelli («ma l’originale è in un luogo sicuro») e la «bolla» della nuova P3, compaiono le istantanee della riunione romana. Impossibile identificare il luogo (un albergo?). Ma altri particolari, interessantissimi, si colgono. Soprattutto la figura che compare al tavolo dei relatori alla sua destra. Non serve esercitare la memoria, perché in una parte successiva del filmato (stavolta il generale è accanto a un albero di Natale) è sempre Savoiu a svelare l’arcano. Trattasi infatti di Gianmario Ferramonti, testè nominato Gran Maestro Aggiunto. Una sorta di «vice», insomma.

Ma chi è Ferramonti? Qui la faccenda si complica. Perché il suddetto è uno di quei personaggi vissuti sempre al confine della storia ufficiale e di quella «occulta» in Italia. Ufficialmente, infatti, è un imprenditore e politico di origine bresciana. Nel ’90 scende in campo con la Lega Nord e diventa amministratore della PontidaFin, cassaforte del Carroccio. Poi litiga con Bossi e fonda con il professore Miglio l’Unione Federalista. Nel frattempo partecipa alla creazione di Forza Italia, An e della Casa della Libertà. Non contento, prova a ricostruire la Dc con Giuseppe Pizza e, infine, partecipa alle ultime Europee nelle liste dei Popolari per l’Italia. Raccogliendo, invero, appena una cinquantina di voti nella circoscrizione Nord/Ovest. 
Fin qui le vicende ufficiali. Ma Ferramonti è soprattutto il faccendiere che vanta legami strettissimi con massoneria e servizi che è entrato in buona parte dei misteri italiani degli ultimi anni. Senza – va però sottolineato – aver mai subìto una condanna giudiziaria. Ci andò vicino nel 1996, quando fu tra i 18 arrestati nell’ambito delle inchieste Phoney Money e Lobbyng aperte dal sostituto procuratore di Aosta David Monti e relative a una presunta organizzazione che riciclava denaro sporco sui mercati internazionali. L’inchiesta ebbe una certa eco mediatica perché ne furono sfiorati personaggi di primo piano come Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Roberto Maroni e, naturalmente, Licio Gelli, che a Ferramonti era legato da anni. Il polverone che si sollevò, però, finì con un nulla di fatto. Ad Aosta arrivarono gli ispettori del ministero, David Monti fu trasferito per incompatibilità ambientale e il presunto grande intreccio tra finanza, massoneria internazionale e politica fu archiviato. Successivamente il nome di Ferramonti, sempre senza rilievi penali, spuntò sia nelle indagini su presunti dossieraggi ai danni di Romano Prodi, sia – è storia recente – nel crac di Banca Etruria. Sarebbe stato lui, sollecitato da Flavio Carboni, a suggerire a Pier Luigi Boschi, papà di Maria Elena, alcuni nomi per i ruoli apicali della banca che stava affondando. «Spinte» che, però, non avrebbero prodotto gli esiti sperati. 

Inciampi che non hanno certo marginalizzato Ferramonti. Che nella Capitale ha continuato a frequentare le persone che contano (politici, giornalisti Rai, imprenditori) e, qualche anno fa, si è dato anche da fare per sostenere l’ascesa di Trump, organizzando un tavolo a una cena della National Italian American Foundation, negli Usa. 
In alcune interviste ha sempre negato di essere organico alla massoneria. Nel 2016 a Il Fatto Ferramonti disse: «Io ho contatti con tutte le massonerie perché non appartengo a nessuna massoneria. E ho rapporti con tutti i servizi segreti perché sono libero, non appartengo a nessun servizio segreto». 
Se è vero quanto ha detto Savoiu nel suo video, ora Ferramonti ha deciso di rompere il tabù e ha preso direttamente le redini della nuova P3. Di certo, sembra essere uno che i retroscena italiani li conosce. In un’altra intervista a Il Fatto, stavolta del maggio 2019, prima delle Europee, pronostica: «Questo governo (il “gialloverde”, ndr) non durerà a lungo, ma Mattarella non scioglierà le Camere. E il prossimo premier sarà ancora Giuseppe Conte. Senza la Lega, ma con ampie convergenze. Scommette?». Incredibile. In un’altra risposta «avvisa» Salvini: «Prima di arrivare al potere temo abbia combinato qualche guaio … ho paura che glieli faranno pagare». Il leader leghista è autorizzato a fare tutti gli scongiuri.  

Fin qui Il Tempo.

Oreste Grani/Leo Rugens. Gran Sciamano Iettatore Aurorizzato che condivide, in pieno, la previsione relativa ai comportamenti tenuti in passato dal posteggiatore abusivo Matteo Salvini. Non so dire se quanto si dovesse venire a sapere del ragazzotto quando era più giovane sarà sufficiente per contenere i consensi che si annunciano plebiscitari ma sul fatto che si verrà a sapere chi sia stato in realtà il Salvini questo lo considero quasi certo. Mi piace scrivere quasi. Un tempo avrei scritto senza quel quasi. Ma Todo Cambia e anche la mia attendibilità, invecchiando, scema.   


L’INFATICABILE STEFANIA LIMITI POTREBBE AVER AFFERRATO IL BANDOLO DELLA MATASSA: LA COPPIA FERRAMONTI-DE CHIARA

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Il torrentizio e allusivo Gianmario Ferramonti attribuisce ad un Pentagono di uomini la fortuna di Silvio Berlusconi. Ad uno dei vertici della solida figura geometrica colloca Bettino Craxi, di cui si sa quasi tutto. In altro, Marcello Dell’Utri di cui si sa abbastanza da aver preso, alla fine della fiera, sette anni che sta scontando e non nel migliore dei modi. A Ennio Doris, finanziere/banchiere (quello del cerchio), il Ferramonti, laconico ma molto sicuro di quello che dice, attribuisce un intervento taumaturgico finanziario a favore di Berlusconi tanto da averlo salvato dal fallimento. A Dario Rivolta vengono attribuite funzioni di sprovincializzazione di Silvio Berlusconi in quanto capace di favorirlo selezionando relazioni internazionali. Tra quelli a cui, secondo Ferramonti, Berlusconi deve tutto, c’è Ezio Cartotto. Interessante questo aver inserito nella figura geometrica, Cartotto, di fatto equiparandolo, in chiave geometrica e armonica, a Marcello Dell’Utri. Dico questo perché se uno ha memoria e ricorda come Dell’Utri, inquisito (uno delle tante volte), descrive il “collega”, si porta avanti nel capire quanto potrebbe esserci di “non detto” nella già ricca intervista di Stefania Limiti. Intendendo dire che questa ricostruzione accalorata del bresciano e le allusioni alla volgare smemoratezza berlusconiana, ci trasporta bene indietro, a quando questi signori, tra loro legati da un patto di natura complessa, sono riusciti a farsi re per una stagione che ancora in qualche modo e per alcuni di loro, dura.

Ezio Cartotto

La figura di Cartotto è particolarmente interessante soprattutto alla luce di chi oggi ritiene che si possa fare irruzione in politica senza essere passati, anche, dall’aula. Non dico dalle Frattocchie, ma da una Lugano qualunque, forse è necessario farlo. Cartotto, a detta di Ferramonti e di chi ha memoria di quegli anni, è stato il vero capo della formazione della futura Forza Italia. A prescindere da quello che ne pensasse Marcello Dell’Utri, il 5 ottobre 1996 interrogato dai P.M. Cristina Bianconi e Luigi Marini.  Dell’Utri, richiesto in aula giudiziaria su chi fosse in realtà Cartotto, ebbe a dire semplificando: “Ezio Cartotto era un …, diciamo  così, un professore della scuola di formazione di Publitalia che svolgeva la materia “Storia delle dottrine politiche”. Questa materia è stata introdotta nel corso di formazione di Publitalia nell’area per così dire “umanistica” già in tempi non sospetti, nel senso che ancora non si parlava neppure nell’anticamera del cervello di Forza Italia o di Berlusconi politico”.

Su questa affermazione cronologica – vera – rifletterei per cogliere la natura sofisticata e atipica di Publitalia.

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“E quindi – riprende Dell’Utri a proposito di Cartotto – aveva un rapporto proprio di docente (il tribunale stava investigando, come al solito, quando si parla di Berlusconi e compagnia di fatture false ndr) in questo centro di formazione, che è tuttora (1996 ndr) esistente in Publitalia, dove – ripeto – oltre all’area manageriale e professionale, c’è un area umanistica, per cui insegniamo Storia delle Dottrine politiche, insegniamo filosofia e insegniamo Storia dell’arte”. Non varrebbe la pena di riportare ulteriormente le dichiarazioni di Marcello Dell’Utri durante quel processo da cui comincia la sua messa sulla graticola finita, come sappiamo, a farlo pagare per tutti, se l’ex tesoriere di fatto della Lega Nord (avete letto bene), Gianmario Ferramonti, non sostenesse che Cartotto è stato determinante per la messa a punto dei fatti concettuali e organizzativi di quella che diviene Forza Italia e quindi ditemi se questa affermazione è cosa minore. Anche perché è abbinata ad un’altra affermazione “forte”: Ferramonti sostiene di essere stato – tra l’altro – l’artefice dello spostamento dell’asse “ideologico” della Lega Nord, dura e pura, a favore di Silvio Berlusconi. E se uno vuole ricordare come Bossi, prima maniera, definiva politicamente il Capo di Forza Italia (mafioso e trafficante di sostanze stupefacenti era il minimo!), di questa operazione, se fosse esistita, non si dovrebbe non tener conto nello studiare la Storia patria dal Biennio ’92-’93, a venire in qua.

Cartotto, vecchio democristiano formatosi alla scuola seria di Marcora, in altra sede, ebbe anche a dire cose intorno alle fortune politiche di Silvio Berlusconi e di come questi se le costruisse (sempre di soldi che non si sa da dove fossero venuti si tratta), del tipo: “Io conoscevo don Giussani, è un sacerdote che mi è stato molto vicino, una specie di confessore personale. In una occasione in cui don Giussani incontrò Berlusconi gli disse: “Lei è l’uomo della Provvidenza”. Giussani lo fece apposta per tirarselo dietro, ma Berlusconi si sentì gonfiare il petto, credette di essere investito di una missione. E si mise a collaborare per le pubblicazioni e per la radio del movimento”. C’è chi sostiene, mai smentito, che a finanziare, dal primo numero, il settimanale Il Sabato, oltre a Vittorino Colombo, senatore democristiano, fu Silvio Berlusconi. Importanti questi dettagli che sono nella mente di Cartotto e quindi di Ferramonti perché ogni volta, come dico in altro ambiente, è sempre importante sapere chi ha presentato chi e da dove uno arriva. Formigoni, ad esempio, viene dal Il Sabato. Così Paolo Liguori o Renato Farina, piuttosto che Alessandro Banfi, o i fondatori del Il Velino, tipo Roberto Chiodi e Roberto Fontolan. Anche Franco Bechis viene dal Il Sabato. Crogioli e affinità, se ben guardate le relazioni tra politica, servizi e potere economico che connotano quasi tutti questi professionisti dell’informazione o del suo contrario.

 

Torniamo a capire come in quel 5 ottobre 1996, Dell’Utri depose intorno alla figura di Carlotto.

Il P.M.: “Ecco, ci può spiegare perché, a fronte di queste prestazioni intellettuali e di docenza, di formazione che svolgeva Cartotto, gli sia stato stipulato nel settembre del 1992 un contratto di procacciamento d’affari?.

Dell’Utri: Certo! Perché è un uomo dal multiforme ingegno. Non solo è uno bravissimo in quella materia li, Storia delle Dottrine Politiche, ma lui è anche un … – voglio dire – un affarista, e cioè sempre si è dato da fare per procurare e procacciare affari a tutto il mondo, è notorio in Italia e forse anche all’estero. Avendo lui la possibilità di procacciare clienti, soprattutto istituzionali, per la comunicazione pubblicitaria, gli abbiamo dato incarico di favorire il …procacciamento di questi contratti di pubblicità. Aggiungo poi, come terza cosa, nel sua sfaccettatura diciamo del personaggio che è stato anche un politico attivo, era il segretario del Ministro Marcora, un giovane bravissimo di promettentissime speranze, che poi fece una carriera politica brillante, stroncata da un infortunio credo con la …l’ATM milanese”.

Potremmo andare avanti per chilometri lineari ma ci teniamo altri verbali per le prossime puntate, perché di queste puntualizzazioni sul come si operava in quegli anni “prima della discesa in campo”, è fondamentale continuare a ragionarne. Stiamo parlando sempre del “biennio esplosivo” 1992-93.

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Certo anche degli altri nomi che vengono fatti nel puntuale pezzo di Stefania Limiti, varrebbe la pena di ragionare. Primo fra tutti, l’americano Enzo De Chiara a cui Leo Rugens, in altri post, ha già fatto riferimento come personaggio complesso e di grande intelligenza. Personaggio che nella mia marginalità ho conosciuto una decina di anni addietro nel suo Hotel Ambasciatori sito nella solita Via Veneto. Da lui ho sentito parlare della politica interna USA, con dovizia di particolari, tenendo conto che un suo figlio è/era certamente nella CIA, quasi fosse un passaggio di testimone di una atipica staffetta. Ebbi la sensazione durante il prolungato colloquio che questo tenesse a dirmi, quasi orgoglioso (cuore di papà) di questa capacità e di questo potere. Il De Chiara era attivissimo in Italia anche nel periodo di massima visibilità di Lorenzo Necci, in Ferrovie dello Stato.

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Era organico (o viceversa?) all’epoca (gli anni diventano venti) anche a tale Giuseppe Santulli Sanso, via della Stelletta 23, in Roma, architetto, primo datore di lavoro di Pio Pompa, personaggio già attivo su questioni che lo legavano appunto a De Chiara e a Necci: insieme studiarono e realizzarono Efeso e la Capsula Multimediale che presentò a Washington la TAV italiana. Triangoli che diventano quadrati e pentagoni quando tra questi spunta Lamberto Dini e il suo organigramma. Suo o di De Chiara, tramite Pompa e Santulli? Da quella “mossa politica” (fu fatto nascere un partito appositamente per sostenere Dini e glielo misero in piedi Pompa, Santulli ed altri) partono altri rizomi che legarono il mondo più propriamente berlusconiano della Mediaset/Fininvest a questi bellinbusti.

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Se devo dire la mia, nella più assoluta semplicità, direi che la figura di Gianmario Ferramonti (soprattutto in coppia organica con Enzo De Chiara), fatta ri-emergere dalla infaticabile “levatrice” Stefania Limiti, potrebbe risultare, anche lui ormai anziano e per questo patriotticamente ben disposto, determinante per fare i conti, una volta per tutte, con il re degli opportunisti doppiogiochisti:lo smemorato di Collegno al secolo Silvio Berlusconi. Che, diciamocelo, a fine vita, se la meriterebbe una stretta di culo.

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Strane coppie, strani triangoli, strani quadrati, stranissimi pentagoni. Direi di non buttare tutto in massoneria semplificando e, al tempo, complicando. Marcello Dell’Utri è sempre stato organico ai Centri Elis e quindi all’Opus Dei, realtà che uno può definire massonica ma, facendolo, prenderebbe una cantonata. Che fosse il referente, sin da ragazzo, di ambienti mafiosi è accertato. Che la criminalità sia organica anche ad alcune logge massoniche è certo. De Chiara è stato della CIA. Quasi sempre essere in CIA ed essere affiliato in qualche loggia autorevole, è la stessa cosa. Ma quelli sono gli Stati Uniti. Che ora sono in mano a non si sa chi. Per ora mi accontenterei di questa opportuna incazzatura di Ferramonti con Berlusconi. Se poi si vuole riaprire il “Caso De Chiara”, Ferramonti è l’uomo giusto.

Anche perché Ferramonti, se ci chiarisse De Chiara (che dovrebbe essere chiaro di suo) e come se ci mettesse a nudo Michael Ledeen. E se ci chiarisse Ledeen poi ce la sbrighiamo da soli.

Oreste Grani/Leo Rugens

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