Pandemia: Ora si va verso l’ignoto, piccoli vanitosi organizzati

Se mai l’indice degli accessi a questo blog possa avere un qualche significato direi che ancora, nella nostra Italia e nel bacino di utenza a cui in questi anni siamo arrivati, non si era colta la gravità della situazione rispetto all’abilità e pericolosità del “coronavirus” in evoluzione. Avremmo visto infatti, nei giorni scorsi, innalzarsi i grafici dei post a suo tempo dedicati alle dinamiche che un frangente come l’attuale si sarebbero messe in moto. Erano post scritti, con largo anticipo (il primo era del 1 novembre 2013), nell’ipotesi che un influenza stagionale evolvesse prima in un’epidemia e poi, poveri noi, degenerasse in una pandemia mondiale. 

Invece, per gli accessi, qualche decimale in più ma poco o niente. Evidentemente, e giustamente, sono ben altre le fonti aperte che vengono consultate. Quelle della GlaxoSmithKline (GSK) ad esempio? Paradossalmente, me lo auguro. Comunque, senza scivolare verso polemiche di alcun tipo (la situazione non lo consente per amore di Patria) è doveroso dire qualcosa d’altro e di diverso dallo scrivere “l’avevo detto” o “andate a leggervi cosa è implicito in quanto si comincia a constatare”. 

Un’epidemia che evolvesse in pandemia in un pianeta interconnesso quale è quello che ormai conosciamo – ad esempio – risolverebbe il problema, apparentemente irrisolvibile, del fenomeno calcisticocentrico della nostra comunità: si chiudono gli stadi e il presidente del presidente del Consiglio di turno (Giuseppe Conti comunque è uno di questi) non avrebbero più nulla di cui parlare. 

Lui e i leghisti, che si chiamino Salvini o Giorgetti.  

Nessuno di loro (temo perfino il ministro della Sanità) sa niente di adeguato all’eventuale scatenarsi della pandemia, inizio “fine di mondo”.  Proverò a darvi un dato semplice semplice: sui primi 15/20 casi acclarati in Lombardia 5 erano medici e infermieri. Bene (cioè male) si definisce pandemia una diffusione che colpisca il 30% del personale delle strutture sanitarie. Capisco che si tratta di piccoli numeri ma attenzione a quest’indizio. La macchina sanitaria prima (quando esiste e quando sia stata “selezionata” per competenza) e l’insieme di quella statale dopo, si ferma se si arriva a queste percentuali.Non a caso quando si studia la sicurezza sanitari (è una delle 9 aeree in cui ci siamo permessi, dieci anni addietro, di dividere l’eventuale Strategia di Sicurezza Nazionale) si lega in stretto rapporto con la Business Continuity. Che altra materia che i nostri governanti masticano poco. Sanno molto di titoli in borsa calcistici ma poco della continuità delle attività produttive qualora si determinasse, tanto per fare una ipotesi surreale, un’epidemia influenzale pronta a virare in pandemia. Cioè di come ci si sarebbe dovuti preparare per organizzare il lavoro, la distribuzione delle merci, i trasporti delle persone, la crisi del sistema finanziario in presenza di elevati tassi di assenteismo. Ma nessuno si è seriamente preparato o ha tenuto nel giusto conto il rapporto tra costi e benefici di una tale contingenza. I corsi di business continuity erano attività preventive per piccolissime percentuali di pre-veggenti  e ora si vedrà. 

Provate a immaginare (tra poco sarà difficile immaginare che è attività della mente quando non ci si deve porre il problema del “miracolo della guarigione”) che per curare (così è nella più diffusa e rassicurante delle accezioni), bisogna conoscere  le modalità di azione di numerose sostanze, farmaci, procedimenti. Bisogna scegliere la fase clinica su cui intervenire, l’anello della catena patologica da spezzare per impostare un piano terapeutico mirato ed efficace. Se dovessimo, con la doverosa crudeltà, usare quanto sta accadendo come metafora didattica, tenete conto che nessun fenomeno sociale necessario di forti cure e di guarigione certa è stato affrontato, con successo, nel Paese. Che sia il cancro della criminalità abbinato ala corruzione o il debito pubblico mai sotto controllo, gli oligarchi che vi guidano, da decenni, si sono sempre affidati al miracolo della guarigione ma mai alla scienza. 

Tenete conto inoltre che nella pratica clinica nel migliore dei casi al medico sono noti alcuni passaggi patogenetici di una malattia (parlo di quanto “normalmente ci affligge) e solo alcuni schemi terapeutici che risultano comunque sufficienti ad intervenire con successo. 

Su ciò che è noto. E non sempre. 

Qui state parlando dell’ignoto e saper affrontare l’ignoto e da illuminati e coraggiosi. O previdenti. Che tali non siamo stati. 

Si salveranno solo le piccole Alice loro si pronte a passare oltre la fredda faccia dello specchio, per ritrovarsi, nel paese delle meraviglie, dove tutto è così noto e così prossimo a noi e, nello stesso tempo, così strano e inconsueto. Stanno per cambiare molte cose e il mondo che vi aspetta vi apparirà appunto ignoto. Vi hanno predisposto a prestare troppa importanza all’apprendimento di ciò che era già noto e quasi nulla a trovare ciò che noto non era.  Ed ora si vedrà quanta sperequazione ci sia stata nel metodo di apprendimento usato grazie al quale nessuno ha provveduto (ma non solo da noi) ad addestrare il cittadino-studente nelle tecniche della scoperta. Si è sempre sentito lamentare un certa indifferenza alla ricerca. Ora si scoprirà che non è una rondine che fa primavera (che brave le scienziate dello Spallanzani a Roma!!!) e che viceversa perché un intero popolo sia colto (e armato) tutto deve essere indirizzato nello studio attento delle regole formali della ricerca, della logica, della statistica, della matematica, delle arti, della politica.Volete che non siano presi dal panico? E perché non dovrebbero ora che li avete indirizzati alla conoscenza dei cori da cantare negli stadi per annientare l’avversario di turno? Volete ora un popolo pronto all’ignoto? Ma se non sanno andare oltre l’ 1, il 2, l’x? Come avete voluto che fossero. I nostri compatrioti, tranne poche eccezioni che confermano la regola – come si suole dire – si stanno ponendo solo il problema che proprio quando sembrava la Laaaaaaaaaaaazzzzzzzzzzzzziiiiiiiooooooo destinata a vincere il Campionato, “ce se messo er virusse”. 

Perché, preparatevi, se va avanti così, lo stadio pieno ve lo scordate e le partite si giocheranno a cancelli chiusi. Che è già sarebbe un buon risultato. 

Leggevo (ma solo io?) oltre dieci anni addietro e ne facevo tesoro:

secondo gli esperti (della GSK?) il rischio di una pandemia influenzale è una probabilità concreta. Esistono pochi dubbi sul fatto che in futuro ci sarà una pandemia influenzale. L’unica incertezza è quando essa scoppierà. Si aveva certezza (ed eravamo a metà 2009!) che quando l’infezione si fosse generata potrà essere affrontata e contrastata solo attraverso strategie integrate. 

Sempre nel 2009 si affermava che alcune nazioni europee  si stavano organizzando culturalmente.

In particolare si diceva che tali Stati si preparavano ad azioni di comunicazione mirata a che scattassero misure personali, quale un immediato auto-isolamento (perfino quando gli individui avessero avuto la percezione dei primi sintomi della malattia); l’uso di mascherine protettive (quelle efficaci, aggiunge il vostro redattore marginale e ininfluente) e un’accurata e regolare pulizia delle mani. Venivano decise la riduzione degli incontri e delle riunioni, la chiusura delle scuole e altre misure atte ad aumentare quella che chiameremo “distanza sociale”. Vi piace la scelta semantica e concettuale? “Distanza sociale”, altro che piazze piene di sardine guizzanti. Poi venivano le contromisure mediche specifiche, quali l’assunzione di antivirali e, quando disponibili, la somministrazione di vaccini (do you know “vaccini”?) prepandemici e pandemici. 

Contestualmente scattava un uso diffusissimo e massiccio di contromisure mediche generali quali l’uso di antibiotici e ogni farmaco di supporto per coloro che già sono ammalati o necessitano di cure intensive per altre patologie. 

E soprattutto (e qui cadranno gli asinelli e i ciucci presuntuosi) un Business continuity planning ovvero la pianificazione di come poter garantire il funzionamento delle attività dei settori pubblico, privato e, più in generale, della società civile durante una pandemia. Non durante le serate del Festival di Sanremo. Di questo avevo sentore, dieci anni addietro, si interessassero alcuni. Preparavano piani quindi sempre ricordando che i piani di per sé non sono sufficienti senza un’adeguata attività di formazione e di addestramento indirizzata responsabilmente verso la popolazione.
Si dovevano spendere, con rigore e intelligenza (ecco la parolaccia pronta) cifre importanti per non ritrovarsi ora a fare spese inutili se non, come al solito, in chiave speculativa.  Alcuni, in queste ore, si stanno ulteriormente arricchendo. E spero che non abbiate dubbi, complottisti o meno che siate. 

Oreste Grani/Leo Rugens

Ora più che mai ho bisogno di aiuto:

Per le piccole cifre abbiamo deciso di prendere soldi da chiunque con le ormai semplici modalità del versamento sul circuito PayPal usando il nostro indirizzo e-mail:  leorugens2013@gmail.com

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EBOLA: L’EVENTUALE PANDEMIA È UNA QUESTIONE DI SICUREZZA NAZIONALE

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Secondo l’OMS, le condizioni affinché si possa verificare una vera e propria pandemia sono tre:

1. la comparsa di un nuovo agente patogeno; (sì)

2. la capacità di tale agente di colpire il genere umano, creando gravi patologie; (sì)

3. la capacità di tale agente di diffondersi rapidamente per contagio. (sì)

Ci sono tutte e tre le condizioni perché EBOLA diventi un guaio serissimo!

Per ora, non vado oltre su un terreno tanto delicato. Mi soffermo solo ad enunciare alcune condizioni di tipo generale che descrivono la situazione peculiare italiana rispetto a qualunque fenomeno pandemico (anche di tipo influenzale) tipo quelli che al livello mondiale negli anni hanno destato più allarme (aviaria ovvero H5N1).

In Italia assistiamo a:

1. un forte aumento del numero delle persone anziane e di soggetti che presentano patologie croniche;

2. all’incremento dei trasferimenti internazionali, con il conseguente forte aumento della velocità di diffusione;

3. l’accresciuta dipendenza della popolazione da sistemi essenziali centralizzati (quali IT,comunicazioni, energia, ecc.) e da sistemi di fornitura “just in time” che sono esposti a rischio di inefficienza in caso di assenze significative degli addetti;

4. la rilevante vulnerabilità di alcuni settori economici in caso di interruzioni prolungate dei servizi;

5. la crescente presenza di ospedali “high-tech”, potenzialmente più vulnerabili in caso di infezioni e in presenza di tassi di assenteismo significativi;

6. la rilevante frammentazione dei sistemi sanitari, con possibili difficoltà di garantire interventi coordinati e rapidi per la somministrazione di farmaci antivirali

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Ho scritto le mie riflessioni sulle pandemie e su Ebola, senza alcun fine o una qualche volontà allarmistica. Viceversa, se ci si pensa bene, qualche “movente” recondito, in questa vicenda, a differenza di Leo Rugens, può avercelo il Direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, dott. Gianni Rezza, quando afferma non esserci praticamente nessun rischio che qualche persona che abbia contratto in Africa il virus Ebola, arrivi nel nostro paese e faccia innescare un focolaio epidemico. Perché, mentre si ammette che ci si trova di fronte ad un’epidemia (termine alla fine usato nei comunicati del Ministero) senza precedenti, sia per numero di persone colpite che che per estensione territoriale interessata (ad oggi Guinea, Liberia, Sierra Leone), si fanno delle dichiarazioni tanto categoriche? Nelle stesse ore, cosa spinge, viceversa, il segretario generale del SAP, uno dei maggiori sindacati di Polizia, Gianni Tonelli a fare affermazioni gravissime nei confronti del suo Ministro dell’Interno, Angelino Alfano e della compagna di partito (Nuovo Centro Destra) dello stesso, responsabile della salute di tutti noi, Beatrice Lorenzin? Se un funzionario di Polizia (esperto) arriva a dire (sia pur ricalcando uno stereotipo) che le nostre autorità, a partire dai ministri Alfano e Lorenzin, continuano a comportarsi come quei ricchi signori che brindavano a champagne sul Titanic, mentre la nave affondava, ci deve essere un qualche motivo di reale preoccupazione. Le esternazioni di Gianni Tonelli, evidentemente, si basano su elementi che gli fanno presumere l’assoluta impossibilità, qualora il fenomeno epidemico  facesse capolino anche dalle nostre parti, di una risposta organizzativa e culturale all’altezza della complessità implicita in una pandemia. Tonelli, conoscendo la scarsezza dei mezzi a disposizione dei colleghi per combattere TBC (tubercolosi), scabbia, perfino casi di lebbra quando operano in soccorso delle “ondate immigratorie” (mancanza di mascherine, guanti comprati con i soldi del sindacato), invita – giustamente – a ragionare, chi di dovere, su quali conseguenze ci potrebbero essere di fronte ad un fenomeno sconosciuto quale risulta ancora essere il virus Ebola. La cosa che “mi manda ai matti”, è proprio questa: perché l’ inesperta Lorenzin, mentre il Governo britannico parla di una grave possibile minaccia per il Regno Unito, esclude, lei o i suoi portavoce, qualunque rischio per l’Italia? Chi mente? Chi ci racconta “cazzate”? Temo, come al solito, che i bugiardi siano i giovinetti cresciuti all’ombra politica del più grande giocatore di dadi truccati, Berlusconi Silvio. Il “conta balle” per eccellenza (sembrano esserselo dimenticato in molti) del milione di nuovi posti di lavoro e, soprattutto, della crisi (italiana/europea/mondiale) che non esisteva, deve aver fatto, drammaticamente, scuola.

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EBOLA si sta diffondendo e, nella nostra marginalità, non vogliamo distrarci. Torneremo quindi sull’argomento soprattuto alla luce di quanto le aziende o le organizzazioni complesse devono prepararsi a fare qualora il “virus” impari a nuotare e arrivi anche in Italia. Una pandemia si porta inevitabilmente dietro problemi di “assenteismo” forzoso (anzi, necessario) e quindi una vera e propria rivoluzione culturale dell’organizzazione del lavoro (telelavoro?) durante la fase virulenta della “malattia”. Una pandemia può arrivare a determinare fino a tassi di assenteismo del 50%. Potete capire che ci si trova di fronte a materia che riguarda “prioritariamente” la sicurezza nazionale. E, come al solito, temiamo di scoprire,in chi di dovere, inadeguatezze se non responsabilità maggiori. Sinceramente, questa volta, speriamo di sbagliarci.

Leo Rugens