Prima di riprovarci ricordiamo di chi ha tradito le aspettative

Dietro alla pandemia si delineano questioni che se fossi all’altezza definirei di natura istituzionale (non solo ovviamente in Italia) ma, e questa è la mia vera chiave, principalmente morale. Quella in essere è una mutazione storica che è tale perché la storia dell’uomo (l’unica che ci deve interessare) potrebbe cambiare dando un significato diverso alle nostre singole vite di contemporanei e per le generazioni future. Non parlo di estinzione ma certamente siamo come genere umano di fronte ad una super prova. Mi sembra di aver lasciato scritto, anni addietro (era il 6 maggio 2016 non a caso giorno del mio compleanno), qualcosa di sensato (ovviamente non l’avevo pensato io altrimenti tale non sarebbe stato) intorno al tema del tramandare e quindi del saper trasmettere valori, carburante particolarmente necessario nei momenti drammatici. Nel pensiero di Philippe Ariés si fa riferimento al fatto che “una società cambia, talvolta brutalmente…“. Direi che, in quanto a brutalità ci siamo e ancora una volta penso di aver saputo scegliere, con largo anticipo e preveggenza, i materiali didattici per la scuola “Preferisco di no! Ovvero come formarsi all’aristocratica arte del ritirarsi“. Luogo di formazione cui si apprende, questo è e sarà sempre il mio fine, come si arriva a saper servire, sentendone l’orgoglio di poterlo fare, piuttosto che servirsi della Repubblica. 

ARRIVATO ALLA MIA ETÀ

Philippe Ariès

Arrivato alla mia età sento il dovere di soffermarmi su un pensiero che avevo scelto, anni addietro, per invitare gli ipotetici allievi della mia vagheggiata e non voluta da nessuno scuola (Preferisco di no. Ovvero come formarsi all’aristocratica arte del ritirarsi) a riflettere sulla necessità/capacità di trasmettere/tramandare. Senza altro aggiungere, ve lo affido:

Il problema della sopravvivenza di una società consiste nell’assicurare la trasmissione delle conoscenze e dei valori che essa ritiene essenziali. L’educazione è, sotto questo profilo, l’insieme degli strumenti che una società adotta per garantire tale trasmissione. Da questo punto di vista è evidente che la trasmissione avviene in blocco: un sistema completo e coerente non tollera alcuna modificazione che non sia inconscia o involontaria. La trasmissione deve permettere la conservazione integrale di tutto ciò che costituisce la singolarità di una società, di tutto a cui una società è fortemente attaccata. Vi sono momenti in cui questa trasmissione avviene male o non avviene più. Si potrebbe però sollevare un’obiezione: una concezione così conservatrice dell’educazione-trasmissione si oppone ad ogni cambiamento e condanna la società all’immobilità. A breve termine e secondo la considerazione miope dei contemporanei, certamente; ma una società cambia, talvolta brutalmente, più spesso nel lento movimento delle sue leggi profonde, un movimento inavvertito dai contemporanei. Questo movimento, o piuttosto questa deriva, prima o poi ha ragione delle forze inerziali abituali dei costumi educativi proprio perché in generale non è avvertita e intesa, perlomeno nell’arco di una generazione”. Philippe Ariès

Oggi, come mai mi era successo prima, mi sento un’Erma Bifronte, testimonianza di passato e futuro. Mai – come oggi – mi sento giovane e vecchio, impastato di paura e coraggio, di realtà e di illusione, di ordine e disordine, di piacere e dolore. Sento su di me odore di noto e di ignoto, di luce e di ombra, di transitorio e permanente, di vero e di falso.

Oreste Grani

Fin qui il post del 2016.

Tutto il racconto che ho affidato a questo blog (e per chi mi conosce personalmente anche durante tante conversazioni) mirava ad essere pronti (nei limiti del possibile) qualora la fase post bellica avesse teso ad esaurirsi risolvendosi – in qualche modo non troppo traumatico – la contrapposizione del dopo Yalta, ad un tempo connotato da una “piacevole” e “consolidata” democrazia durante la quale dedicarsi, in serenità e benessere economico, alla transizione complessa verso un mondo caratterizzato da quella che in molti ormai hanno imparato a chiamare infosfera o Quarta rivoluzione industriale di Turing. Senonché sia il passaggio dal transitorio e “freddo” al normale che a ciò che si poteva prevedere sulla soglia della grande rivoluzione informatica, si è rivelato più difficile del previsto perché non solo la discontinuità col passato non si è realizzata (in realtà non si è mai del tutto risolta, in Italia in particolare dove una sorta di guerra civile strisciante non si è mai placata) ma proprio quando sembrava arrivato il tempo (11 milioni di voti al M5S erano uno degli indizi) la flotta dei cigni neri pandemici ha fatto la comparsa all’orizzonte con il suo carico di cattive abitudini se non addirittura (vedremo se mi sbaglio) vere e proprie “strutture di peccato”. Mai come in presenza della morte, i vecchi vizi (corruzione e i ladrocini di Stato intrecciati con e grazie ai rizomi massonici mafiosi) sono tornati a dilagare tra e grazie alla complicità degli oligarchi partitocratici. Sta qui il grave pericolo che connota la fase: chi comanda è espressione, nella sua quasi totalità, di quel mondo che un tempo fu descritto con immagine chiara e di facile lettura per tutti gli italiani onesti proprio dall’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Bisogna azzerare la zona grigia. Bisogna asciugare la palude della corruzione, in cui le mafie prosperano“. Giustissimo. Anche perché se prosperano loro, noi altri moriamo d’inedia. E al tempo per usare le parole di Isaia Sales, lo storico delle mafie “se può esistere una politica senza mafia e perfino (ormai un manipolo di eroi ndr) in lotta contro la mafia, non può darsi mafia senza l’appoggio della politica”.

Ergo, continua Sales, “se le mafie continuano ad esistere (e penso che nessuno voglia negare la loro crescita esponenziale negli ultimi dieci anni ndr), ad avere potere e ricchezza (si pensi solo al patrimonio nelle disponibilità di tale Roberto Recordare ndr) vuol dire che la politica (mi addolora doverlo ammettere anche quindi quello che fu il M5S ndr) non ha fatto tutto il suo dovere“. E di questo dato certo se si vuole, con coraggio e determinazione, ripartire a “fare politica”, anche andando a riempire il vuoto lasciato dalla inadeguatezza del MoVimento, bisognerà tenere lucido conto. Di questa frustrazione bisognerà valutare l conseguenze prima di dare vita a nuove organizzazioni del consenso civile e culturale rispettando persone, specialmente al Sud, smarrite e amareggiate per i troppi tradimenti subiti. L’ultimo, lo ripeto, quello ad opera dei pentastellati. 

Comunque, sia pure doverosamente in “allerta”, siamo a disposizione essendo la speranza l’ultima a morire.

Oreste Grani/Leo Rugens