Adelante, Edgar Morin!

Ricevo e pubblico. In realtà, mettendo a rischio la mia residua pace, il post, tempo addietro (anch’io ho debolezze strutturali) l’ho sollecitato io stesso alla Bambara che era impegnata, come da anni fa, anche in quei giorni, ad insultarmi telematicamente. Insultarmi è lo sport preferito della dottoressa siculo-milanese ma nonostante questa fastidiosa ossessione non arrivo a sopprimerla fisicamente perché rimane sempre l’ex allieva favorita (con merito) di Edgar Morin. Per una stagione.
Oreste Grani/Leo Rugens
Adelante, Edgar Morin!
Emanuela Bambara
Tra le tante opere concepite dal “pensatore della complessità”, quasi tutte portate a compimento in un “prodotto” materiale, fruibile e trasmissibile (che sia un saggio, una raccolta di studi, un diario o un articolo, una conferenza o una semplice intervista), ve n’è una che Edgar Morin non ha ancora realizzato, alla soglia del suo secolo di età, l’8 luglio 2021. Il “grande saggio” ne ha fatto riferimento nel suo libro “Per uscire dal ventunesimo secolo” (Pierluigi Lubrina editore, 1989). L’opera da lui annunciata e mai nata avrebbe dovuto intitolarsi “Io non sono dei vostri”. Non è un caso, che tra centinaia di pubblicazioni in quasi tutte le lingue del mondo, Morin non abbia dato alla luce proprio quella che più d’ogni altra, forse, potrebbe rappresentarne il tessuto fitto e sgranato dell’identità storica, funzionando come un pass intellettuale per meglio comprendere l’uomo e il ricercatore complesso della complessità, viandante d’eccezione tra due secoli e due millenni, come anche tra le frontiere temporali e spaziali dello spirito, attraversate con il bastone sicuro della conoscenza aperta, forgiato con fatica e passione dal materiale solido e raffinato della straordinaria intelligenza, seguendo la bussola fidata dell’amore, della passione per l’umanità, con il coraggio eroico della libertà propria del nomade, che non sente di appartenere ad alcuna terra né nazione, perché in ciascuna trova qualcosa di sé e qualcosa di sé lascia in dono alla partenza.
Non sarà facile, riassumerne la storia intellettuale e la biografia esistenziale in definizioni semplici e chiare, quando davvero lascerà materialmente la Terra-mondo, Morin. Chiunque si arrogasse il titolo o il diritto di semplificazioni, sarebbe un suo traditore. È più facile dire chi Morin “non sia”. Non è un accademico, non è semplicemente un sociologo, un antropologo o un filosofo, un ecologista o un metafisico. Non è “uno dei nostri”, non è “uno di noi”, anche se in tanti si sono appropriati del suo genio, e in molti, in troppi, in diversi Paesi e continenti, con grande opportunismo, approfittando della stanchezza della sua erranza culturale ed esistenziale, lo hanno sedotto in età matura con la tentazione dell’accoglienza e assimilazione, per cercare – in più di un caso, purtroppo, con successo – di trarre profitto da presunte (e spesso false) “comuni appartenenze”, associando illegittimamente il proprio nome al suo in “tende di potere” piantate nelle istituzioni, mettendo a profitto l’avere condiviso brevi sentieri del grande viaggio della conoscenza o l’avere ripercorso le tracce di pensiero su terreni sconosciuti del sapere, il più delle volte saccheggiando compagni di viaggio più intraprendenti e creativi. Chi davvero comprenda e rispetti l’identità anomala e aliena di questo “speciale” studioso migrante e senza fissa dimora, non potrà che trattarlo, invece, al pari di un Socrate del nostro tempo, o ancor più di un profeta, rintracciando nei suoi scritti le orme dei sui innumerevoli percorsi non battuti di indagine sulla verità di “ciò che è, non è, o forse è, è stato e sarà”, non definiti, e infiniti, come infinito è lo spirito che viaggia alla scoperta dei mondi e degli inter-mondi, senza lasciarsi imbrigliare in regole, schemi e metodi, che valgono per i comuni mortali, stanziali in culture e tradizioni, legati a titoli accademici e ruoli sociali, a difesa delle “barriere doganali” tra le discipline e tra le professioni.
Tante volte, Edgar Morin, nei suoi libri, ha citato e cita San Giovanni della Croce, con la sua visione dell’essere umano, quale “essere in cammino”. In una delle poesie, il dottore della Chiesa dichiara: “Per giungere dove non sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente”. Sembra che davvero questo sia il destino terreno di Morin, la sua esperienza, la sua testimonianza e il suo testamento, la sua missione e la sua eredità. In più luoghi, si è definito un viandante, un errante, un migrante, un caminante, con riferimento alla stracitata referenza moriniana della poesia dello spagnolo Antonio Machado: “Caminante, no hay camino”, “Viandante, non c’è cammino”, c’è il camminare, andare per il mondo a zigzag, seguendo il flusso degli eventi, del caso e delle occasioni, con incalcolabili tappe della conoscenza, quando la ricerca si placa nella comprensione di piccole-grandi verità, subito pronti a rimetterle in discussione nel circolo della vita e della sapienza, appena recuperate le energie per riprendere il viaggio della scoperta. Morin ha vissuto pienamente il secolo XX, lo ha esplorato, indagato, analizzato, amato, assecondato e contrastato, testimoniato, raccontato, consigliato, per “fare strada” verso il XXI con mappe cognitive e critiche utili ad attraversare il terzo millennio. È un viaggiatore-ricercatore del mondo, Edgar Morin, non un normale viandante. Il suo procedere all’apparenza casuale non è senza meta; mira, invece, al più ambizioso degli orizzonti: il paradigma perduto, l’essenza più vera e profonda dell’identità umana. Non è un vagabondare dell’intelletto, il suo. Il viaggio comincia da lontano, da quell’antica originaria Promessa e dall’accettazione iniziale del rischio, per la fede nell’umanità. La sua missione è benedetta dalle generazioni di ogni tempo e il suo nome è grande. Adelante, Edgar Morin. Questo tempo ha ancora tanto bisogno di te. Tieni accesa la lampada e aiutaci a trovare la giusta via.