In ricordo di Margherita Hack, da sempre innamorata di Ipazia Alessandrina

Il post è dedicato a Margherita Hack che, proprio come faceva Ipazia d’Alessandria, ha cercato di divulgare l’astronomia, la scienza e l’uso della ragione soprattutto in mezzo al popolo.
Oreste Grani/Leo Rugens
Margherita Hack (Firenze, 12 giugno 1922 – Trieste, 29 giugno 2013) è stata un’astrofisica, accademica, divulgatrice scientifica e attivista italiana.
«Fulgida figura di astrofisica, donna di granitica fattura, autonoma, indipendente, incarnazione del libero pensatore.» |
(Maria Luisa Agnese) |
La madre, Maria Luisa Poggesi (1887-1960), toscana, era di religione cattolica e diplomata all’Accademia di Belle Arti e miniaturista alla Galleria degli Uffizi; il padre, Roberto Hack (1889-1971), era un contabile fiorentino di origini svizzere di religione protestante. Entrambi i genitori avevano abbandonato la loro religione d’origine per aderire alla Società Teosofica Italiana, per la quale Roberto Hack fu per un certo periodo segretario sotto la presidenza della contessa Gamberini-Cavallini.
Hack, dopo aver compiuto gli studi (senza sostenere gli esami di maturità a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale) presso il Liceo classico statale Galileo di Firenze, si laureò in fisica nel 1945 con una votazione di 101/110 con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi (in particolare sulla cefeide FF Aquilae), realizzata sempre a Firenze presso l’osservatorio di Arcetri quando ne era direttore Giorgio Abetti, che per lei restò sempre un modello di scienziato, insegnante e gestore di un centro di ricerca scientifica.

In gioventù Hack praticò con successo la pallacanestro e l’atletica leggera. Fu campionessa di salto in alto e in lungo in campionati universitari (sotto il regime fascista si chiamavano Littoriali). Ricordando la sua adolescenza disse: “Si era tutti nazionalisti, si andava alle adunate, si faceva sport, ci si divertiva un mondo. Sono stata fascista fino al 1938, fino al giorno in cui entrarono in vigore le leggi razziali”. Il 19 febbraio 1944, seppur all’inizio riluttante dato il suo ateismo, sposò con cerimonia religiosa, nella chiesa di San Leonardo in Arcetri, il letterato Aldo De Rosa, suo compagno sino alla fine dei suoi giorni.
È morta a 91 anni il 29 giugno 2013, alle ore 4:30 del mattino, all’ospedale di Cattinara a Trieste, dove era ricoverata da una settimana per problemi cardiaci; da circa due anni accusava problemi di natura respiratoria e motoria. Il marito, Aldo De Rosa, è morto invece il 26 settembre 2014 all’età di 94 anni, per complicazioni legate alla malattia d’Alzheimer. Entrambi sono sepolti nel cimitero Sant’Anna di Trieste.

Prefazione di Margherita Hack
In questo romanzo storico si ricostruisce l’ambiente e l’epoca in cui ha vissuto la prima donna scienziata la cui vita ed opere ci sono state tramandate da numerose testimonianze. Gli autori hanno fatto ricorso a una ricchissima bibliografia, che permette di far emergere dalla lontananza di 16 secoli questa figura di giovane donna in tutti i suoi aspetti umani, privati e pubblici, la sua vita quotidiana, i suoi dialoghi con la gente comune, con i suoi allievi, con gli scienziati.
Ipazia era nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d.C., figlia del matematico Teone. Fu barbaramente assassinata nel marzo del 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo, forse per la sua ami cizia con il prefetto romano Oreste che era nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria.
Malgrado l’amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide, che seguiva le sue lezioni, i fondamentalisti temevano che la sua filosofia neoplatonica e la sua libertà di pensiero avessero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria.
L’assassinio di Ipazia è stato un altro atroce episodio di quel ripudio della cultura e della scienza che aveva causato molto tempo prima della sua nascita, nel III secolo dopo Cristo, la di struzione della straordinaria biblioteca alessandrina, che si dice contenesse qualcosa come 500.000 volumi, bruciata dai soldati romani e poi, successivamente, il saccheggio della biblioteca di Serapide. Dei suoi scritti non è rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un astrolabio e un idroscopio.
Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grandiosa biblioteca. Il ritratto che ci è stato tramandato è di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina.
Ipazia rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatta grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione. Tanti altri martiri sono stati orrendamente torturati e uccisi. Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno fu mandato al rogo per eresia, lui che scriveva: «Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi, similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro Sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi». Galileo, convinto sostenitore della teoria copernicana, indirettamente provata dalla sua sco perta dei quattro maggiori satelliti di Giove, fu costretto ad abiurare.
Il fondamentalismo non è morto. Ancora oggi si uccide e ci si fa uccidere in nome della religione. Anche nei nostri civili e materialistici paesi industrializzati avvengono assurde manifestazioni di oscurantismo, come in alcuni stati della civilissima America in cui si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell’evoluzione di Darwin e si impone l’insegnamento del creazionismo. Su questa strada di ritorno al Medioevo si è messa anche la nostra ministra dell’Istruzione (o dovremmo dire della distruzione?) tentando di cancellare la teoria darwiniana dalle scuole elementari e medie. Perché? Per ignoranza? Per accontentare una Chiesa cattolica che non mi sembra ingaggi più queste battaglie perse in partenza.
Questa storia romanzata ma vera di Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l’odio per la ragione, il disprezzo per la scienza. È una lezione da non dimenticare, è un libro che tutti dovrebbero leggere.

Donne, donne, donne. Tutti le vogliono, a parole.
Addirittura in Vaticano, per secoli anche simbolo del potere maschile, se ne aggirano tante. Anche troppe. E non è un bel vedere. Non perché siano donne, ma per il loro essere lì non per una loro autorevolezza, ma in quanto pedine di maschi, spesso particolarmente squallidi, nel disegnare trame nelle quali una presenza femminile, meglio se pure giovane e di gradevole aspetto, risulta utile all’eventuale innesco di scandali a sfondo sessuale, polveroni utili a nasconderne altri di diversa natura.
Donna è anche la brava giornalista Calabrò, esperta di ciò che non si vede dai tempi di Kossiga, che nel suo interessante blog di donne di Curia ne mette sotto i riflettori un bel po’.
Non tanto la solita Papessa, che continua a ritenere che l’essere spuntata fuori dal salotto della Contessa e lo sbandierare continuamente i dossier Cosea depositati presso un notaio le diano diritto di dire la “sua” (ahahah) su qualsiasi vicenda interna del Vaticano (dal cui tribunale è stata pur sempre condannata). Vale la pena ricordare come la sguaiata signora, già organizzatrice (N.B.: insieme alla Comunità di S.Egidio) del penoso viaggio in Polonia di quel Parcheggiatore Abusivo a suo tempo molto vicino alla Fondazione Sciacca), si affretti adesso a dichiarare (senza che nessuno glielo abbia chiesto) di non essere stata lei a presentargli l’ennesimo “strano” personaggio di nome Capuano, dai conti correnti molto movimentati.
Anche la povera Marogna, mero strumento in mani altrui, le stesse che adesso parlano in sua vece in improbabili interviste (non solo presso TV locali ma anche nella ex Pandora TV, che definire putiniana è riduttivo) e le dettano i memoriali. La Calabrò, tra l’altro, scrive che i parenti della suora rapita ne smentiscono l’attività finalizzata alla liberazione, peraltro avvenuta successivamente al rinvio a giudizio della coppia Marogna-Becciu.
Nemmeno la non più giovane Genoveffa (come la sorellastra di Cenerentola), in arte Genevieve, sedicente ex agente dei “servizi” (quali?), che avrebbe minacciato quel Becciu, residuo dei passati fasti bertoniani.
Di tutte queste donne la Calabrò, l’unica a presentare un percorso professionale almeno ventennale verificabile, ad esempio si domanda (proprio come il giudice Santiapichi) come mai il turco Agca, attentatore del Commendatore dei Crociati, fosse a conoscenza, prima che venisse rivelato, del terzo segreto (anch’esso proveniente da un’entità femminile dalla duplice interpretazione divina e non, dipende dai punti di vista…).
La Calabrò evidenzia inoltre come, sotto al polverone dell’ennesima dama e pure del palazzo londinese (e londinese è anche la società di intelligence che avrebbe agito in Colombia di concerto con la Marogna), si siano mossi silenziosamente flussi di denaro. Da/verso alcuni luoghi estremamente delicati: oltre alla solita Russia (ma c’è qualcuno che non faceva affari con Vlad?), anche la Popolare di Vicenza. Con tutto ciò che questo comporta (e che spiega anche tutto il frenetico agitarsi di barbe finte!!).
https://www.justout.org/single-post/geopolitica-di-uno-scandalo-200-milioni-della-sds-investiti-in-un-fondo
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A dimostrazione che la Calabrò “la sa lunga”, riporto di seguito un articolo, presente nel suo blog (dove, notare bene, gli articoli sono pochi e selezionati), che dà conto di un’intervista ad un’altra donna che “la sa lunga” (anche più della stessa Calabrò). Quella che si offre al lettore è una chiave interpretativa illuminante non solo rispetto alle attività della Marogna in Colombia, ma anche in merito al fatto che, proprio mentre infuriano i combattimenti in Ucraina e vengono avviate strane “iniziative di pace”, a Palermo la mafia ha rialzato orgogliosamente la testa, quasi a riprendersi ciò che è sempre stato suo. Tanto più che quel rompiscatole di Gratteri è in Calabria e non a Palermo che sta dando fastidio, puntando i riflettori…
Mala tempora currunt,
https://www.justout.org/single-post/l-assassinio-di-falcone-anche-un-segnale-alla-mafia-russa-un-intervista-da-rileggere
Mi sa tanto che in Polonia la figura penosa sia stata un miracolo di S.Egidio…
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Dove si parla delle imprese di un altro (oltre a Piergiorgio Bassi) Illuminato amico di Baffino, che incrociano quelle di tal Torzi
http://www.giannibarbacetto.it/2019/07/21/popolare-di-bari-loperazione-maltese-di-vincenzo-de-bustis/
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Da Londra alla solita Malta, per poi rientrare a Bari e poi volare in Lussemburgo
https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1254306/crac-popolari-bari-e-gli-incroci-con-il-buco-del-vaticano.html
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Dal sito del belga strenuo difensore di Becciu spunta l’ambasciatore del Sovrano Ordine di Malta presso il governo di Malta, tale Nattino, uno di cui, a suo tempo, faceva saltare Ricucci sulla sedia:
I pubblici ministeri appaiono molti incuriositi da Caltagirone e soprattutto da un pacchetto “ballerino” di quasi il 10 per cento di Bnl, che non vota nelle assemblee, un “blocco” che sembra fantasma o di un fantasma. Formalmente intestato a investitori argentini. Al solo parlarne, Ricucci fa un salto. «Lei che cosa sa degli argentini?», gli chiedono. Ricucci. «Non deve parlare con me di questi argentini~ Lei si convochi Bonsignore e Caltagirone e se lo faccia dire, che lo chiede a me? Io non so niente. Conosce Caltagirone? Lo convochi. Conosce Bonsignore? Lo chiami. Sa chi è Catini? No. Si chiami anche lui. Tutti e tre. Si mette qui e se lo fa spiegare, ma che glielo dico io? Io non so niente~ Si chiami quei tre~ Anzi non sono tre~ Chiami anche la Banca Finnat e Giampiero Nattino. Chiami Vincenzo De Bustis («un banchiere che ha rapporti privilegiati con D’ Alema» si legge nell’ “Intrigo”, ndr). Sa che cos’ è la banca Finatt? Chi è Nattino?». «E che fa questo Nattino?». Ricucci. «~Ma lei vuole che a me mi uccidono stasera qui dentro. Lei forse non si rende conto di chi sta a toccare lei. Mi faccia la cortesia, lei lasci perdere questo dottore~ io lo dico per me poi, se lei vuole andare avanti, lo faccia. Lei fa quello che gli pare, ci ha 600 persone che la proteggono, ma a me chi mi protegge? Nessuno, su questa roba~». Ricucci bluffa? Drammatizza? Spara balle? Naturale che i pubblici ministeri vogliano tornarci su, qualche interrogatorio dopo: «Adesso parliamo della banca Finatt». Ricucci. «Senta, dotto’ , secondo me, la Finatt è una banca molto vicina a~ al mondo della massoneria, di clienti molto~ ma comincio dall’ inizio~ E’ un fatto che io, quando sono dovuto scendere al 4,99 in Bnl, l’ operazione l’ ha curata tutta la Finatt per conto di Caltagirone, le azioni mie finirono a Bonsignore e mi sembrò tutto molto strano. Perché non farlo direttamente? Ma ci fu un altro fatto, più importante di questo. Quando sono entrato io in Bnl c’ era un patto che io ho dovuto accettare: Caltagirone poteva nominare due consiglieri di cui il presidente della Bnl. Dopo un po’ , io dico a Coppola e Statuto (anche loro immobiliaristi e azionisti Bnl): ma scusa, i soldi so’ soldi, il cinque per cento mio è come il tuo non cambia niente, dico: perché avete accettato questa clausola? Ma lui, Caltagirone, rappresenta anche altre persone, mi rispondono. All’ epoca si parlava di questo Macrì, che erano però tre fratelli argentini. Da quello che io ho capito però le cose non stanno così. Me lo spiegò una volta Francesco Frasca, il capo della Vigilanza. Era l’ aprile del 2005, prima dell’ assemblea della Bnl. Frasca mi disse: ~ tanto poi quelli, gli argentini, fanno riferimento all’ ingegnere Caltagirone. Ma, dottò, la verità è che un conto sono gli argentini, che di quel dieci per cento avevano soltanto il cinque, e che appoggiavano Caltagirone – è vero, me lo aveva detto proprio lui – un conto è l’ altro cinque per cento che era direttamente di Caltagirone appoggiato su hegde funds. Me lo disse, anche Frasca, quando mi incontrò a maggio del 2005. Mi disse: “l’ Ingegnere Caltagirone che comunque ci ha di più (del 5 per cento~)” e Fazio era comunque informato di questa cosa perché Caltagirone è amico di famiglia, sono amici di famiglia, mica è amico mio». I pubblici ministeri ritornano ancora, e più volte, sulla Finnat: «Perché lei assegna alla banca Finnat questo ruolo centrale?». Ricucci sbotta: «Ah, da quando ero piccolo così, lo sa tutta Italia che la massoneria~ De Bustis, Caltagirone, Nattino sono tutti~ la massoneria».
http://www.korazym.org/52599/sopralluoghi-a-londra-allorigine-della-tempesta-finanziaria-60sa-che-si-e-abbattuto-sul-governo-del-papa-mettendo-in-pericolo-il-pontificato-e-la-chiesa/
Per la cronaca, Nattino è stato assolto recentemente per le vicende di cui si parla nel lungo articolo del belga. E una Finnat srl ha sede a Paola (Cosenza) e dal 2014 si occupa di impianti idrici.
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