Ablyazov: l’ennesimo caso di Alto Tradimento. Dobbiamo interrompere questa sequenza. Anche traumaticamente

Umberto Improta
Le complessità che ruotano intorno al Copasir (vedi casi Kazakstan e Snowden) consigliavano di non eleggere un leghista a presidente della “commissione”. I leghisti, chi più chi meno, sono le donne e gli uomini del porcellum, dei diamanti e dei terreni acquistati in Tanzania, delle lauree fatte acquisire al trota, degli insulti razzisti e sguaiati a chiunque non sia “ariano/padano”, delle frodi per le quote latte, dei voti (ben accetti) della ‘ndrangheta trapiantata al nord.
Per mesi, noi di Leo Rugens, ci siamo permessi di segnalare che intorno al Copasir e alla necessaria Strategia di Sicurezza Nazionale si sarebbe giocata la partita della sovranità dell’Italia.
Tutti i servi di se stessi e di paesi terzi, o i cretini organizzati nel Parlamento, hanno fatto in modo che non fosse eletto un cittadino italiano a vigilare sul Copasir. Ora teniamoci il padano Stucchi che certamente, avendo disprezzo per il tricolore, non opererà con le motivazioni necessarie.
Sicuramente un presidente quale è Stucchi difficilmente saprebbe scavare nel passato fino a trovare il nome del “giovane Improta” e scoprire che per inadeguatezza o eccesso di subalternità, l’encomio il giovane funzionario se lo era già conquistato sul campo in un altro scandalo Sisde: quello della zarina e del prefetto Malpica. Scandalo che Leo Rugens non vuole dimenticare. Anche perché Oreste Grani, negli anni in cui si rischiava la vita, ha conosciuto il padre di questo ingenuo (inadeguato?) Improta. Per non dimenticare: con un’incursione dei NOCS al comando di Umberto Improta, dopo 42 giorni di sequestro il 28 gennaio 1982 fu liberato a Padova il generale statunitense Dozier. Fu lo stesso presidente Reagan a congratularsi via telefono per la sua liberazione. Il sequestro Dozier è considerato l’episodio che segna l’inizio del declino delle Brigate Rosse in Italia dopo gli eventi degli anni di piombo.
In un post, già pubblicato il 17 ottobre 2012 scrivevo: “Lei però il nome – gentildonna – non lo ha mai voluto mettere a verbale. E nemmeno ha voluto confermare se era poi riuscita a incontrarlo. Agli amici del Sisde aveva raccontato che l’attore l’aveva colpita perché le ricordava un “antico amore di gioventù “. E, dopo averlo visto in televisione, aveva chiesto a Maurizio Improta, figlio del questore di Napoli e funzionario della questura di Roma, di informarsi in Argentina e di procurarsi l’indirizzo del divo. Il giovane Improta aveva eseguito.”
Di seguito vi “beccate” tutto il post:
48/LA CALUNNIA – QUISQUILIE, PINZILLACCHERE E IL FUTURO DELL’INTELLIGENCE
Ciò a cui assistiamo sono “quisquilie e pinzillacchere” rispetto a quanto è accaduto e potrebbe ancora accedere.
L’anonimo che, per semplicità ho soprannominato Amalek, nello sferrare il suo attacco il 14.2.2012, volendosi mostrare informato della mia biografia, scriveva che sono originario di Benevento e che lavoravo stabilmente a Roma. Chiunque mi abbia anche una sola volta incontrato per lavoro, ricorderà che nelle presentazioni di rito, oltre a mettere sull’avviso l’interlocutore riguardo la mia atipicità, bizzarria e forse “pericolosità”, faccio spesso riferimento alle mie origini meridionali. Quando devo dire che sono nato a Benevento, ho il timore che – per uno che come me pone al centro dei suoi interessi professionali la necessità di una strategia di sicurezza nazionale – possa essere associato, visto anche la mia età, ad ambienti, rimasti a oggi ancora sconosciuti, che hanno consentito a Matilde Paola Martucci da Ginestra degli Schiavoni (Benevento) di divenire, nel SISDE di Malpica, la “zarina”. Nessuno ha mai saputo da dove arrivasse e come fosse entrata al SISDE, in qualità di segretaria personale del direttore Riccardo Malpica.
Spero che il perfido Amalek non mi voglia tra le molte nefandezze che mi attribuisce, ascrivermi una fantomatica raccomandazione alla mia concittadina perché il prefetto la assumesse. Torniamo a cose serie o tragicomiche.
Matilde Paola Martucci ebbe tanto potere da consentirle di girare il mondo, senza giustificazioni di servizio, spendendo a ogni giro (leggete bene) decine di milioni di lire. A spese dello Stato (come lei stessa ammette) si fece inviare in Argentina per conoscere la star di una delle telenovelas da lei preferita. Non vi sto prendendo in giro. È negli atti legali e gli italiani dovrebbero non dimenticare cosa è possibile arrivare a fare del denaro pubblico prima di inorridire, come stanno facendo ora, delle ostriche di troppi impotenti, illusi degli effetti afrodisiaci dei suddetti molluschi.
È vero che una volta è andata in Argentina per conoscere un attore? Il pubblico ministero Leonardo Frisani, compassato come un maggiordomo inglese, si concede un attimo di frivolezza: in fondo questa storia del divo delle telenovelas deve aver incuriosito perfino lui, che ama solo i bilanci e i numeri. Matilde Paola Martucci. Paoletta per gli amici, “la zarina” per i giornali. Sorride. Ne ha passate troppe per prendersela. “Così dicono. Diciamo che fu uno spunto per fare un viaggio da sola…”. Subito Frisani torna inquisitore: si tratta di un viaggio pagato dal Sisde. “No, il Sisde ha pagato solo il biglietto, il resto l’ho pagato io”. Quindi non è che lavorasse poi così tanto, replica il pm. Pochi minuti prima, infatti, lei aveva “spiegato” i premi milionari con la straordinaria mole di lavoro che le toccava svolgere, “anche il sabato e la domenica…”. Comunque sia, la signora andò in cerca del divo. Si ignora come sia andata a finire, e si ignora anche il nome del fortunato. Dovrebbe trattarsi di Osvaldo Laport, interprete sia di “Milagros” sia di “Renzo e Lucia”, due fra le telenovelas più amate dagli aficionados del genere.
Lei però il nome – gentildonna – non lo ha mai voluto mettere a verbale. E nemmeno ha voluto confermare se era poi riuscita a incontrarlo. Agli amici del Sisde aveva raccontato che l’attore l’aveva colpita perché le ricordava un “antico amore di gioventù “. E, dopo averlo visto in televisione, aveva chiesto a Maurizio Improta, figlio del questore di Napoli e funzionario della questura di Roma, di informarsi in Argentina e di procurarsi l’indirizzo del divo. Il giovane Improta aveva eseguito. Chi dovrebbe conoscere tutta la storia è la mite Ileana Jesurum, ostetrica e accompagnatrice prediletta della “zarina”. Lei c’era, in quel famoso viaggio. E naturalmente anche per lei il biglietto lo aveva pagato il Sisde. “Ecco, se ho sbagliato è stato in questo”, ammette adesso la signora. Ma Ileana Jesurum ha già deposto in aula, e non sono riusciti a cavarle granché. Le due si erano conosciute quando Paoletta aveva messo al mondo il figlio Alberto. Era nata un’amicizia, e da allora la povera signora Jesurum, il viso stanco di chi ha patito troppo, si era ritrovata nel ruolo faticoso di “dama di compagnia”.
Gallo Giuliano, dal Corriere della Sera del 6 luglio 1994
“Con i soldi dei fondi riservati, la zarina comprava per sé e la sua famiglia, case e gioielli” dice Piero Messina, che è uno che se ne intende e che, soprattutto, sta raccogliendo e pubblicando testimonianze circostanziate di ex agenti dei servizi e di ufficiali ancora in servizio permanente effettivo, ma disgustati da questi mille e mille episodi che rendono inutile da troppi anni, se non dannosa, l’esistenza dei servizi.
Per tornare alla Martucci, quanti giovani avrebbero voluto avere, in quegli anni, una madre che regalasse loro 350 milioni per mettere su una attività nel settore turistico, come lei fece per il figlio Alberto Luzzi? Il giovane tuttavia non riuscì a fare buon uso dei fondi riservati. Se i gusti televisivi della zarina e le sue inclinazioni sessuali e i suoi viaggi per il mondo misero alla berlina il Servizio civile, le incursioni dei collaboratori esterni alla “Francesco Pazienza” nel SISMI fecero altrettanto danno per la reputazione complessiva del nostro sistema di sicurezza. Continuo a raccontare queste vecchie storie, perché come vedete, datano spesso negli anni tra la fine della prima repubblica l’arrivo del berlusconismo. È, ad esempio, alla fine del 1993 che si inaugura la prima grande epurazione nel mondo degli agenti segreti italiani. I dati pervenuti al Parlamento in quei giorni erano di 73 agenti rimossi nel SISDE, 66 nel SISMI e 13 nel CESIS. A riposo anticipato vanno 330 del Servizio militare, 129 da quello civile e 25 dal CESIS. Bene! Voi direte. No, perché come spiega un esperto e abile funzionario dell’intelligence italiana, Luigi Stagno, “La maggior parte delle persone che fu epurata era ovviamente quella coinvolta nelle indagini della magistratura, ma sopratutto colleghi che non avevano protezione politica. Sarà così anche nel 2007, quando, con la nuova riforma dell’Intelligence si procederà a nuovi licenziamenti“.
Anche oggi (17.10.2012) la stampa da notizia dell’uso privato che il senatore Papa faceva del denaro pubblico, inducendo funzionari del AISI a mettergli a disposizione il parco vetture per accompagnare la moglie e le amiche a fare spese (ovviamente all’insaputa le une delle altre… o no).
Tutte occasioni “diabolicamente” mancate. Ma non poteva non essere così, perché non c’era e non c’è il documento di riferimento strategico cui ispirarsi – quello che chiamo da anni Ubiquità – Intelligence culturale e Strategia di Sicurezza Nazionale – né una scuola di settore all’altezza di una concezione della concorrenza, della meritocrazia e dell’onore che devono andare in simbiosi e osmosi, per creare opportunità per i migliori che si dimostrino tali per merito e non per nascita e nepotismo. La fiducia nell’ideologia del merito, sarà la base dei criteri formativi della scuola e il sistema educativo diventerà lui stesso il motore della democrazia e questa “macchina intelligente” porterà alla ridefinizione del concetto stesso di democrazia. Il sistema educativo che propongo selezionerà al sevizio pubblico i migliori per quella funzione. Cercare in tutti i modi di fare questo ha un senso, mentre la via del reclutamento per raccomandazione, grave in tutti i settori della cosa pubblica, è vera follia autolesionista nel settore dell’Intelligence.
Oreste Grani
I racconti documentati, le fonti aperte attendibili dicono tutto. Basta, intelligentemente, usarle e farne tesoro. Se si vuole servire la Repubblica e non qualcuno. Dobbiamo interrompere, anche traumaticamente, questa sequenza di tradimenti. Alti tradimenti alla Repubblica.
Leo Rugens