Dieci anni passati inutilmente: gli sciacalli (quelli veri) se la ridono mentre la gente muore

LA POLEMICA

Le piroette dello 007

di GIUSEPPE D’AVANZO

Il direttore del Sismi Nicolò Pollari, la spia più amata dalla politica italiana, si dimette. O meglio, “fa la mossa”. Già qualche mese fa, nel bel mezzo dell’affare “Nigergate”, accennò al passo di danza soltanto per ottenere la riconferma dell’incarico. Ci prova ancora, e ancora una volta Berlusconi gli concede fiducia.

D’altronde, che può fare il povero premier? Ha già da maneggiare i pasticci che gli confezionano Calderoli, l’avvocato inglese David Mackenzie Donald Mills, Francesco Storace, manca soltanto di avere sulle spalle uno spione invelenito e vendicativo – magari con la buona memoria di qualche marachella di Palazzo Chigi – per dire amen, addio ai sogni di gloria. Anche a non voler cedere al pensiero maligno, la decisione di Berlusconi è corretta e istituzionale. Non si cambia il capo delle spie a un mese dal voto. Berlusconi lo sa, a quanto pare. Dovrebbe saperlo anche chi mette in scena la commedia di dimissioni assai e prontamente revocabili.

Della piroetta di Pollari, dunque, bisogna chiedersi. Che cosa lo convince a giocare quella carta bisunta? Che cosa lo inquieta? Che cosa vede in pericolo? Nicolò Pollari non è uno sciocco. E’ furbo come una volpe. Sa tenere i fili di giochi doppi e tripli. Muovere Regine e Re su più scacchiere. Per cinque anni è riuscito nell’impresa non comune di accontentare, a Palazzo Chigi, Gianni Letta e di assecondare l’opposizione, rassicurandola di tanto in tanto, quasi paterno, che – no! – non ci sarebbero stati “dirty job”. Coltiva un’ambizione. Restare a galla anche nel caso di un “cambio di stagione”, dopo il 9 aprile. Il capo delle spie pensa come un gattopardo: perché nulla cambi, deve cambiare tutto.

E’ impensabile che rimanga al Sismi, così si dà da fare per accaparrarsi un’altra poltrona. Chiede il comando generale della Guardia di Finanza. Pare che anche qualche gattino cieco del centrosinistra lo rassicuri. Nell’interludio, Pollari muove le sue Torri. Si prepara a spedire il responsabile della Sala Situazione del Sismi, uomo fidato, al II Reparto (l’intelligence) della Guardia di Finanza.

Il progetto è ben congegnato. Una volta seduto nella seggiola di comandante generale della Guardia di Finanza, tutto è cambiato. Ovvero, nulla è cambiato. Quale che sia il nuovo capo delle spie scelto da nuovo governo, Pollari ha in mano il groviglio del “gioco grande”. Può contare sugli ottocento finanzieri che ha chiamato nel Sismi, scegliendoli uno ad uno. Può governare, non per interposta persona, come accade oggi, ma personalmente la Guardia di Finanza e soprattutto le informazioni raccolte dalle “sezioni I” (I come intelligence) radicate nel territorio. Il sistema che Pollari oggi governa da Palazzo Barracchini, sarebbe stato diretto domani da viale XXI Aprile.

Quel che la Grande Spia vuole salvaguardare è l’inedito potere, sbocciato nel corso della legislatura, con l’integrazione tra lo spionaggio politico-militare del Sismi e l’intelligence economico-finanziaria della Guardia di Finanza. Un potere che, se capace di sopravvivere al cambio di regime, sarebbe diventato un moloch con cui una politica debole e un capitalismo fragile avrebbero dovuto fare i conti, stringere patti o subirne umori e voglie.

E’ soprattutto nella trama di questo programma concretissimo che scoppia, come un incendio, l’affare delle “spie all’amatriciana” colte con le mani nel sacco a pedinare Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini. Robetta, si dirà. Errore, errore grave. Pollari sa che quella storia di “zozzate” è quasi archeologia per la procura di Milano (gli arresti erano stati chiesti addirittura nell’ottobre del 2005). Ha ben presente che le indagini sono molto più avanti e si muovono ormai con soddisfazione (a quanto pare) nel campo da gioco del Sismi, che egli dirige.

Non c’è poi bisogno di mago Merlino per vedere l’ordito quasi geometrico di quell’investigazione. O, se volete, quell’investigazione è un banale gioco dell’oca. La “Ssi” di Pierpaolo Pasqua spia a Roma Marrazzo e Mussolini, ma quel che conta è che riceve lavori in subappalto dalla “Polis d’Istinto”, agenzia di security di Emanuele Cipriani. E’ questo Cipriani che fa saltare il banco. E’ l’uomo di mano, diciamo così, di Giuliano Tavaroli, già capo della sicurezza aziendale e responsabile della struttura Telecom che dispone le intercettazioni su ordine della magistratura. Il nome di Tavaroli conduce nel cuore stesso del Sismi. Meglio nell’ufficio stesso di Nicolò Pollari perché Tavaroli, da decenni, non muove passo senza la collaborazione di un carabiniere che oggi, capo della Divisione Operazioni, è il braccio destro del capo delle spie. Già per questa via la procura di Milano allunga le mani sull’intelligence politico – militare. Purtroppo per Pollari, non è la sola.

Al Sismi gli investigatori ci arrivano anche con un altro domino. La Ssi di Pierpaolo Pasqua si avvale della collaborazione di due finanzieri di Novara che il loro ex-comandante considera i “suoi ragazzi”. L’ex-comandante è oggi il capocentro Sismi di Milano, una piazza che il braccio destro di Nicolò Pollari – il capo della Divisione Operazioni – considera un suo personale “terreno di caccia”. Con tanta nera nuvolaglia all’orizzonte, il direttore del Sismi decide di anticipare i tempi.

Prima che gli saltino al collo, dà fuoco alla casa con la commedia di dimissioni, da subito revocabilissime, e attende i soccorsi da quella rete di relazioni politiche che ha tessuto per cinque anni con la pazienza di un ragno. Se la ragnatela regge, sarà salvo e potrà ancora coltivare il suo sogno di potenza. Se inopinatamente si lacera, sarà perduto. Ecco allora perché pretende che i soccorritori si diano da fare, presto e bene e subito. In nome di che cosa?

Il fatto è che Nicolò Pollari non può vantare alcun merito. Il suo, è lo straordinario caso di un capo delle spie, ammiratissimo e protetto dalla politica e da buona parte dell’informazione, che non ne ha mai imbroccata una. Lo diresti, un maldestro, un incapace.

Nulla ha saputo dei maneggi che precedono e frollano l’affare Telekom Serbjia che avrebbe dovuto distruggere Prodi e Fassino. Nulla ha saputo delle manovre di tre pitocchi – tutti o in servizio al Sismi o fonti del Sismi – che combinano il falso “dossier Nigergate”, formalmente il documento che “giustifica” l’intervento anglo – americano in Iraq. Non si è accorto delle presenza di ventinove agenti della Cia in gita a Milano per sequestrare illegalmente un egiziano cui l’Italia aveva offerto asilo politico. Si fa prendere per il naso dall’intelligence siriana che, per togliersi di dosso il sospetto di essere canaglia che finanzia il terrorismo, gli organizza un falso attentato all’ambasciata italiana di Beirut.

Mai che le sue informazioni su un “prossimo attentato” di “cellule in sonno” abbia trovato una conferma. Non ha visto alcuna opacità nel lavoro della “centrale di ascolto” di Telecom. Come è cascato dalle nuvole quando gli hanno detto che, in giro per la Capitale sotto la sua finestra, c’è un’arrangiata banda di spioni che, origliando e falsificando, vuole manipolare addirittura un’elezione. A guardare i risultati, Pollari appare uno zuccone. Naturalmente, non deve essere così se la società politica ha tanto a cuore il suo destino. Il capo delle spie deve avere qualche risorsa nascosta, segretamente custodita, da far valere nel Palazzo. A questa misteriosa “cosa” è appeso il futuro del suo progetto di potere. Soltanto il tempo e la cronaca ci diranno se la pazienza del ragno sarà premiata.

(12 marzo 2006)

L’articolo di Giuseppe D’Avanzo è del 12 marzo 2006 e questi sono i dieci anni passati inutilmente a cui si riferisce il titolo.

Gli sciacalli (quelli veri) se la ridono mentre la gente muore.

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Se la ridono come facevano gli speculatori durante la notte del terremoto dell’Aquila. Se la ridono perché terrorismo e business, a breve, sono una sola cosa. Se la ridono perché, sorniona, dietro questo bagno di sangue, ci potrebbe essere una verità che vi potrebbe sconvolgere se coincidesse  con i loro piani affaristici e di potere.

Come siamo soliti fare, proviamo a ricordare ciò che è già accaduto, per non distrarci sull’oggi. Ogni schifo è possibile in un Paese dove quello che è descritto nell’articolo del 12 marzo 2006 è avvenuto. Se è avvenuto quello che è avvenuto, perché non dovrebbe avvenire che le sorti della nostra gente venga affidate alle mani “straniere” di Marco Carrai? Da uno schifo all’altro, passando per la demolizione delle istituzioni repubblicane che ormai sono state anestetizzate e asservite ai nuovi padroni, complici oggettivi dei sanguinari tagliagole. Il paradosso è che i complici si vogliono spacciare per i salvatori della Patria. Per quello avevamo sperato che l’iniziativa del giovane pentastellato Angelo Tofalo fosse l’inizio di una riscossa nel campo strategico dell’Intelligence culturale. Ma l’iniziativa si presenta ancora debole e Tofalo deve accettare subito di rafforzarla con l’aiuto e il sostegno di tutti i colleghi e di quella parte di cittadini (i voti furono milioni e non devono mai essere considerati cosa propria) che volessero intervenire sul tema. Questo rafforzamento e innesto è urgentissimo o anche questa opportunità si sfarinerà inutilmente. Con la farina ci si può fare il pane ma per fermare l’orrore, oltre che sbocconcellare un panino, bisogna sapere cosa e come fare “resistenza” e come organizzare l’offensiva contro i nemici della Repubblica alcuni dei quali li ricordiamo dire cose “fumose” proprio al convegno del M5S tenutosi ormai lontano nel tempo:18 dicembre 2015! Cominciamo a pensare che l’annuncio, quel giorno, sia stato dato, inutilmente. Così cominciamo a temere.

Il male lavora “full time” e i bravi ragazzi del M5S, temo, solo “part time”. In questo gap, ci potrebbe essere annidata la minaccia e l’attacco proditorio al Movimento. Ritenere che studiare quattro carabattole alla Link Campus possa essere sufficiente, potrebbe rivelarsi essere mortale per il tentativo che l’intuizione intelligente sembrava prefigurare. Ci vuole (ci voleva?) ben altro per fermare il “carro armato” Carrai. Che, oltre a tutto, ha un cognome che, con i “carri armati”, ha una certa assonanza. E non solo un cognome.

Oreste Grani/Leo Rugens