Il Canale di Suez 15 – Pompeo De Angelis
L’assemblea degli azionisti si aprì alla data prevista. Erano le ore due del pomeriggio del 15 maggio 1860. Una folla di interessati premeva alle porte dello sfarzoso salone Hertz di rue de la Victoir, Paris. Erano presenti anche i corrispondenti delle maggiori testate giornalistiche europee. Alle tre e mezza, M. Ferdinand de Lesseps, presidente della riunione, entrò dalla porta riservata accompagnato dai membri del consiglio d’amministrazione. Prese posto sul palco con a fianco il duca d’Albufera, vice presidente e M. Conrad, commissario del viceré d’Egitto presso la Compagnia Universale. Il primo punto dell’ordine del giorno riguardava la formazione dell’ufficio dell’assemblea. Vennero eletti scrutatori due dei più forti azionisti: il dottor Bergonnier, portatore di 1000 azioni e M. Cairol portatore di 600 azioni. Fu nominato segretario M. Paul Marrau. Gli altri quattro punti dell’o.d.g. riguardarono: 2) lettura del rapporto del presidente, 3) voto sulle conclusioni del rapporto, 4) nomina della commissione per la verifica dei conti, 5) voto sull’applicazione dell’art. 29 dello statuto, cioè sulla delega annuale al consiglio d’amministrazione. Il presidente esordì con lo slogan “Il mondo attende da voi un grande progresso e voi volete rispondere all’attesa del mondo.” Svolse la relazione in due punti: 1) origine e costituzione della società, 2) stato attuale dei lavori. Per cui, prima espose un incatenamento di fatti per convincere gli altri del diritto, creato dalla Compagnia, a una marcia “progressiva e conciliante” verso la costruzione del canale fra Occidente ed Oriente, fino al presente riuscita. Espose la cronologia del progetto: 30 novembre 1854, il viceré Said Pascià concede oralmente il suo beneplacito ad aprire l’istmo di Suez; 10 maggio 1855, Il viceré formalizza la concessione alla costituenda Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez di scavare il canale fra il Mediterraneo e il Mar Rosso, aperto alle navi di tutte le nazioni, da lasciare in gestione per 99 anni alla Compagnia stessa. La concessione rimaneva subordinata alla ratificata dal Sultanato ottomano; 31 ottobre 1855, viene costituita una Commissione Internazionale Scientifica per un sopralluogo sul terreno dell’istmo, per stabilire il tracciato del canale, per appurare la fattibilità del progetto principale e delle opere collaterali. Fu scelto il tracciato dell’ing. Luigi Negrelli.
I dati della Commissione Scientifica, condensati in un Rapporto con le relazioni tecniche, le tabelle statistiche e il preventivo delle spese, fu messo a diposizione degli ingegneri, degli scienziati, dei politici e dei giornalisti; 29 dicembre 1857, consegna del Memorandum sul canale di Suez al sultano ottomano Adbul Meji, per ricevere la ratifica della Sublime Porta; 9 – 30 novembre 1858, raccolta delle azioni per un totale di 200.000 franchi; 15 dicembre 1858, fondazione della Compagnia del Canale Marittimo di Suez, sulla base dei 200.000 franchi raccolti; 12 febbraio 1859, approvazione del piano dei lavori preliminari del canale da parte del consiglio d’amministrazione; 25 aprile 1859, apertura del primo cantiere a Peluse-Port Said; 9 giugno 1859, blocco dei lavori e del cantieri da parte del ministero degli esteri egiziano in attesa del beneplacito della Porta; 24 ottobre 1859, il consiglio d’amministrazione della compagnia chiede la protezione del governo francese e ottiene l‘iniziativa dell’imperatore Napoleone III per un negoziato internazionale tra stati europei e impero ottomano inteso alla ratifica della concessione di M. Ferdinand de Lesseps; 20 gennaio 1860, la Porta dichiara di non avere obiezioni contro l’impresa del canale e chiede un accordo fra la Francia e l’Inghilterra sulle conseguenze della comunicazione fra i due mari; 1 febbraio 1860, riapertura dei cantieri nell’istmo di Suez e convocazione dell’assemblea degli azionisti della Compagnia per il 15 maggio 1860. La relazione del Presidente proseguì elencando i dieci cantieri di lavoro operanti nell’istmo di Suez.
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A Peluse-Port Said, il cantiere importante, in cui si concentrano gli approvvigionamenti di macchine e materiali provenienti dall’Europa, in cui è in fase di completamento un faro del 14° ordine. Il molo, iniziato da tempo, avanza già di 300 metri in mare. Nel cantiere sono in funzione le officine per il montaggio e le riparazioni della macchine, compresa quella per la distillazione dell’acqua dolce. L’accampamento è dotato di 20 case in legno per gli ingegneri e gli impiegati e di baracche per gli operai e di una panetteria. I lavori avvengono sotto la sorveglianza di M. Laroche.
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A Zaheireh, un isolotto nel lago di Menzaleh, il centro delle comunicazioni della Compagnia
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a Kantara El-Krausè, dieci case, in mattoni, in pisé (terra cruda), in legno. Una fabbrica di mattoni e un forno per la calce.
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a El-Ferdan, 18 Km. a sud di Kantara, accampamento, due case in muratura, due in legno e un pozzo di cinque metri di profondità.
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sul bordo del lago Timsah, accampamento di Bir-Abu-Ballah e restauro del pozzo dove, in tempi biblici, Giuseppe riconobbe suo padre Giacobbe.
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a sud del lago Timsah, accampamento di Tussun, 33 costruzioni in pisè, nelle migliori condizioni per usarle da ospedale, da alloggi, da magazzini, da panetteria, da stalle. Il luogo abbonda di pietra, di carbonato di calce e di gesso. Eletto come centro di approvvigionamento dei cantieri fra Timsah, Port-Said, il Cairo e Suez. Esiste un pozzo e l’acqua dolce sarà portata da una derivazione dal Nilo.
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a Serapeum, accampamento e due case. Scavo di un pozzo di 9,50 metri di profondità.
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tra Serapeum e Suez, nel bacino dei laghi Amari, cava di pietra calcarea a Gebel – Genedè. Accampamento, tre case, su un altopiano di 150 metri. Scavo di un pozzo.
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nel monte Attaka, cava per le pietre in grossi blocchi.
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A Suez, l’ingegnere idrografo Larousse dispone di una imbarcazione per studiare la rettificazione dello sbocco del canale sul Mar Rosso.
I cantieri di Lesseps divennero una meta turistica per un gruppo di francesi entusiasti dell’opera immensa, che tanto veniva propagandata in ogni municipio del loro paese. Il patriottismo spinse un gruppo a organizzare una gita nell’istmo, che fu poi raccontata sulle colonne de “La revue des duex mondes” del 1° ottobre 1861, con un articolo intitolato: “Une carovane française en Egipte au printremps de 1860”, firmato da Louis de Séngur.
A febbraio del 1960, il gruppo dei turisti era al Cairo. I capi principeschi che dirigevano l’escursione, avevano in cuore di fare un doppio pellegrinaggio, l’uno a visitare i lavori dell’istmo di Suez, l’altro attraverso il Monte Sinai per risalire a Gerusalemme, per cui avevano combattuto la guerra di Crimea. Il viceré, messo al corrente dei desideri dei principi, designò Linant-Bey, ingegnere e geografo molto noto, per accompagnatore. Mise al servizio dei francesi un colonnello di artiglieria, Murad-Bey, che fu definito “simpatico”, perché aveva ricevuto in Francia la istruzione militare e perché era il genero del celebre colonello Sèves, un soldato di Napoleone I, che fu rigeneratore militare dell’Egitto, protagonista dell’affermazione della dinastia di Alì, onorato a corte con il nome di Soliman Pascià. Il colonnello chiese due settimane per riunire la carovana. “Riposatevi – disse loro – e preparate le vostre forze!” I pellegrini usarono quei quindici giorni per visitare i luoghi che ricordavano la campagna di Napoleone, tra cui la piana delle Piramidi. Girarono per la città e ne furono delusi. Il narratore esclamò: “Viaggiatori, badate bene a non visitare il Cairo.”
Giudicarono che non era la città delle mille e una notte. Esclusi i bazar che conservavano il colore delle fiere e l’odore delle spezie, l’abitato era laido senza linee parallele delle strade, ma con viottoli contorti e senza case perpendicolari, ma inginocchiate su se stesse. Le moschee non apparvero in miglior stato. L’autore spiegò agli altri (l’autore era un intellettuale e gli altri dei militari in congedo; non risulta ci fossero donne) che i sovrani musulmani furono sempre pronti a costruire qualche moschea nuova, che conservasse il loro nome, il loro ricordo e la loro tomba, piuttosto che restaurare quelle dei loro predecessori: edifici fragili, con decorazioni, che si staccano dalle pareti dopo poco tempo. “Si capisce che gli uomini che le costruiscono sono mobili come la sabbia – diceva l’autore – e basta loro una illusione.”
Il viceré fece invece una ottima impressione: parlava il francese come un parigino, possedeva l’ésprit gaulois e ornava la conversazione di calembour. Ricevette gli ospiti nel forte Saidieh. Quando furono radunati nella cittadella, il sovrano gridò: “Un po’ di musica!” e cinquecento cannoni risposero con una triplice salve. Fu servita una cena alla turca. Gli europei vennero coperti da salviette bianche da capo a piedi e fatti sedere, non sui cuscini, ma per fortuna sulle sedie, davanti a piatti dì argento da cui prendere il cibo con le mani. Il vicerè si divertiva molto a vedere come si sporcavano le vesti e i baffi con le salse. La conversazione fu brillante ed eccitò Said Pascià, perché trovò una corrispondenza d’amorosi sensi con gli ospiti, che fumando il narghilè e sorseggiando il caffè, parlarono di armi, di cavalli, di uniformi e di gradi militari: Un principe disse: “L’armata egiziana ha acquisito un gran prestigio e fa tremare Costantinopoli.” Said seguiva la tradizione bellicosa di suo padre e dei suoi due fratelli morti, veri soldati, senza mai essere stato a capo delle truppe in una guerra. Al chiaro di luna, sul piazzale, 25.000 uomini della fanteria, della cavalleria, dell’artiglieria eseguirono una parata, che fece venire in mente agli ospiti la disciplina dell’armée francese.
L’8 marzo Murad-Bey ordinò alla carovana composta di centocinquanta cammelli, di otto dromedari, di undici muli, di partire. La prima sera, i carovanieri si accamparono a Bulbeyes dove ancora si vedeva il verde. Durante la notte cambiò il tempo e il giorno dopo affrontarono il deserto sotto un cielo colore ottone, niente nuvole. I cammellieri gridarono: “kamini”, parola che vuol dire “cinquanta” a dare una qualifica a un periodo di cinquanta giorni in cui il vento del Sud divora l’aria, brucia i raccolti, agita il veleno nel corpo dei serpenti e degli scorpioni. La notte era soffocante e le mosche fosforescenti creavano un pulviscolo luminescente nelle folate di vento. Il racconto dell’autore commemorò i cammelli: “Perdemmo tre cammelli. In Oriente, la vita degli uomini non conta, ma è un lutto la morte di un cammello. Il cammello agonizzante gettava attorno a lui uno sguardo di addio triste e dolce. Questo martire del deserto, simbolo della pazienza e della rassegnazione durante la vita, non si arresta che per morire.”
A Bir-Abu-Ballah trovarono il primo cantiere della Compagnia. Videro una casetta in pisè (in terra cruda), abitata da tre francesi che riparavano, come potevano, un orto dal kamini. La casa era accanto a un pozzo, ma i visitatori non seppero che era quello del Giuseppe biblico. La carovana in transito, con quattordici tende e con centinaia di animali e di servitori, era impressionante accanto allo sparuto gruppetto dei residenti. Questo di Bir-Abu-Ballah era uno dei cantieri che Lesseps elencava con orgoglio a Parigi, ma, nella realtà modesta, lo spirito era lo stesso, perché, come scrisse l’autore: “ Ci accostammo con emozione a quei compatrioti, arditi pionieri di una civilizzazione di cui la Francia avrà la prima gloria.” La tappa successiva fu sulle colline di Chek-Ennedek, sopra il lago Timsah, il luogo da trasformare in bacino marittimo interno lungo il canale, mentre sull’altopiano sarebbe sorta la città, Tussumville, di cui erano segnate le vie: rue Ruysnaers, rue Mugel-Bey, boulevard Lesseps. Il lago Timsah era un deserto più basso del deserto, il cui suolo era di sabbia e di sale con cespugli rinsecchiti e una pozzanghera d’acqua salmastra in un angolo. In quel luogo dirigeva i lavori l’ing. Cazeneaux e vi abitavano un centinaio di anime. Cazeneaux spiegò che Il fondo era situato a 7 metri sotto il livello del mare e che pareva chiamare l’acqua. “Un giorno i vascelli circoleranno in questo grande lago, oggi vuoto e disseccato e molleranno gli ormeggi sotto la collina d’Elgar”. L’autore proseguiva: “Il 14 marzo dicemmo addio alla colonia francese del lago Timsah”. Il vento faceva tremare le capanne. Tra le nuvole ruotanti di sabbia, il monte Gebel appariva alla luce dei lampi. Apparivano e scomparivano gli occhi dei compagni di Cazeneaux: “Nel fuoco dei loro sguardi si leggeva quell’istinto del coraggio e del dominio, che, tra gli europei cresce nelle fatiche e nelle sofferenze.” La carovana proseguì per Serapeum, dove trovarono solo una casetta della Compagnia. Ai Laghi Amari la stessa solitudine e desolazione. Il vento colpiva una crosta di sale da cui si staccavano conchiglie marine, ma le raffiche del kamsin, cacciate da un vento dell’Est, erano le ultime. Annotò con nostalgia l’autore: “Apparve un volo di rondini simili a quelle di Francia.” Il pellegrinaggio proseguì sul letto del canale Amru, che si volgeva verso sud sulle tracce del canale di Tolomeo, fino al golfo arabico, un cammino cavo incassato tra ripe molto alte. “Quando si percorre l’istmo il progetto del canale sembra un restauro di lavori antichi, piuttosto che una creazione nuova.” Infine apparvero i minareti e le case grigie di Suez apparentemente addossate alle rocce gialle del monte Attaka: una città sospesa tra deserto e mare, senza un orto coltivato, perché senza pozzi. Riceveva l’acqua e i viveri dalla ferrovia egiziana. La rada era occupata da qualche vapore inglese e dai barconi dei pellegrini alla Mecca. L’accampamento dei pellegrini europei, collocato in faccia a Suez, sulla riva araba, con la sua estensione, il suo movimento e i suoi magazzini sembrava far concorrenza alla città. A Suez finì la prima parte del viaggio e cominciò l’itinerario nel Sinai. L’istmo fu descritto da Louis de Sèngur nella sua impraticabilità desertica e con l’inanità delle piccole colonie nei cantieri a maggio del 1860. Il progetto di Lesseps in quella enorme landa richiedeva un miracolo per realizzarsi.
A Parigi, nella sala Hertz, gli azionisti avevano ascoltato la relazione finanziaria di Lesseps. Per la verifica del bilancio, il Consiglio d’Amministrazione propose una commissione composta da tre azionisti e furono candidati Roy-Bry membro del corpo legislativo, Bellet antico notaio di Parigi, Bertrand antico deputato e anziano presidente del Tribunale del Commercio. La votazione si svolse in questo modo: i favorevoli dovevano alzarsi in piedi e tutti lo fecero. Si chiese l’alzata per la controprova e tutti rimasero seduti. Il terzetto fu eletto all’unanimità. La sostanza della relazione di Lesseps era stata: “Al presente, possediamo le risorse per realizzare il canale. I fondi, se non fossero impiegati nell’esecuzione materiale, resterebbero improduttivi e non potrebbero essere piazzati al 5%, che paghiamo agli azionisti. La nostra speranza è di non chiedere altro ai nostri soci finché la comunicazione fra i due mari non sarà stabilita e un gran numero di voi ha manifestato la propria soddisfazione per questa maniera di procedere. La cosa importante è che i lavori proseguano.” In questa maniera, la Compagnia escludeva dall’impresa i soci di altre nazionalità, che chiedevano l’ingresso nell’azionariato: il canale marittimo di Suez doveva rimanere esclusivamente francese.
La pubblica opinione inglese si fece subito avanti. Il Times del 15 maggio 1860, riferì dell’assemblea degli azionisti con queste parole: “ Il primo grande passo di una grande avventura è stato infine raccontato al mondo. … Possiamo affermare sinceramente che non abbiamo nessuna fiducia nell’impresa proposta, ma nello stesso tempo non abbiamo la minima obiezione a vederla eseguita.” Era lo stesso atteggiamento preso dalla Porta di Istanbul, dopo l’accettazione del negoziato internazionale: siete liberi di fallire! Il più grande quotidiano inglese del 17 maggio ribadì il noto parere sulla impraticabilità del progetto con una descrizione dei fatti nell’istmo molto vicina alle impressioni di viaggio di Louis de Ségur, che abbiamo citato. Il quotidiano di Londra scrisse: “Il canale di Suez dovrà essere scavato in un paese in cui la terra stessa non ha solidità e dove l’aspetto della natura viene cambiato da una tempesta di vento.” Gli ingegneri dicono il contrario? Ma essi sono lautamente stipendiati e non conviene loro esprimere scientificamente un giudizio, ma contentarsi della retribuzione. Altrimenti, dovrebbero dire che la pietra, imperativamente necessaria, non può essere estratta che da cave svantaggiosamente lontane dalla linea. Il prezzo a metro cubo di pietra portato sullo sbocco mediterraneo è calcolato a 14 franchi. Un imprenditore che aveva pensato di fornirla a 12 franchi è stato obbligato a riconsiderare l’affare. L’acqua è ancora più preziosa della pietra. I pozzi sono inghiotti nella sabbia e la loro acqua è talmente impregnata di sale che solo i cammelli possono berla. Seguitò a dire, il Times: “La decina di cantieri esistenti, anzi dobbiamo dire progettati, con l’eccezione di due, all’estremità del canale progettato, sono abbandonati. La spesa per condurvi l’acqua di circa 3 litri al giorno per operaio è insostenibile. Qua e là si può ottenere un po’ di verdura, ma una notte di tempesta inghiottisce tutto nella sabbia. Tali sono le condizioni che rendono l’impresa impossibile.” Il giornale aggiunse questa ipocrisia: “Se noi rappresentiamo a M. de Lesseps che il suo lavoro sarà senza benefici, non parliamo per gelosia, ma in semplice spirito i verità e con una abbondanza di ragione.” Anche sulla politica coloniale il Times ebbe a dire: “Gli apprezzamenti sull’influenza francese in Egitto non ha una gran presa su di noi. Abbiamo imparato a pensare assai male delle grandi questioni politiche che una volta spingevano le nazioni alla guerra. Non guardiamo più con gelosia alla costruzione delle grandi vie che conducono a Oriente. Le nostre stesse idee sull’Oriente si sono modificate.” Il romanticismo privato della Compagnia delle Indie Orientali di pochi anni prima apparteneva a un passato che sembrava lontano visto con il binocolo rovesciato della real politik governativa di una potenza marinara, che aumentava la stazza delle sue navi. La Francia imperiale appariva in ritardo, ancora romantica, nello spirito avventuroso delle sue spedizioni di conquista. I soldati francesi partivano e cantavano: “Conscrits, l’arme au bras! / Marchez au pas! / Courez à la victoire!”
Il Daily News del 17 maggio 1860 irrise l’assemblea di Parigi a denti stretti: “Come mai i migliori critici francesi si lamentano sempre della morte della letteratura di fiction, in un paese che annovera un Alexandre Dumas e un M. de Lesseps?” Lesseps fu descritto dal giornale come il conte di Monte Cristo che fa vela con il suo yacht in viaggi di scoperta del Mediterraneo: “M. de Lessepxs continua a pubblicare, a fascicoli, dei racconti che il Monte Cristo stesso potrebbe firmare senza sacrificare la reputazione.” Venne evocato, per connotare i francesi, un personaggio satireggiato del vaudeville: Nicolas Chauvin. Il regime francese fu ritenuto illiberale e sciovinista, da cui la necessità delle imprese gloriose, in luogo delle industrie e del commercio : “Non abbiamo ragione di sorprenderci dei nostri vicini che non avendo una vita pubblica nel loro paese, si portano nel Mar Rosso per compiere una missione degna del genio della Francia. Siamo intrigati nel sapere se il progetto del canale di Suez, divenuto il vangelo di ogni giornalista francese, deve essere trattato come una specie di affare mobiliare nel deserto o come una politica.” Nell’estate, la politica orientale impose alla Francia di armare 7.000 soldati per spedirli in Siria, dove una “guerra civile organizzata” dalla Sublime Porta permetteva ai drusi maomettani di massacrare i maroniti cristiani. Napoleone III pronunciò: “Non vedo come resistere alla opinione pubblica del mio paese, che non capirebbe mai che si lasci impunito non soltanto l’omicidio dei cristiani, l’incendio dei consolati, la lacerazione della nostra bandiera, il saccheggio dei monasteri, che sono sotto la nostra protezione.” I soldati, in testa la bandiera tricolore, partirono e cantarono: “Coscritti, imbracciate le armi !/ Marciate a passo! / Correte alla vittoria!”.
Pompeo De Angelis