Donald Trump, il russo

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I Russi da decenni sono maestri in disinformazioni e provocazioni. Perché dovrebbero aver perso il vizio, improvvisamente?

In pochissimi (è normale che sia così) sapete chi siano signori Yuri Nosenko e  Anatoliy  Golitsyn. Se conosceste “bene” la loro storia di ambigui agenti del vecchio mitico KGB, sareste molto più prudenti nel decidervi ad avere certezze nella vicenda di Donald Trump controllato o meno da Mosca.

Questi due russi, entrambi ex importanti esponenti del Servizio Segreto sovietico, rifugiatisi negli stessi anni ’60 in USA, li cito, tra i tanti possibili protagonisti degli anni della guerra fredda/caldissima (si combatteva in un sacco di posti nel Mondo così come accade oggi) perché, in una vicenda di reciproca attività di disinformazione (tendevano a screditarsi e a dare, l’uno dell’altro, una serie di informazioni per cui era quasi impossibile capire chi mentisse e chi dicesse la verità) arrivarono a dire (fu Nosenko) di avere informazioni certe su cosa era stato ordito a Mosca per uccidere J. F. Kennedy incaricando Lee Oswald dell’attentato. Nessuno oggi ha certezze su quel complotto messo in atto a Dallas che diede però, con gli omicidi successivi di Marthin Luther King e di Robert Kennedy, una svolta alla storia dell’Umanità che ancora si può leggere in filigrana negli avvenimenti successivi agli omicidi. 

A woman walks past a graffiti depicting U.S. Republican presidential candidate Trump and Russia's President Putin in Vilnius

Con difficoltà si riesce a interpretare gli effetti domino di quella tripletta nei più recenti avvenimenti e in quelli in essere. Ma di una cosa dobbiamo essere certi: Mosca/Russia (sovietica o meno) ha una sua strategia che non si stempera nei decenni. Sembra distratta da vicende interne ma come tutte le nazioni che hanno reali ambizioni, è prevalentemente proiettata ad una politica estera che la renda protagonista dominante in misura tale da impedire reali condizionamenti all’interno dei suoi confini/interessi geopolitici. E questa strategia geopolitica è elaborata nei ambienti segretissimi dei segretissimi servizi segreti ex polizia segreta diretta fino al 1954 da Lavrentij Berija e che con la morte del suddetto assume il nome di KGB. Negli anni che seguono alcuni milioni (!) di persone, donne e uomini, di decine di nazioni, sono stati del KGB. Alcuni (oltre 500.000) sono stati addestrati in quanto membri dei direttorati interni. Altri (oltre 250.000) divennero veri e propri “soldati di frontiera” ma rispondenti di vertici del Servizio, altri (oltre 100.000) divennero spie straniere o agenti doppi arruolati ovunque nel Mondo,per puro calcolo economico o decisi a servire per spirito idealistico. Questa “scuola”, questa “fucina” è, come gli altoforni, in attività permanente e con una capacità di mantenere la rotta che in occasioni come la sceneggiata in corso intorno a chi è il puparo di Donald Trump appare in tutta la sua leggibilità. Io credo profondamente che a Mosca abbiano saputo dossierare (dieci/dodici anni addietro) Donald Trump e, così facendo, oggi lo tengano per le “palle”. In senso stretto e non metaforico.

Donald Trump (modello Berlusconi), figura ben nota da decenni, sulla scena internazionale, per le sue debolezze sessuali (modello Berlusconi e letto di Putin) e vivacità comportamentali, è da escludere tassativamente che non sia stato attenzionato, con lungimiranza, dall’intelligence colta e intelligente (lei sì) che non ha mai smesso di operare alla “Lubjanka” dal 1917. Cioè da 100 anni! Perché, provate a non rimuoverlo in Russia, a Mosca, da cento anni non c’è la democrazia. E questo in alcuni campi non è vantaggio da poco. La Cia (mi scuso per la semplificazione ma avrei dovuto elencare 16 organismi diversi) è un luogo molto, molto, molto, molto più dozzinale e conflittuale, da tutti i punti di vista, ma certamente da quello culturale. E questo fa la differenza come ora si vede e sempre di più si vedrà. Almeno fino a quando Presidente degli Stati Uniti d’America sarà Donald Trump, il “russo”.

Oreste Grani/Leo Rugens che non pensava di arrivare a vedere ciò a cui stiamo per assistere: dopo un afroamericano (simpatico/elegante) alla Casa Bianca si insedia un “russo”, cafone/volgare direbbe Roberto D’Agostino.

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