Per affrontare lo Jihadismo insorgente, dopo Barcellona e prima di chissà dove

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L’Occidente (lo chiamo così perché ho oltre 70 anni e non so come chiamare il suk in cui sono nato) può e deve accettare la tremenda sfida, ma non basteranno le mezze misure per arrestare la marea dello jihadismo insorgente. Se invece di fare dichiarazioni prive di sostanza, l’Occidente troverà la forza morale di dare applicazione concreta agli alti principi principi della libertà che permisero ad alcuni (moltissimi per fortuna nostra) di liberarci dal fascionazismo, la tattica usata dagli jihadisti per regolare i conti tra di loro e per avviasi verso la conquista del potere ovunque ci siano minoranze/maggioranze di musulmani, potrebbe essere valutata in tutto il suo reale aspetto tirannico, propedeutico alla instaurazione di una dittatura a sfondo teocratico. Bisogna suscitare rispondenza in tutti coloro che desiderano essere liberi.

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La difesa della libertà e il rifiuto delle religione di “stato” (quella, quell’altra, quell’altra ancora) deve diventare una invocazione tale da far insorgere la nostra gioventù che deve saper affrontare, sul territorio, prima di tutto, le metastasi di questi nemici della libertà. È una battaglia laica quella che ci deve aspettare e non una buffa anacronistica crociata. Anzi, è una guerra di lunga durata quella che dovrà essere combattuta in quanto gli attaccanti non si daranno pace fino a quando  l’ultimo degli infedeli nn sarà eliminato o rieducato. Per affrontare la sfida dello jihadismo insorgente, dobbiamo per prima cosa sconfiggere la convinzione secondo cui il mondo è in pace e che questi, attaccandoci, disturbano la pace. Il mondo è in guerra quasi ovunque e questo ci dobbiamo chiedere perché e per come. Loro ci guardano, ci vedono come siamo (pessimi) e hanno buon gioco con la loro gioventù. La prima cosa che dobbiamo saper fare è mettere ordine nel nostro cortile, cominciando una guerra, anche noi tra noi, dura quanto necessaria, contro quegli sfruttatori che ci impediscono qualunque forma di autonomia di pensiero a prescindere dal ruolo che ci hanno attribuito di portatori d’acqua, con le orecchie, al loro mulino economico-finanziario.       

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Amici che investigate direi che da quanto è accaduto a Barcellona, va tratto sicuramente un insegnamento: l’imam era stato molto, molto abile, non solo nel reclutamento, nella selezione ma nella formazione “ideologica” del gruppo, tanto che pur avvenuto l’incidente, i sopravvissuti, invece di disperdersi, sia pur spaventati, si sono determinati all’azione, a qualunque prezzo, compreso quello della loro vita. Per mesi, questi ragazzi giovanissimi, erano stati capaci di approvvigionarsi e di mimetizzarsi durante l’acquisto progressivo dei materiali, fase della attività clandestina che dovrebbe essere, viceversa, con i controlli incrociati elettronici sul commercio possibili oggi, uno dei momenti più delicati/vulnerabili per chi ordisce il male e prepara il terrore tra la gente. A questi non  arriva materiale militare e questo particolare  dovrebbe suggerire altre riflessioni sulla fase del terrorismo insorgente nelle grandi città europee. Quando l’IRA irlandese era attiva, Gheddafi ed altri compravano per lei armi e materiale militare professionale. Così era per l’ETA basca e quasi tutte le formazioni armate di quegli anni. Qui le scelte sono state altre anche se le spese sono state importanti per accumulare, immagazzinare e mantenere, sia pur in frugalità, attivo il gruppo. Se non avveniva l’incidente di percorso, questi erano poco più che dei fantasmi, interrati e pronti a ri-colpire dopo l’attentatone d’esordio.

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L’altro aspetto che sottolineerei della vicenda catalana è che l’incubo di tutti i terroristi (l’incidente durante la preparazione di un ordigno) questa volta non è stato di nessuna utilità per prevenire l’evento da parte degli investigatori. Il terrorista massimamente teme che, una volta deposto, l’ordigno non esploda perché, solitamente, nella preparare l’oggetto, anche il più esperto, lascia una sorta di firma e per il mondo investigativo questo diventa un grande vantaggio. L’altro incubo è che, durante la preparazione dell’attacco, nel covo, succeda qualcosa. E questa volta era successo e come. Ma non è stato sufficiente per anticiparli. Sono stai repentini nell’azione e questo dovrebbe far riflettere ulteriormente. Non solo, ma sufficienti per logisticamente scegliere luoghi dove scaricare 500 litri di acetone che, trattati opportunamente, consentono di preparare materiale esplosivo che rimane solo da innescare. L’acetone diventa pericoloso e utilizzabile solo dopo che si è “seccato”. E ritengo che faccia un odore terribile, per cui la scelta logistica deve aver tenuto anche conto di queste attività. Il numero dei giovani coinvolti è notevole e mi fa riflettere sulla fase. Mi fa riflettere questo dato del numero (oltre una dozzina) perché non è da cellula terroristica, compartimentata.

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Solo adesso, a cose drammaticamente avvenute, c’è uno di loro che collabora ma prima silenzio assoluto. Un numero così elevato suggerisce che si stanno preparando, anche e non solo, in circostanze particolarmente favorevoli, a quella che chiamerei “agitazione sovversiva” nelle città dove la massa critica eversiva è data da migliaia di ignari (ma oggettivamente per i più diversi motivi “incazzati”) e dall’innesto di gruppi (e in piazza una squadra di dodici è un “reparto” sufficiente per far degenerare qualunque situazione già calda) tipo quello scoperto a Barcellona. Mi farei in fretta domande e cercherei di darmi risposte anche su questo terreno minatissimo prima di ricadere, per l’ennesima volta, dal pero. Nello spettro della conflittualità non convenzionale (e pero che nessuno abbia più dubbi del livello di creatività che stanno sviluppando gli insorgenti) direi di cominciare a porsi il problema di come fare ad affrontare l’ipotesi che già ci si trovi di fronte a consistenze numeriche di invisibili che potrebbero cominciare a fare la differenza quando meno ce la si può aspettare.

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È questo il punto: bisogna cominciare a non escludere nulla o a ritenersi immuni in “quanto gli italiani si sono, in passato, distinti per abilità e competenza”. Abili e competenti a far succedere di tutto e a non consegnare alla giustizia giusta nessuno dei veri artefici di centinai di episodi gravissimi di cui ancora nessuno conosce la matrice e la finalità recondita. “In campana cittadini” perché vi sfuggono dei dati riassuntivi del fenomeno ISIS o sue mutazioni genetiche: stiamo parlando di gente che, per ora, si è voluta/dovuta concentrata nelle sue attività eversive e pre-insurrezionali ovviamente in Iraq, in Siria o in territori consoni. Ma che in Iraq – ad esempio – è stata capace di effettuare decine di migliaia di operazioni (dalla sua formale nascita oltre 40.000!) articolate in tremila omicidi mirati (vuol dire che uscivano di casa e andavano ad ammazzare il tale o il talaltro per motivi riconducibili alla guerra civile/religiosa in essere), dodicimila azioni con ordigni esplosivi improvvisati (sarebbe come quelli di Barcellona, pochissimi in giro per il mondo, quasi tutti sui territori semi-occupati), oltre ventimila combattimenti direttamente riconducibili ad attività insorgenti e pre-rivoluzionarie e migliaia di detenuti radicali liberati una volta impadronitisi dei territori dove c’erano le carceri.

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Non fatevi fuorviare da quanto militarmente accade in Siria/Iraq (ci mancherebbe pure che i governi non avessero agito come stanno agendo per arginare/estirpare il fenomeno implicito in un esercito che per troppi mesi è stato lasciato apparire vittorioso) perché questo nulla a che vedere con la pratica della diaspora rivoluzionaria mondiale a cui stiamo per assistere. Intendo dire che temo di più l’effetto tragico della guerra tra la gente e disumanizzazione di un conflitto che tale per loro non è. I loro militanti anzi sono sedotti dalla violenza e dalla morte. Per motivi di fanatismo e religiosi. Impari lotta quindi tra chi ha moventi (giusti o sbagliati) e chi al massimo è un po’ spaventato ma, in realtà, è senza pensiero e, di fatto, apatico nei confronti degli eventi in essere. Impari lotta soprattutto se si ritiene che le istituzioni italiane preposte alla sicurezza dello Stato, siano il non plus ultra. Forse, prima di lasciare – in rete – dichiarazioni tanto impegnative, qualche minuto in più di riflessione bisognerebbe concederselo.

Oreste Grani/Leo Rugens