L’Ordine e l’esecuzione

“La pioggia gli batte sul volto. Il respiro è lento. Gli occhi sono concentrati sull’uomo in ginocchio davanti a lui. La mano è ferma. I pensieri quasi non ci sono più. Un ultimo respiro, gli occhi si chiudono per un istante e il dito indice preme il grilletto. Daniele ne aveva eseguiti tanti di lavori di quel genere, ma mai come quella volta si sentiva soddisfatto e consapevole di aver fatto la cosa giusta.
Non sapeva il motivo di quell’esecuzione, ma come era accaduto spesso, aveva avuto una sensazione di orgoglio per aver tolto dal mondo un altro bastardo.
Quella sera stessa, dopo aver portato a termine il compito, si recò da lui nell’ufficio all’ultimo piano di quell’edificio costruito dall’Opus Dei in pieno centro città.
Era tardi, ma sapeva che lui era lì, nonostante gli anni non più verdi.
Lui era sempre stato lì, sempre. Daniele suonò il campanello del citofono e, dopo un breve gracchiare, una voce roca rispose: “Vieni, ti sto aspettando“.
Salì, compiaciuto per aver eseguito il lavoro nei tempi e nei modi stabiliti.
La porta cigolò sotto la sua spinta decisa; era un pezzo di antiquariato come tutto quello che c’era in quella stanza.
La scrivania, un enorme blocco unico di tek anticato, gli era stata donata anni prima dalla famiglia reale danese, a seguito di una visita nella città eterna e proveniva da una loro collezione privata; l’orologio da tavolo era stato acquistato direttamente dai discendenti dei Napoleone, come del resto la bussola ed il regolo; ma il cimelio di cui andava più fiero era una croce stile processionale in bronzo, appartenuta a Gregorio VII, che lo stesso Ildebrando aveva fatto ricavare dalla fusione di più crocefissi delle collezioni dei precedenti Papi e di alcuni Vescovi, dei quali criticava la poca sobrietà nei comportamenti e la non conformità ai canoni ecclesiastici.

Il profumo che Daniele percepì entrando in quella stanza era un misto di cuoio antico e crema per mobili. Tutto era al suo posto, mai aveva notato disordine su quella scrivania, e la poltrona che sovrastava il piano di lavoro, avrebbe potuto incutere una sorta di timore reverenziale nei confronti di chiunque: era massiccia, non di quelle solite da ufficio, non aveva le ruote, non era reclinabile, ma un monoblocco di legno con possenti braccioli e borchie a fermare le imbottiture in cuoio scuro. Lui era in piedi dietro la scrivania, ad attenderlo come un padre aspetta suo figlio che torna dopo una dura giornata di lavoro. Daniele venne accolto a braccia aperte e con la solita gentilezza che contraddistingue solo una persona serena ed equilibrata.

Venne fatto accomodare su quell’enorme poltrona in pelle di fronte la scrivania e lui iniziò: “Ho appreso che il compito è stato portato a termine come stabilito e questo mi rasserena. Ora è bene che tu sappia perché quell’uomo è stato accompagnato al cospetto del Signore“. Lui indicò sulla scrivania una cartella senza titoli, ma che evidentemente conteneva la sentenza. “Prego Daniele, leggi i peccati di quell’uomo e prega per la sua anima, affinché, nell’ultimo atto della sua ignobile vita, si sia convertito ai valori per i quali ogni giorno ci battiamo. Leggila con calma, hai tutto il tempo che vuoi“.

Daniele prese quella cartella, la aprì ed iniziò a leggere e capire. L’infame che aveva giustiziato in nome della legalità meritava quella fine, senza appelli. Aveva giurato fedeltà ai valori della Costituzione e della Patria e poi aveva venduto i suoi colleghi infiltrati a tutti coloro che offrivano denaro.
Claudio era stato ucciso perché era in possesso di materiale in grado di creare un terremoto all’interno del modo politico; Massimo era sparito perché aveva scoperto che qualche prelato all’interno del Vaticano abusava dei bambini degli orfanotrofi della Capitale con la complicità dei vertici dello Stato Pontificio. Davide era riuscito ad entrare nel mercato degli organi umani e di lui non si sapeva più nulla da mesi, mentre Andrea era stato divorato dai cani del “signore delle prostitute” dell’est.
E tutto questo era stato causato da quel poliziotto corrotto che aveva appena giustiziato. Daniele chiuse quel plico, guardò la persona seduta davanti a lui, si alzò e chinò la testa, in segno di rispetto nei confronti di quell’uomo e gli augurò una buona serata.

Questi aprì un cassetto dell’enorme scrivania stile Luigi XVI e gli porse una busta: “La tua lealtà e la tua fiducia incondizionata sono per me fonte di orgoglio e magnifica espressione di correttezza da seguire per tutti noi. Ti auguro un felice e sereno rientro a casa“. Si congedò e senza dire una parola uscì da quell’appartamento, scese le scale e si ritrovò per strada, solo, ma felice e consapevole di aver fatto ancora una volta la cosa giusta.

La sua fiducia nei confronti dell’Ordine e dell’uomo che lo rappresentava, era stata ancora una volta ripagata, non per i forse troppi soldi ancora una volta ricevuti, ma per qualcosa di ancora più grande, misterioso, immenso. La Giustizia, un valore ormai quasi dimenticato, una parola che racchiude valori quali la correttezza, la lealtà, l’onestà e che, per i figli della Causa, possono rappresentare il confine tra la vita e la morte. Daniele era stato cresciuto con questi valori, che forse non appartenevano a questo mondo, addestrato a difenderli ed a metterli sopra ogni cosa, anche davanti la propria vita. Ora camminava solo per le strade del centro, attraverso un paesaggio avvolto da luci ed ombre che solo una città come Roma può regalare agli occhi del mondo.”

Questo brano è l’incipit di un libro di cui non condivido titolo e autore perché, pur apprezzando il romanzo e stimando lo scrittore, sono per ora interessato solo a queste pagine che introducono ad una storia d’azione ambientata temporalmente in quella che si è chiamata la fine della guerra fredda caratterizzata dal delinearsi sul panorama geopolitico mondiale di nuovi protagonisti.
In questo brano si parla di una esecuzione di un poliziotto corrotto e doppiogiochista e di qualcuno che individua vittime e moventi di queste esecuzioni. E lo fa seduto in un edificio che a chi è romano non risulta difficile da individuare.
Anche la descrizione degli interni di quell’ufficio, a chi ha vissuto una stagione vaticana e in quei tempi ha avuto modo di frequentare istituzioni di potere riservate, dicono molto.
Qui mi fermo e voi considerate il post “letterario” semplicemente una sciarada. Un po’ provocatoria, ovviamente.

Oreste Grani/Leo Rugens