In cammino verso gli Stati Uniti d’Europa

Un po’ datato? Fate voi, a me il discorso dell’edera e del cammino verso gli Stati Uniti d’Europa mi convinceva da ragazzo e penso che mi accompagnerà fino alla morte. E a proposito di “datato”, guardate la data: 20 gennaio 1952.
Oreste Grani/Leo Rugens

L’EUROPA IN CAMMINO
Discorso pronunciato alla grande manifestazione europeistica svoltasi il 20 gennaio 1952 al Teatro Sistina in Roma alla presenza del Presidente Einaudi e con la partecipazione dei rappresentanti dei partiti democratici italiani
Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori,
avviene a me ciò che in genere capita a chi parla per ultimo, specialmente quando parla dopo così valenti oratori. Le cose che avevo pensato, le hanno dette meglio loro; quindi, non per mancanza di rispetto a voi, anzi per devoto rispetto al vostro tempo, lascio i miei appunti e aggiungerò poche parole a quelle luminose dette dagli amici che mi hanno preceduto.
Se un valore può avere questo mio intervento, esso ha un valore di testimonianza. Voi tutti sapete che io appartengo ad una scuola politica nazionale che fin dagli inizi del suo apostolato « fortissimamente volle » e pose in termini moderni il problema della federazione europea. La formula « Stati Uniti d’Europa » è di Carlo Cattaneo, nel 1848, ma prima di lui, fin dal 1834, Giuseppe Mazzini, che sempre affrontava i problemi ideologici in termini di azione, fondò un’associazione di giovani dei popoli oppressi dell’Europa una specie di Federazione di giovani europei anelanti alla liberazione, e dette a quei giovani un distintivo che vi è noto: l’edera! (vivi applausi). Quel simbolo che si tramanda di generazione in generazione, in mezzo a tante cose caduche o morte, in questa grama vita, tra piccoli uomini e piccole cose, rappresenta una fedeltà sempre verde ad una idea immortale.
Ma i nostri nonni non furono i soli a concepire questa idea. Molti liberali, dal Capponi al Mamiani, e non parlo dei liberali moderni, così splendidamente rappresentati in questa sala persona varrebbe a sintetizzare tutte le loro opinioni ed anche una sola elementi cattolici dirò per tutti un nome: Niccolò Tommaseo ebbero questi slanci di anticipazione storica e collaborarono idealmente a queste generose iniziative di costruzione europea, prima ancora che l’Italia fosse stata fatta.
Quando eravamo esuli a Parigi, socialisti democratici come Campolonghi, liberali come Tarchiani, repubblicani come Cipriano Facchinetti e chi vi parla, riuscimmo a fondare un giornale – un giornale quale non si riuscirebbe forse a fondare oggi, che stiamo accapigliandoci, in attesa della nuova dittatura, che ci metterà giudizio… (Si grida: « Mai! ») – e volendo dare un nome a questo giornale, che esprimesse le nostre ansie e le nostre speranze e che fosse rappresentativo dei nostri voti e anche, perché no?, dei nostri sogni, demmo a questo giornale un nome che era un programma: « La jeune Europe », la giovane Europa. Sono quindi in famiglia, amico Carandini, nelle vostre manifestazioni federalistiche, e mi scuso se fino ad ora non ho contribuito alla vostra fervida attività con maggiore impegno. A questo riguardo, io vi devo fare una prima confessione che è un apprezzamento del vostro merito: tra tutti i mestieri della mia vita travagliata, io non ho avuto mai simpatia per il mestiere di un personaggio dostojewskiano condannato ad attingere con un secchio l’acqua dal mare per gettarvela nuovamente, da un capo all’altro del giorno. Questa fatica, insomma, mi pareva sterile e inutile, lo confesso a mio disdoro, quando la nostra Patria stessa presentava mille problemi da risolvere urgentemente ed era come sommersa in un mare di lacrime e di sangue.
Ma devo farvi un’altra confessione – si vede che la lunga pratica che ho di frequenza con la democrazia cristiana spinge il mio animo a pratiche di umiltà! (Ilarità) – quando si è affacciata per la prima volta l’idea che si potesse arrivare alla Unione Europea attraverso la comunità degli armamenti, mi è sembrato, ve lo confesso, che questa fosse un’idea stravagante. Come membro del Governo, ho avuto la ventura di prendere, per primo, contatto con questa idea a Washington, nella riunione dei Ministri della difesa. Il tema della riunione non era: come si edificano gli Stati Uniti d’Europa. Il tema della riunione era molto più modesto: come si può associare una piccola aliquota dell’esercito tedesco nella difesa dell’Europa. In altri termini, problema nasceva non da un’idea solidaristica ed europeistica, ma da un sentimento contrario, cioè dalla diffidenza tradizionale, anche se legittima e giustificata, tra Francia e Germania. Come si poteva arruolare, per così dire, l’esercito tedesco ed integrarlo nella difesa europea, facendo perdere ad esso il suo statuto nazionale? Grosso problema, che allora nessuno riuscì a risolvere, perché nessuno parlò di esercito europeo. Ma nel frattempo molti altri fenomeni si erano verificati in Europa: si era tenuta quella conferenza di Strasburgo di cui si parla sempre quasi sorridendo ma niente si perde nel cammino della storia conferenza dove i parlamentari europei, tedeschi inclusi, avevano almeno pubblicamente posto e discusso i problemi comuni. Ci fu il trattato doganale tra l’Italia e la Francia, sebbene non arrivato ancora a fortunata conclusione. C’è stato poi il trattato per la comunità dell’acciaio e del carbone, cioè il piano Schuman, già ratificato dal Parlamento francese e da quello tedesco. C’è stato, infine, un accordo tra i regimi di occupazione in Germania per dare una sempre crescente autonomia nazionale e politica ai tedeschi.
Come si poteva più, direi decentemente, proporre all’esercito tedesco di contribuire alla difesa della Comunità europea in forma anonima e clandestina, così come si offre ai giovani disperati di ogni nazione di entrare nella Legione straniera? Era evidente che questo primitivo « Piano Pléven», discusso in una conferenza internazionale obiettiva, doveva fatalmente trasformarsi. Come si è trasformato? Si è trasformato ponendo tutte le Nazioni in condizioni di parità.
Se si toglie il carattere nazionale autonomo all’esercito tedesco, la stessa operazione si deve ripetere con l’esercito francese, la stessa operazione si deve ripetere con il nostro esercito, con l’esercito lussemburghese, belga, olandese, dando a tutti un uguale statuto, che è appunto lo statuto europeo.
Molto più che il Piano Schuman è un grande passo in avanti, qualcuno ha detto un passo decisivo, verso la Federazione europea. Ed io, che non ero di quella opinione, capisco obiettivamente come l’ottimismo di coloro i quali credevano che questa esperienza veramente rivoluzionaria, veramente storica doveva condurre fatalmente alla costituzione della federazione europea, era un ottimismo non azzardato, bensì un ottimismo ragionato.
Comunità delle armi, dunque: si tratta cioè di mettere in comune gli eserciti. Ma avete pensato un momento che cosa significa questo? Intanto significa spogliare uno Stato dell’elemento più caratteristico, più determinante, della sua sovranità nazionale. Fino a che non ci è lecito concepire, in questo mondo di lupi, le Nazio ni disarmate, l’esercito rappresenta un elemento fondamentale del l’imperio dello Stato, ma ponendo l’esercito stesso sotto la direzione di una comunità supernazionale, esso cessa di essere tentazione pericolosa come è stato finora.
Ma la comunità delle armi e degli eserciti significa qualcosa di più, significa praticamente, anche se non è scritto nel trattato, mettere in comune la politica estera delle diverse Nazioni. Perché? Ma perché mettere in comune gli eserciti, cioè amministrarli, disciplinarli e dirigerli in comune, è come sottoscrivere un patto di alleanza perpetua tra le Nazioni che firmano il trattato. Alleanza perpetua, perché indietro sarà difficile tornare. La spesa per l’esercito rappresenta poi molta parte del bilancio ordinario di uno Stato. Mettere in comune gli eserciti, dare una comune amministrazione a questi eserciti, significa mettere una gran parte dei bilanci nazionali. Gli eserciti non si inquadrano soltanto con ufficiali, sottufficiali, graduati e truppa, ma si istruiscono; essi hanno bisogno di scuole, di campi di addestramento, di caserme, stabilimenti vari; gli eserciti si vettovagliano, gli eserciti si vestono, gli eserciti si armano. Essi hanno, insomma, dietro di sé tutto un complesso industriale. Come si fa ad amministrare in comune questi eserciti senza creare una certa coordinazione delle singole economie dei vari Paesi?
Ecco perché era ragionato l’ottimismo di coloro che pensavano che questo davvero è un passo decisivo verso la comunità europea. Ma io e molti altri non sentivamo placata la nostra coscienza. Ci sarebbe stato sempre un periodo provvisorio, ma forse lungo, nel quale si sarebbe tolta agli eserciti una patria nazionale senza dargliene un’altra, nel quale si sarebbe tolta agli eserciti una bandiera senza dargliene un’altra.
Casa nazionale, bandiera; tutto un complesso di tradizioni, di memorie, di sofferenze, di martirio, una storia di cadute e di rinascite, una tradizione, un patrimonio collettivo che diventa la coscienza nazionale di un Paese. Come si può, anche per un periodo breve, ma non determinato, fare sacrificio di queste cose?
Sono quattro anni che io ho l’onore di stare al Governo del mio Paese, e mai, vi assicuro, ho vissuto attimi così passionali come quelli che hanno suscitato nel mio spirito il problema di oggi. Mai avevo assistito prima o avevo partecipato, nel Consiglio dei Ministri, a discussioni così alte, così nobili, così drammatiche come quelle che investivano, in fondo, il destino della nostra stessa Nazione. Anche in federalisti intellettualmente convinti come ero e sono io, si poteva scorgere il dissidio ed il travaglio tra il sentimento nazionale, che è radicato nelle anime nostre, e l’idea federale, che fino a che non è attuata, è ragione ma non diventa ancora sentimento.
Per conto mio avevo risolto questo dissidio scrivendo una lettera a Degasperi poco prima che partisse per Parigi e dicendogli chiaramente che se non fossimo riusciti con i nostri sforzi a prefigurare un termine a questo periodo provvisorio ed a mettere in moto la macchina legislativa per la costituzione comunitaria, non avrei mai firmato la Comunità Europea di Difesa.
A Parigi l’antiveggenza di un uomo che è sempre forse è il suo destino andato contro corrente ed è stato accompagnato dal latrato immondo dei cani rabbiosi, voglio dire Carlo Sforza (vivissimi, prolungati applausi all’indirizzo dell’onorevole Sforza) e la tenace convinzione realizzatrice di Degasperi hanno avuto il loro trionfo. Dopo la conferenza di Parigi problema ha mutato completamente aspetto ed ha placato tutti i nostri dubbi, tutte le nostre apprensioni; perché quando il Trattato della CED sarà firmato la macchina costituzionale europea sarà in moto ed è già fissato un ristretto termine di sei mesi durante i quali si debbono prepa rare i lineamenti costituzionali dell’Europa futura e un termine di tre mesi fissato dai Governi, perché mettano in moto la macchina costituzionale europea.
L’Europa comincia a divenire visibile; l’azione dei governi è assistita dalla coscienza dei cittadini. Forse non è nemmeno azzardato sperare che ci sarà una Comunità politica europea ancora prima che le formazioni tedesche siano pronte per partecipare alla difesa comune.
Grande aspettativa, formidabile avvenimento, o cittadini! Centocinquanta milioni di uomini viventi in uno spazio di quasi due milioni di chilometri quadrati stanno per stringere un patto perpetuo di fraternità. Se invece di dilaniarsi e di divorarsi, come hanno fatto sempre nel lungo cammino della loro storia, questi popoli che furono fari di civiltà per tutto il mondo conosciuto, metteranno in comune le loro energie e le loro risorse, non soltanto provvederanno alle loro possibilità di difesa, ma il che è anche meglio alla loro capacità di vita.
Del resto non c’è alternativa, come giustamente ha fatto osservare l’onorevole Gonella. Dinanzi alle grandi Federazioni, come la potente e dinamica Federazione degli Stati Uniti d’America e come la ultrapotente e ultradinamica Federazione, almeno nominale, delle Repubbliche Sovietiche, dinanzi al risveglio unitario dei popoli asiatici, dinanzi ai tentativi già concordati di una lega dei popoli arabi, quale sarebbe il destino delle nostre piccole nazioni europee, circoscritte in frontiere strette in lotta ed in concorrenza fra di loro? Il destino delle nostre Nazioni sarebbe incerto e pericoloso. Questa è l’ora delle grandi Federazioni! (Vivissimi applausi).
Ma se questo è vero, o cittadini, come è vero, allora l’appuntamento che la nostra generazione aveva col destino, le nostre lotte, le nostre sofferenze, le nostre tragedie avevano un senso. Una nuova era di concordia, di pace e di prosperità si presenta al popolo italiano. Bisogna cogliere quest’attimo fuggente. Chi vuole bene all’Italia deve cooperare con il movimento federalista europeo. (Vivi applausi). Il nostro genio nazionale non sarà compromesso. Con i nemici di ieri, riaffratellati, entreremo, semmai, in concorrenza civile, nei campi delle arti, della scienza, dei traffici e del lavoro, non in una lotta di sopraffazione degli uni sugli altri.
Viva l’Europa unita e libera!
(Vivissimi prolungati applausi, grida reiterate di: Europa, Europa!).

Se non altro adesso l’Europa ha un suo sistema circolatorio. Con un cuore italiano (e mediterraneo).
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Con la fine della “ Balena Bianca” in Italia, ricordiamoci era quel partito che, nel mondo odierno, almeno diceva di ispirarsi ai valori cristiani ; abbiamo la fine di un partito apparentemente cristiano ma filantropico e umanitario e sostanzialmente agnostico nei suoi risvolti culturali e sociali .
Il metodo democraticistico, l’indifferentismo religioso, il qualunquismo ecumenico e il relativismo legislativo erano i tratti salienti del suo modo operantis nelle Società e Stati Nazionali che venivano man mano organizzati dalla cattomassoneria nel dopoguerra . Il voto a favore che ti permetteva di essere al comando, “valeva bene una messa” da qualunque parte esso provenisse. Come diceva Gramsci : “essi sono (= i democristiani ) i luterani rispetto ai cattolici (=clero cattolico ).” E nella massoneria delle fratellanze , si sa, ci sono uomini illuminati di tutte le tendenze : banchieri filantropi, giudei sionisti, falsi convertiti, filosofi, giudici, avvocati, comunisti , socialisti , progressisti scientifici, nazisti, islamici illuminati e atei dichiarati, lo stesso clero e movimenti evangelici . L’ unica scusante che hanno questi signori, a mio parere, è quello che disse padre Pio a una sua fedele in privato che ci lascia capire molto e stupiti : “ Il pesce quando puzza , puzza dalla testa “. E, mettendo da parte la discussione su quale ideologia prevalse in seno al Concilio V II degli anni sessanta dove si vietò persino che si parlasse male del comunismo e si impedì di condannarlo, anzi si permise di sdoganarlo e battezzarlo,venendo al pratico solo per dirne una : “ un Capo della Chiesa Cattolica diede il permesso in quegli anni di costruire la più grande moschea musulmana in Europa alle spalle di piazza San Pietro nella nuova Città Santa europea come premessa al futuro ecumenismo del Concilio. Il resto della storia di quegli anni fu tutta una conseguenza e una corsa a chi fu il più bravo nella Società Civile a demolire i cardini della fede cattolica e i valori della Civiltà Cristiana come la goccia che pian piano scava la roccia . Essi oramai occupano tutto, ogni fortino, ogni posizione elevata, tutte le pagine dei giornali, delle reti radio televisive, coi loro piani di salvezza dell’ uomo e del mondo ispirati in un modo o nell’ altro dalla setta satanica del WTO atlantico. Occupano oramai anche gran parte delle alte cariche del Vaticano e della Chiesa Cattolica dove sono riusciti a piazzare anche un loro discepolo al Sommo Soglio, manovrato a distanza come un pupazzo siciliano. Tutto questo è potuto accadere grazie alla perdita della fede e a una grande apostasia e rinnegamento triplice come quello di Pietro prima del calvario. Ma sotto la croce c’erano la Madre di Gesù che rimane sempre con noi, delle pie donne e uno dei discepoli che Gesù amava . Attraverso la loro fedeltà e testimonianza sarà salvata la Chiesa e l’ intera umanità.
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Ma gli psichiatri sono in sciopero?
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