Chiacchiere e fatti: 1.500 “sale per scommesse” sequestrate alla ‘ndrangheta. Decine di arresti. E via Veneto 13?
Ieri – meritoriamente – è stato inferto un colpo (importante) al tessuto connettivo del riciclo: scoperte e “chiuse” 1500 sale scommesse (anche e soprattutto elettroniche) dell’ndrangheta. Stiamo andando oltre i soliti bar e ristoranti al Pantheon o a Via Veneto. Il gioco (di Stato o iper-illecito che sia) è una delle opportunità che la criminalità si è sapientemente organizzata per pulire i proventi della droga, dei rifiuti, delle armi e della corruzione sui grandi e piccoli appalti. Gli unici a non sapere come sarebbe andata a finire erano quei deficienti delle Feste dell’Unità che testarono, anni addietro, nei maxi accampamenti para-politici (tortellini e lambrusco del buon tempo andato) le slot perché le famiglie trovassero trastullo.
Le famiglie ‘ndranghetiste, ovviamente.
L’Avvenire, quotidiano della CEI, questa mattina, ancora una volta, è in prima linea nella sottolineatura della gravità di tale connubio (gioco sfascia famiglie e criminalità) ma ancora una volta non si accorge dello scandaloso “Caso di Via Veneto 13” su cui da anni chiediamo chiarimenti. Stimolato dalle sale “chiuse” ieri e dagli “imprenditori” del gioco d’azzardo arrestati, non è che per caso – finalmente – qualcuno “giornalisticamente” si accorge del paradosso che abbiamo da tempo non sospetto inutilmente denunciato del piccolo casinò alloggiato in un bene della Chiesa? A meno che qualcuno, cortesemente, non ci dimostri che quello da noi indicato non è più catastalmente un bene della Chiesa e all’ora, come ci hanno educato a fare, ci scuseremo e rimuoveremo dal web ogni notizia nel merito. Viceversa, ancora una volta, caro a noi Papa Francesco, chiedi a chi di dovere se ci stiamo sbagliando noi perché, qualora viceversa dovessimo ricordare bene come stanno le cose, se fossimo in Te interverremmo d’imperio a risolvere la faccenda che riteniamo faccia scandalo a dieci passi dalla Chiesa e dall’Ossario dei Cappuccini. Possibile che il Papa che ha saputo mettere mano alla faccenda complessa dello IOR non trova modo di farci smentire su questo episodio solo apparentemente minore? Possibile che, ad esempio, non dico l’Agenzia SIR o il settimanale Famiglia Cristiana a cui – da anni – segnaliamo, inutilmente, l’ipotesi paradossale della sala scommesse allocata in un bene della Chiesa ma, almeno, la testata “Il Tempo”, quotidiano di Roma, così solerte (grazie al sussurratore Luigi Bisignani) nel denunciare i rischi che corre la vita del Santo Padre, non riesca a mandare un giovane cronista a verificare la rispondenza al vero di questa nostra affermazione? Possibile che il M5S romano (che ambisce a guidare la Città eterna e che, da sempre, è in prima fila nella sacrosanta battaglia contro le slot) non abbia un militante che sia capace di recuperare – via web – questi nostri post da mesi e mesi pubblicati e mai smentiti? Possibile che ci si debba arrendere ai luoghi comuni dei “due pesi e due misure” e “a chiacchiere e fatti”?
Capisco che rischio se i fruitori di quei locali (loro sì) si accorgono della mia denuncia ma passando spesso da quelle parti, non riesco a tenere il dito fermo ogni volta che L’Avvenire”, giustamente come oggi, titola, in prima pagina, contro le slot.
Il Santo Padre è noto al Mondo per aver impostato non poche riflessioni sulla dicotomia “Centro e periferia” e per questo in molti lo hanno scoperto e apprezzato quale pensatore onesto e complesso.
Carissimo a noi Papa Francesco, si avvicina il Giubileo straordinario perché sei tu che lo hai indetto: vediamo di non farci parlare dietro intorno ad un’altra complessità (altrettanto importante) quale è “Io e l’altro”. Questo a proposito del “denaro” che non si deve, in alcun modo, idolatrare o governare secondo il principio utilitaristico di “quello che tuo è mio e quello che è mio, è mio.
Queste cose lasciamole dire ai “comunisti ricchi”.
Rimaniamo in fiduciosa attesa che ad agire sia, quanto prima – oltre che il “gesuita” – anche il “francescano” che è in te. Come si dice: fin che c’è vita (parlo della mia, ovviamente) c’è speranza.
Oreste Grani/Leo Rugens