Il Canale di Suez 12 – Pompeo De Angelis

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Il vento di guerra

Quello che Lesseps non sapeva – neppure sua cugina l’imperatrice Eugenie l’aveva informato – era quanto accaduto a Plombieres-les-Bains il 28 giugno del 1858. La famiglia imperiale di Francia era andata a curare i reumatismi alle sorgenti di acqua calda di quella località dei Vosges meridionali, nella cittadina termale, pittoresca per i balconi con ringhiera delle case. Li aveva raggiunti, quel giorno, Camillo Benso di Cavour, primo ministro del Regno delle Due Sicilie, proveniente dalla Svizzera. Fu un incontro cospirativo. Il conte piemontese arrivò la notte del 20 luglio e la mattina seguente raggiunse l’imperatore nella riservatezza del bagno. Il primo colloquio durò dalle undici alle quindici e trattò della volontà di entrambe le parti di fare guerra all’Austria: Napoleone III perché voleva ribaltare la geopolitica del Trattato di Vienna del 1815, l’altro perché la Casa Savoia intendeva riprendere il Lombardo Veneto che era sfuggito alla Casa Savoia con la sconfitta del 1848. Due importanti casate volevano sollevare l’orgoglio delle loro bandiere avvilite dall’Austria. Nella mente di Cavour era nascosto il disegno di unificare l’Italia con una seconda guerra d’indipendenza e in quella del Bonaparte di varcare le Alpi, come rivivesse in lui il re francese Carlo V, che concupì di impadronirsi della penisola e che volle farlo senza riuscirci, o come Napoleone I che lo fece e ci riuscì. Napoleone II espose al piemontese l’Italia che avrebbero imposto, dopo la vittoria sugli asburgici: un regno dell’Alta Italia comprendente la Pianura Padana fino al fiume Isonzo e alla Romagna pontificia, sotto la Casa Savoia; un Granducato di Toscana espanso sui territori pontifici eccetto Roma e territori circostanti, affidato a Luisa Maria di Borbone, duchessa di Parma; il Regno Pontificio, ridotto a Roma e dintorni, con un papa re; il Regno delle Due Sicilie sotto i borbonici di Ferdinando II, o magari aggiudicato a un suo cugino rampollo di Gioachino Murat. I quattro stati si sarebbero federati sotto la presidenza di Pio IX. La Francia avrebbe inoltre garantito il protettorato su Napoli e su Firenze, due città troppo nobili per appartenere a piccoli stati. I Savoia ci guadagnavano un grande, popoloso e sviluppato territorio, certo! Ma la Francia che ci guadagnava? Chiese l’imperatore alla volpe piemontese che aveva annusato che la faina francese voleva entrare per prima nel pollaio italiano. Ma Cavour era anche un uomo che calcolava quanto poco l’astuzia del predatore e la potenza dei denti possano fare le nazioni, senza il veltro della lingua del padre, animale di sapienza, di amore e di virtù, cioè di patria naturale. Era disposto a rispondere che Nizza e Savoia potevano essere l’utile della Francia. Si vedrà! Nel pomeriggio, i due politici seguitarono il colloquio durante una solitaria passeggiata in carrozzella nei dintorni di Plombieres. L’imperatore aveva bisogno di un’altra compensazione per l’impiego del suo esercito oltralpe. Cavour ascoltò che il principe Napoleone cercava una moglie fra le dame delle case regnati d’Europa e aveva pensato a Maria Clotilde, figlia quindicenne di Vittorio Emanuele II di Savoia. Cavour dubitava che questo matrimonio fosse possibile. All’ora del tramonto, il ministro piemontese salutò il monarca e, la mattina dopo, partì e andò a rigenerarsi a Baden di Baviera (oggi Baden Baden, due volte bagno), dove le acque termali curano il mal di cuore. Da Baden, il 24 luglio, il premier scrisse una lettera al Re di Sardegna relazionando sui discorsi di Plombieres, lasciando un documento che è in mano degli storici.

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All’inizio del nuovo anno, Lesseps percepì un vento di guerra. Glielo fece sentire l’andamento della sottoscrizione delle 400.000 azioni della Compagnia Universale del Canale di Suez, che erano state vendute in Francia per 207.111 franchi, a cui Lesseps addizionava i 96.517 franchi provenienti dall’Egitto, usciti dalla cassa personale di Said Pascià. Questo e poco più era il risultato. La vendita nelle città europee era andata male: modesti gli interventi degli investitori di Berlino, di Danimarca, di Napoli, di Barcellona, di Roma, di Prussia, di Tunisi, di Piemonte, di Svizzera, e di Toscana che, tutti insieme, fornivano 10.766 franchi, per cui la somma totale fu di 314.494 franchi. L’Inghilterra aveva rifiutato nettamente la partecipazione, a New York fu palese che non bisognava contare sulla sottoscrizione USA, la Russia traversava un cattivo momento finanziario e l’Austria dello scomparso Negrelli e del banchiere Revoltella (vice presidente del Consiglio d’Amministrazione della Compagnia Universale) non aveva acquistato un solo titolo. Erano filtrate le notizie sul proposito di alleanza fra la Francia e il Regno di Sardegna contro l’Austria e i sostenitori austriaci avevano rimandato il loro investimento aspettando il disastro di una campagna in Italia. La Francia si accordava con la Russia per la neutralità, la Regina Vittoria disapprovava le intenzioni di Napoleone, finché, il 28 gennaio a Torino, i plenipotenziari firmarono un trattato che dichiarava l’assistenza militare della Francia al Regno di Sardegna in caso di guerra con l’impero d’Austria. Tre grandi paesi europei prepararono le armate.

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Il consiglio d’Amministrazione della Compagnia Universale del Canale di Suez si riunì a Parigi dal 10 al 12 febbraio 1859, valutò che l’attenzione internazionale era rivolta alla guerra imminente e che gli entusiasmi o gli attriti sulla congiunzione dei due mari erano dimenticati. In quel momento di oblio si poteva osare e scavare. Lesseps disse: “Il primo colpo di piccone risuonerà nel mondo.” Il Consiglio approvò il piano della prima fase dei lavori di terrazzamento, dragaggio, murature e opere d’arte nell’istmo di Suez per impegnare nell’appalto un imprenditore, gara vinta da Adolphe Harnod e sottoscritta, il 14 febbraio. Era costui un parigino arricchito con la costruzione di strade ferrate e di stazioni, che depositò una cauzione di 1 milione e 200 mila franchi. I lavori potevano iniziare senza l’oro inglese, conclusero i membri del Consiglio. Il 15 febbraio, il contratto venne pubblicato. Il 16 febbraio, il presidente Lesseps, l’ingegnere capo e direttore generale dei lavori Mougel Bey e il costruttore Hardon partirono per l’Egitto. Il medico Aubert Roche posto ai servizi sanitari prese la via di Marsiglia, mentre gli altri tre passarono per Berlino e il 19 furono a Vienna, il 27 febbraio a Trieste dove il vice presidente della Compagnia e banchiere Revoltella offrì un banchetto a cui partecipò l’arciduca Massimiliano governatore del Lombardo Veneto. Il 5 marzo, “Le Moniteur” rivelò la esistenza dell’alleanza sardo – francese e le intenzioni di belligeranza. Quel giorno, Lesepps e i suoi compagni raggiunsero Alessandria. La guerra comincerà il 27 aprile, con il nome di Seconda Guerra d’Indipendenza di Italia.

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La nuova esplorazione dell’istmo

Il 7 marzo 1859, Lesseps presentò al viceré la delegazione del Consiglio e i tecnici che lo accompagnavano. Trovo Said Pascià ben disposto, ma ossessionato dal console inglese Green, che seguitava ad “agire sul suo spirito.” Sua Altezza si ritirò a Mariut dicendo ai familiari: “Ho altro da fare in questo momento. Starò da parte e aspetterò. M. de Lesseps ha le spalle grosse e saprà tirarsi fuori dalle difficoltà.” Un suo figlio, partiva per una soggiorno a Londra, in compagnia del console Green e salutandolo disse: “ Spero che Vostra Altezza impedirà a Monsieur de Lesseps di muovere una sola pietra”. Il Consiglio Supremo dell’Egitto composto di ministri e di alti funzionari era diviso in simpatizzanti per l’Inghilterra e per la Francia e il governo egiziano era più turbato del sovrano. Lesseps preparò un documento che poneva in premessa che la città da costruire nella baia di Peluse doveva chiamarsi Port Said, in onore del viceré. Poi la carta elencava sei punti rivolti al Consiglio Supremo per la franchigia della fase preliminare dei lavori: 1) i materiali già acquistati per la preparazione del canale entravano in possesso della Compagnia, 2) i materiali rocciosi derivanti dalla costruzione di Port Said rimanevano alla Compagnia, 3) i materiali rocciosi ricavati con le mine dall’Attaka rimanevano alla Compagnia, 4) sarebbe effettuata la delimitazione esatta dei terreni irrigabili concessi alla Compagnia, 5) sarebbe stabilita la posizione del faro nella rada di Porto Said e ordinata la carpenteria necessaria costruita ad Alessandria dalla ditta belga Lucovitch, 6) sarebbero arrivate da Marsiglia due forge di media grandezza e M. Hardon avrebbe costruito in loco due gru per battere i pali nel terreno, che rimanevano di proprietà della Compagnia. Venne comunicata la nomina di tre capo cantiere: Larousse, ingegnere idrografo della marina francese per studiare la baia di Peluse, il lago di Menzaleh e la rada di Suez; Darù, geometra per redigere il catasto lungo il canale d’acqua dolce dal Cairo al lago di Timsah e lungo il canale marittimo da Porto Said a Suez; Brulè, esperto minerario per esplorare la montagna dell’Arraka, da cui estrarre la pietra per i lavori del canale marittimo. In coda al documento venne trascritto l’articolo 22 del decreto vicereale del 5 gennaio 1856: “Come testimonianza dell’interesse che noi attribuiamo al successo dell’impresa del Canale di Suez, promettiamo alla Compagnia il leale concorso del governo egiziano e invitiamo espressamente i funzionari e gli agenti di tutti i servizi della nostra amministrazione a dare in ogni circostanza aiuto e protezione.” Era evidente ai membri della delegazione francese l’azione di sabotaggio in atto da parte di funzionari egiziani o turchi pagati in sterline. Il capo cammelliere del Cairo disse che aveva ricevuto l’ordine di non fornire i sessanta cammelli necessari agli esploratori per recarsi nell’istmo sostenendo che gli animali non erano disponibili perché al servizio delle truppe egiziane. Lesseps intervenne su Zulfikar Pascià, governatore del Cairo, il quale ordinò a quell’ufficiale turco, di nome Abderrahman, di rilasciare i cammelli. La spedizione, il 21marzo, poté partire per l’Uadé, anticamera del deserto, dove si accampò accanto a un villaggio. Al Cairo, corse la voce che il gruppo era stata attaccato dai banditi e disperso nelle lande selvagge. Veramente era accaduto che l’interprete dei delegati francesi, Korein, recatosi al villaggio per comprare del latte e altre provvigioni scoprì che Abderrahman, nonostante la lezione ricevuta al Cairo, aveva avuto l’audacia di seguire la spedizione e complottava con gli sceicchi della zona. Korein tornò al campo e riferì. Lesseps invitò gli sceicchi a prendere un caffè nella sua tenda. Seguendo l’uso orientale, gli sceicchi non osarono rifiutare e, bevuto il caffè, il presidente fece allineare sei bottiglie, estrasse la pistola e con sei colpi le frantumò. Poi usò questo linguaggio: “Miei cari buoni amici, ho appreso che un ufficiale turco, che ha detto di essere inviato dal governo, vi ha ordinato di negarmi le provvigioni chieste stamattina. Vi invito amichevolmente a prevenire questo impostore che oggi entriamo nel deserto, che i miei compagni sono venti e che fra loro io non sono il miglior tiratore e che ogni punto nero che vedremo nel deserto sarà per noi una gazzella.” Seguirono i complimenti reciproci. Lesseps saltò a cavallo e con i delegati più decisi puntò sul villaggio. Vi trovarono una cinquantina di bachi-buzuk e beduini armati, che stavano sequestrando i loro conducenti di asini. Puntarono i fucili sulla banda che fu imprigionata insieme a Abderrahmane e fu scortata al Cairo, per una punizione esemplare senza la quale la Francia avrebbe esercitato il diritto di vendetta diretta. La spedizione proseguì per esplorare minuziosamente il tracciato dei due canali e per studiare le risorse che il terreno poteva offrire in pietra e legname. Seguì il tracciato dal Cairo al bacino del lago Timsah in cui avrebbe corso il canale dell’acqua potabile e irrigua. Da li, scese a sud sulla linea del canale marittimo e raggiunse Suez, il 3 aprile. Gli esploratori si accamparono fra la città, la ferrovia, il mare e l’Attaka. L’autorità locale impedì loro di far brillare le mine per saggiare la pietra della montagna e dovette intervenire personalmente, tramite il telegrafo, Said Pascià per dar corso all’operazione. I malintesi fra la delegazione e il governo egiziano filtrarono sui fili elettrici fino a Parigi, generando dubbi nel Consiglio della Compagnia sulla bontà dell’investimento. Se fosse nato il panico degli investitori di 314.494 franchi non solo avrebbe vinto l’Inghilterra, ma il presidente sarebbe finito in galera. Era il momento più difficile dal tempo degli attacchi di Stephenson.

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Il 7 aprile, Lesseps ripartì per Alessandria per un confronto con il viceré. Lo raggiunse, il 10 aprile, mentre il pascià si imbarcava, con il pretesto del ramadam, per un pellegrinaggio a Kavala, la città della Macedonia in cui era nato suo padre Alì. L’incontro fu brusco, nella forma di un devoto saluto al sovrano, che rimandò la questione dei contrasti al suo ritorno. Lesseps si recò a Damietta e da lì sulla spiaggia di Peluse. Seguì i cammelli con i bagagli per quattro ore a piedi fino al punto di entrata del canale marittimo, dove era piazzata la tenda di Larousse l’idrografo. Il brick l’Unione proveniente da Marsiglia scaricava da cinque giorni il legname destinato alle costruzioni e quella parte giunta a terra era impilata sulla spiaggia. Hardan l’impresario aveva trovato il legno di qualità superiore. Erano attesi da Marsiglia l’Isis e la Bretagna, due bastimenti carichi di materiali. Da Alessandria era partita una nave con il faro costruito dalla ditta Lucowtich. Il 25 aprile, la delegazione della Compagnia e un gruppo di impiegati e operai e di qualche fellah, in tutto circa centotrenta persone, si riunì in quel cantiere e innalzò su un palo la bandiera egiziana. I delegati della Compagnia e gli ingegneri vestivano in redingote nera, pantaloni bianchi e cilindro. Ascoltarono le parole del Presidente: “L’esplorazione completa che abbiamo fatto ci da la certezza che l’impresa e che può cominciare oggi e che essa darà un immenso valore ai capitali che l’hanno finanziata.” Il Presidente si rivolse agli operai: “ Ciascuno di voi darà il primo colpo di piccone, come faremo anche noi. Ricordatevi che non si tratta soltanto di muovere la terra, ma che i vostri lavori porteranno la prosperità alle vostre famiglie e al vostro paese. Onore a Said Pascià, che viva lunghi anni.” Calarono circa centotrenta picconate. Il 27 aprile del 1859, la II Armata austriaca varcò il Ticino e attaccò il regno di Sardegna. Scoppiò la guerra in Europa fra una grande nazione italiana e due imperi.

Pompeo De Angelis

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