Guardare alle elezioni siciliane con sguardo lungo verso il futuro della politica estera italiana

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Che la questione centrale del dibattito politico – per noi di questo marginale ed ininfluente blog – sia come ci si attrezza culturalmente per affrontare le questioni di politica estera (e quindi dei futuri possibili), è un fatto ormai assodato. Già nel aver affisso, virtualmente e metaforicamente, in rete, il 28 maggio 2014, il cartello (che oggi vi riproponiamo), appositamente ideato a suo tempo, sia nei contenuti ironici che realizzandolo graficamente, la dice lunga e in modo esaustivo su come la pensiamo: è ora di affrancarci da sudditanze e prepotenze, datate e senza visone prospettica. Ci aspettiamo quindi, ora che si delineano ipotesi di grandi cambiamenti (o credete a questa bufala che stanno cercando di rifilarvi di Silvio Berlusconi che, a cavallo di un caval, a 80 anni, torna e vi salva dalla sinistra?), cioè la vittoria non di generici populismi come gli oligarchi etichettano quelli che non la pensano come loro, ma di un movimento uscito dalla fucina italiana, peculiare nella sua visione di vasto orizzonte, che possa divenire esempio ad un’Europa smarrita, tenuta in sudditanza del totem monetario e senza una credibile, praticabile, “visionaria” politica estera.

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Federico II di Svevia

È una vera e propria lunga marcia quella che si deve saper avviare, con il primo passo della vittoria pentastellata (appena ve ne daranno l’opportunità) in questo nostro già troppo marginalizzato Paese. Da quel momento si giocherà una partita geopolitica euroasiatica/mediterranea epocale. Ecco perché, a quella data, Roma dovrà essere già riavviata al risanamento amministrativo e indirizzata ad assumere un ruolo internazionale in stretto raccordo con il Piccolo/Grande Stato (il Vaticano) che il disegno provvidenziale ci ha messo in casa; ecco perché, a quella data, la Sicilia, piattaforma strategica di questo grande esperimento neorinascimentale – multiculturale – mediterraneo, dovrà essere sottratta al malaffare politico per divenire, liberatasi dalla morsa che l’affligge da un secolo, vero campo di battaglia e di contrasto alla grande criminalità internazionale; ecco perché bisognerà sapere cosa proporre al nord dell’Europa che, nel frattempo, più di noi terroni, sarà sotto l’attacco del pensiero ottomano e delle conseguenze della destabilizzazione africana che è nei disegni di questi mostri sanguinari. Da quel momento si aprirà anche per noi la possibilità di iscriverci al torneo del Grande Gioco Geopolitico (GGG) dove, anche un outsider, se avrà studiato e se sarà audace, potrebbe non sfigurare.  Siamo entrati, anche sospinti/obbligati/favoriti dalla Quarta rivoluzione industriale prefigurata dal Alan Mathison Turing, quando ci aiutò – disinteressatamente – a sconfiggere i mostri nazifascisti, in un epoca storica in cui l’assoluta complessità della materia che si deve conoscere per deliberare non riceve conforto da nessuna serie storica, ne tantomeno ricorsiva.

Alan-Turing

Nessuna esperienza del passato è sufficiente: bisognerebbe conoscerle tutte e non basterebbe perché si configurano continuamente scenari da esplorare, confini da violare, muri da abbattere, dubbi da soddisfare, tanto che alcuni, usando il solito inglese, parlano del thinking the unthikable che, noi che ci dilettiamo di queste situazioni estreme da sempre, chiamiamo “incursioni nel futuro alla ricerca del possibile”.

Se la partita sarà decisa da paradigmi culturali evoluti (e così sarà), proviamo a giocarcela alzando – noi per primi – l’asticella della complessità.  Sfidiamo il mondo dei sempliciotti e dei farabutti sul terreno della trasdisciplinarietà dove se non hai i fondamentali a portata di mano esci al primo turno. Sarà un torneo a forte valenza culturale e quindi se riusciamo a ritrovare un po’ di senno e consapevolezza, non partiamo battuti.

Se inoltre interiorizziamo la questione teorica del battito delle ali, di farfalle o oche che siano, e ci rendiamo conto che la Quarta Rivoluzione Industriale/Culturale, paradossalmente, livella e mette tutti nella condizione di svolgere un ruolo locale e globale, la partita non è persa in partenza. Nello scambio d’informazioni in cui siete immersi, di cui vi compiacete, che vi sembrano sempre di più”magie”, bisogna saper pensare e agire non solo compulsivamente sulla base di meccanismi para-semantici (il numero dei caratteri che vi impongono è funzione dei recuperi automatici di quanto dite, a chi lo dite e perché lo dite) ma sviluppare capacità concettuali  perché i più vi possano capire, interiorizzare e apprezzare perché dite la verità. Perché, sentite a me che ciò sbattuto le corna, il terreno dove si farà la differenza ai punti è quello della amica Verità, che va servita con umiltà e fiduciosi che si è entrati nell’epoca storica in cui, disinformazioni, misure attive, bufale hanno le gambe corte.

Il contrario di quello che si vuole far credere. La capacità autoapprendente dei motori elettronici che svolgono la funzione hub per miliardi di persone ormai che si relazionano e che per ora sono solo velocissimi, giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante stanno lavorando per il trionfo della fine della detenzione (e della classificazione quindi) dei segreti (da sempre supporto al potere vessatorio) e di “verità”, in esclusiva, funzionali a farvi fare ciò che i tiranni vogliono che facciate. Per servirli. Negli anni ’60 ho visto nascere il dibattito intorno al sabotaggio elettronico. Le più diverse tesi si sono misurate su questo terreno. Oggi si vede la luce: male non fare, paura non avere e, soprattutto, dire sempre la verità.

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Edgard Morin

La propria verità ovviamente, aggiungendo dettagli di quello che si ricorda; esprimere il proprio giudizio, con la sincerità più assoluta; dire cosa si ritiene giusto, cosa non giusto. Aumentare la massa critica delle informazioni, persona a persona, qualitativamente, potrebbe sembrare un assecondare chi ha messo in moto (e detiene) il meccanismo elettronico. Meccanismo che, autoapprendendo, potrebbe non risultare più così docile e alleato di chi volesse tirannicamente asservirvi. La complessità sviluppata ai massimi confini possibili, la condivisione delle risorse (a partire dalle informazioni), l’interdipendenza personale e degli organismi istituzionali, strutturerà un corpo sociale che aumentando il livelli della consapevolezza molecolare, vi faranno più forti e immuni da chi volesse tenervi in schiavitù.

Comunque, ce la batteremo.

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John Milton

Un pensiero d’altri tempi:

“E con la fanghiglia misero insieme la sabbia

(oggi si potrebbe parafrasare e dire “misero insieme un chip di silicio”)

e, larga come la porta che va giù

alle radici dell’inferno,

costruirono sopra la schiumosa

profondità

la mole immensa di un ponte dagli

alti archi

di lunghezza prodigiosa, tanto da

congiungersi al muro irremovibile

di questo mondo adesso senza più

confini.”

1667 John Milton

Senza visione e senza visionari che sarebbe il mondo e voi che speranze avreste?

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Leonardo da Vinci

E prima ancora, circa 1500, Leonardo da Vinci:

Del sogno. Sembrerà agli uomini di vedere distruzioni nel cielo, e fiamme che ne discendono sembreranno volare via nel terrore; essi sentiranno creature di ogni genere parlare il linguaggio umano; essi correranno in quel momento in diverse parti del mondo senza muoversi; essi vedranno gli splendori più luminosi in mezzo all’oscurità“.

Degli schermi, aggiungiamo noi.

Buona Pasqua di Resurrezione. Ognuno di voi sa “da cosa” e da “dove”. Sepolcri compresi.

Oreste Grani