Leo Rugens è stato denunciato da uno dei suoi nemici. Mo’ vediamo, diceva mio padre

Il 23 giugno 2014 Leo Rugens pubblicava il testo che oggi, nella sua interezza, vi “ribeccate”. L’ho scritto oltre mille giorni addietro quindi, o, se preferite, tre anni fa, A quella data, avevo già pubblicato, nella provvidenziale e memore Rete, 1550 post. Oggi gli articoli sono oltre 3500 e i naviganti erranti che hanno avuto accesso al blog molti, molti, molti di più. Non è vanità che mi spinge ma banale spirito di servizio sperando con il ri-blogaggio (è questo il termine tecnico che va per la maggiore) di fare cosa utile a quei cittadini e miei compatrioti attenti solo da poco a quello che nel settore di riferimento della sicurezza dello Stato può andare sotto la denominazione di “intelligence culturale partecipata e diffusa”.  Materia che trovo sostanzialmente anche così definita nei luoghi telematici animati dal cittadino parlamentare Angelo Tofalo, delegato dal M5S a rappresentarci nella Commissione Difesa della Camera dei Deputati e membro COPASIR.

Il lungo testo, riletto oggi, risente dell’appesantimento di tanti anni di lavoro, svolto a più mani e per più occasioni. Ma questo ho scritto a suo tempo e questo pubblico oggi. Comunque, io che conosco la genesi di ognuno dei ragionamenti in esso contenuti, mi appare un testo/spunto di una qualche utilità. Comunque, come è noto, al genitore, ogni figlio, sia pur scarrafone e bruttarello, appare bello. Lo pubblico anche perché sia base di discussione, quando sarò tempo (in realtà il tempo è arrivato), per una vera riforma (anche tecnico-giuridica e non solo culturale) del settore del l’Intelligence.

Il testo ha non pochi refusi – di cui mi scuso – ma ho preferito non correggerli.

Oreste Grani/Leo Rugens


UN PROGETTO SENZA NEMICI, È UN PROGETTO SENZA VALORE

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Cari lettori, come abbiamo avuto modo di dire altre volte, quando i cybernauti curiosi formulano domande alla rete intorno al tema dei servizi segreti o a espressioni di sintesi quali “intelligence culturale” o “intelligenza dello Stato” (come si entra, quanto si guadagna, che cosa sia l’Intelligence culturale, cosa sia uno stato intelligente, servizi segreti requisiti, come fare ad entrare nei servizi segreti italiani, servizi segreti stipendio, servizi segreti reclutamento, assunzioni senza concorso servizi segreti, indennità di cravatta), i motori di ricerca, Google, Yahoo, Bing, dando risposta, collocano ai primi posti le nostre considerazioni. Alla luce di questo primato, ci è sembrato doveroso contribuire, in spirito di assoluta e sinergica collaborazione con le istituzioni repubblicane preposte, pubblicare nuove considerazioni oltre a quelle già in passato postate e, oramai riconosciute, dagli algoritmi “sapienti” che supervisionano la rete, come pensieri affidabili. Vediamo, quindi, di fornire qualche altro elemento di riflessione a chi ci volesse ulteriormente conoscere.
Ad esempio, nei primi anni della nostra attività di ricerca e di addestramento all’apprendimento delle regole del Grande Gioco, ci siamo ispirati ad un pensiero (riteniamo universalmente noto) del filosofo/scienziato Leibniz che sottolinea come lo “scultore vagabondo” solo lui può unire le parti perché è lui (e nessun altro) che le può unire.

“L’evoluzione, piuttosto, assomiglia a uno scultore vagabondo che passeggia per il mondo e raccoglie un filo qui, una latta là, un pezzo di legno più in in là. E li unisce nel modo consentito dalle loro strutture e circostanze, senza altro motivo se non che è lui che può unirli. E, così, nel suo vagabondare, si producono forme complesse composte da parti armonicamente interconnesse, che non sono prodotto di un progetto ma di una deriva naturale”. Leibniz

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Questo è il modello culturale e organizzativo da cui, inizialmente, ci siamo fatti guidare. Veniamo all’oggi e ad alcune ulteriori premesse da cui siamo partiti.

Per noi, la posizione geografica di una regione/nazione è un valore pari se non superiore a quello delle risorse che possiede. Se posizione e risorse hanno un valore altissimo, la regione/nazione diventa però terra di conquista o di appetiti insani.

Per noi, “l’espressione del subconscio di una nazione è il suo servizio segreto”, come scrive John Le Carré nel suo romanzo più noto La Talpa. Inoltre, in Leo Rugens, riteniamo che il subconscio sia una delle peculiarità dell’intelligenza umana.

Non temiamo di dichiarare pubblicamente e in modo indelebile – come solo la rete sa fare – che l’assenza (di questo si tratta) di un servizio segreto “intelligente”, come noi lo intendiamo, rende l’Italia una realtà storica-culturale-giuridica senz’anima, senza sovranità, incapace di riconoscersi, pronta a perdere “coscienza”, “svenire” quindi, forse anche “morire”.

Sfidiamo chiunque a smentirci sul fatto che le vicende politiche del Paese hanno orientato, negli ultimi decenni, gli accadimenti italiani non sempre verso direzioni rispondenti agli interessi nazionali.

Sfidiamo chiunque a smentirci sul fatto che in Italia accade di tutto, da troppi anni, e questi avvenimenti “imbarazzanti” ci danno la certezza della ‘pericolosità’ per la collettività dell’attuale forma organizzativa del nostro sistema di sicurezza.

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Scriveva Christopher Andrew, nel maggio del 2001, nel saggio “L’intelligence nel XXI secolo”, in “Per Aspera ad Veritatem”, rivista del SISDE: “Il vero problema per l’intelligence dei nostri tempi non è la raccolta informativa, non è l’analisi, non sono i rapporti con le altre comunità di intelligence, ma è il rapporto con il livello politico”.

Questa affermazione è vera e lungimirante (tranne rarissime eccezioni) per il mondo intero ma non per l’Italia dove, da troppi anni, il problema di cui parla Christopher Andrew non c’è più perché è cessata ogni vera attività di raccolta informativa, ogni analisi, ogni rapporto con le altre comunità di intelligence.
L’Italia è esclusa dal Grande Gioco (mediterraneo e africano in particolare), se non per episodi marginali o, peggio, situazioni internazionali costruite artatamente per poter dire che ci siamo ancora. In Italia, i Servizi, ormai (vedi anche i recenti episodi Shalabayeva/Ablyazov , per l’estero e, Expo 2015 o Mose, per l’interno) non hanno alcuna relazione con il livello politico perché non c’è più la politica (se non nella sua forma di degenerazione partitocratica) e, quindi, di fatto non c’è più Intelligence. I rapporti tra questi due mondi sono circoscritti solo a questioni di tipo affaristico e mai (così a noi sembra) a sinergie finalizzate a difendere la Costituzione e gli interessi tangibili dei cittadini. Sempre di più, ogni volta che scoppia uno scandalo per i comportamenti predatori di esponenti della politica o dell’alta burocrazia, nella associazione a delinquere, spuntano o alti gradi delle forze Armate, o di Polizia o peggio delle nostre strutture di sicurezza.
Troppo duri e definitivi nei nostri giudizi?

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Pensiamo questo e, rischiando di farci altri nemici, questo sentiamo di dover dire, per l’Italia e per la nostra gente che ha il diritto di non essere più presa per il culo. Comunque, come recita il titolo, un progetto senza nemici è un progetto di nessun valore. E noi di Leo Rugens, un progetto ce lo abbiamo e, nemici pure! Alla fine, tutto quadra. Nel nostro disegno strategico, ad esempio, il settore dell’Intelligence (culturale) ha bisogno di essere subito messo all’ordine del giorno di un governo che volesse veramente girare pagina. La questione “intelligenza dello Stato” va ragionata con assoluta priorità, vanno prese delle decisioni drastiche, vanno trovati ,fuori dalla solita cultura emergenziale, larghi mezzi che vanno messi a disposizione del “comparto”. Non bastano i sia pur giusti ed utili protocolli firmati a suo tempo (7 luglio 2011), tra il dott. Gianni De Gennaro, all’epoca Direttore del RIS, e le il mondo delle Università italiane. Buona cosa ma bisogna fare di più e non basta farsi vedere a Forum P.A. per cambiare il clima nell’ambiente. Bisogna fare di più, molto di più se si vuole risorgere, come Stato e come comunità nazionale. Si devono indirizzare soldi importanti verso una necessaria Strategia di sicurezza nazionale. Che va messa a punto e varata quanto prima. I soldi per sostenere la Strategia di Sicurezza Nazionale vanno recuperati approfondendo le modalità di spesa di altre sacche inutili e obsolete dell’amministrazione. Se vogliamo riavere un’identità come Stato, dobbiamo avere il coraggio di non comprare “alcune cose” e viceversa prepararci ad indirizzare grandi mezzi verso gli istituti di cultura, in Italia e all’estero, vere “serre” di coltivazione di cervelli che necessitano ai progetti relativi all’Intelligence culturale. Soldi ben preventivati, ben rendicontati ma in grande abbondanza ai “servizi del futuro”. Questo è ad esempio un primo cambiamento paradigmatico rispetto alla direzione che oggi si è intrapresa. Ci vogliono soldi in abbondanza, sia pur da spendere “intelligentemente” e con tassativi controlli sui comportamenti. Finanziamenti all’Intelligence Culturale come parte di una decisione coplessiva di rilancio di tutto il mondo della ricerca, della scuola e della formazione permanente a cui i cittadini hanno diritto. Gli israeliani questo fanno da sempre; in questo stesso spirito, decine di migliaia di inglesi, dopo gli attacchi a Londra, post 11 settembre, sono stati avvicinati dai mitici SIS IM 5/IM 6; così fanno i nostri competitori nel Mediterraneo, attraverso l’istituto “Goethe” i tedeschi o il “Cervantes” gli spagnoli. Per non parlare dei francesi che sono dietro o presenti in quasi tutte le attività culturali che si svolgono nel Mediterraneo. Iniziative che mai sono disgiunte, giustamente, dagli interessi della Repubblica Francese. I russi, i kazaki, i giapponesi, i “chiunque” usano la cultura tranne l’Italietta che ne avrebbe a “strafottere” di materia prima.

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Oggi, 22 giugno 2014 affidiamo alla amica rete la richiesta che, anche qui da noi, finalmente, si trovi il coraggio di indire “un tavolo” capace di rifondare “l’ambiente”. Non intendendiamo quello idrogeologico che, comunque, passateci la battuta, anch’esso avrebbe bisogno di denaro e pensiero strategico. Ecco quindi alcune considerazioni che speriamo siano di aiuto alle donne e agli uomini che, in migliaia, formulano le domande che abbiamo prima esemplificato.

Se fossi in voi, amici curiosi e necessitanti di risposte, comincerei col chiedermi, ad esempio, perché, senza alcun fine apparente, ci sono persone che dedicano il loro tempo a questi temi. Mi comincerei a chiedere quanto questo “argomento” sia centrale nell’individuazione del percorso utile al raggiungimento di quella sovranità nazionale e libertà dalla sopraffazione degli interessi di paesi terzi, che manca alla vita della Repubblica. Libertà e sovranità quasi assenti in Italia, dai tempi della soppressione di Enrico Mattei prima e di Aldo Moro, dopo. Oltre a chiedere “quanto si guadagna nei servizi segreti”, mi comincerei a incuriosire del progetto denominato “Guglielmo da Baskerville” e dove voglia o possa andare a parare ogni parola scritta in questo blog ed ogni azione effettuata, prima della nascita di Leo Rugens, dagli uomini e dalle donne che compongono la sua redazione. Tutta questa attività, caledoscopica e per alcuni aspetti di difficile comprensione, viene ricordata solo come elemento di ricostruzione di un racconto necessario e al tempo stesso doveroso. Il progetto, dopo l’uscita (1980) del romanzo “In nome della Rosa” di Umberto Eco, venne messo a punto per rispondere all’esigenza improcrastinabile di arrivare, un giorno, a dotare il Paese di quella che, per primi (in Italia), abbiamo chiamato “Intelligence Culturale” e “Intelligenza dello Stato”. Ci siamo ispirati, come appare chiaro, alla capacità complessiva di trattare il Grande gioco che il raffinato intellettuale italiano Umberto Eco, aveva messo a punto, romanzo dopo romanzo, saggio dopo saggio, conferenza dopo conferenza, bustina dopo bustina.

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Presupposto a tale attività teorico/strategica è stata la formulazione di una definizione di leadership a cui ispirarsi e da cui farsi guidare. Vi abbiamo già postato questi nostri pensieri formulati rispetto alle peculiarità che dovrebbero connotare la dirigenza dello Stato ma speriamo che oggi, rileggendoli, o leggendoli per la prima volta, assumano altro valore. Un gruppo dirigente che sia pienamente tale deve evitare, mediante l’esattezza delle sue previsioni, informazioni, analisi, che un leader, a qualsiasi livello, si trovi in quella che è chiamata l’alternativa del diavolo, cioè l’obbligo di decidere tra due scelte ugualmente negative. Solo a questa condizione può delinearsi una leadership autonoma da condizionamenti e quindi in grado di esercitare la propria funzione.

Leadership è la capacità di guida in un procedimento decisionale consensuale e condiviso. Essa si contrappone, da un lato, al caos della miriade di impulsi di volizioni, interessi, proposte che, provenendo da un qualsiasi contesto di forze in contrasto tra loro, non trovano una mediazione e creano disordine e anarchia e una permanente conflittualità; e dall’altro lato si oppone a un’imposizione autoritaria della volontà, che annulla o deprime la molteplicità delle idee e genera una rigida gerarchia tra “capo” e sottoposti, con tutte le degenerazioni che questa comporta: di conformismo, di ortodossia, di sclerosi del pensiero.

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La pratica della democrazia è connaturata al concetto di leadership. Tutte le idee vi trovano libera espressione, senza censure o autocensure, in un confronto aperto che arricchisce di utili apporti l’analisi delle situazioni e la ricerca dei modi di intervento. Ma da questo dibattito il leader ricava una propria indicazione di guida che trae giustificazione e autorevolezza dall’essere la sintesi di un processo di ricerca collettivo e insieme dal dare a questo processo una risposta motivata. La decisione finale non viene imposta di autorità dal vertice, ma si forma invece attraverso un lavoro in comune, che si conclude tuttavia in una scelta univoca, impegnativa per tutti, scaturita da un metodo di “persuasione”. Si può pensare a un gruppo dirigente in cui tutti partecipano alla formazione delle scelte e tutti sono corresponsabili della loro attuazione, ma dove proprio questo metodo di coinvolgimento conferisce alla volontà del leader pienamente la sua funzione di guida.
Leadership è sinonimo dunque di egemonia, cioè di una preminenza esercitata, nell’ambito di una libera consultazione, sulla base della qualità delle proposte e delle decisioni formulate.
La leadership è essenzialmente laica, nel significato più ampio del termine.
La dipendenza, nel processo decisionale, da un credo ideologico vanificherebbe infatti inevitabilmente la libera ricerca, prefigurando o condizionando fin dall’origine la formazione delle scelte.
Essere laico in questo caso significa commisurare le decisioni esclusivamente sulla qualità dei fini e sulla congruenza dei mezzi per raggiungerli. E significa ugualmente disponibilità assoluta alla tolleranza, al dialogo, alla comprensione dell’altro da sé. S’intende che nella “qualità” dei fini entrano molte componenti: accanto alla liceità etica, alla fondatezza scientifica, al progresso tecnologico, rivestono pari importanza la convenienza economica e l’utilità pratica sia a livello del gruppo che ne è promotore, sia a livello dell’interesse generale e della “qualità della vita” della collettività.

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La leadership implica per sua natura un elemento utopico, cioè una prospettiva di cambiamento. La semplice conservazione dello stato delle cose non esigerebbe una capacità di guida; essa richiede tutt’al più un equilibrio (sempre instabile) tra le forze in contrasto, una sorta di accordo diplomatico tra interessi consolidati. Guidare un gruppo, un’istituzione, un partito, una società significa interpretare il loro divenire, le loro energie emergenti, le loro potenzialità di progresso, finalizzandone il movimento a un disegno ordinato, razionalmente e responsabilmente governato.
Per fare questo è necessario spostare in avanti, in un luogo altro (l’utopia, modello ideale ma realizzabile) la linea del consenso, il che implica sia la critica alle situazioni esistenti sia un positivo orientamento verso forme innovative. Come il pensiero laico, anche l’utopia così definita – misurandosi dinamicamente sulla realtà – si contrappone alle ideologie, alla loro tendenziale rigidità e ortodossia.

La cultura è il nutrimento essenziale della leadership.
Soltanto le idee, in tutte le loro accezioni (riflessione critica, autoconsapevolezza, responsabilità etica, conoscenza attraverso le arti, espansione del senso positivo della vita e della sua fruizione), possono infatti assicurare la fondatezza e la ragione stessa di un’egemonia. E possono trasferire la convivenza tra gli uomini a ogni livello, dalla conflittualità quotidiana di interessi particolaristici, a una prospettiva di sviluppo nel futuro, com’è nella natura della mente umana e nelle inarrestabili conquiste della scienza.

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Aggiungiamo inoltre che mentre ci auto addestravamo alla necessaria arte del “saper dire di no”, abbiamo voluto/potuto, durante gli anni di attività di studio teorico, misurarci anche con casi reali che consentissero di testare, correggere e affinare la prassi da noi, appunto, denominata, Intelligence Culturale.

La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – ha consentito di formare personale capace di affrontare conflitti e trovare soluzioni alle minacce emergenti del tipo “realtà immediata” senza dover perdere la peculiarità tipica di soggetti consapevoli dell’alto valore strategico che conferisce lo “sguardo lungo della Storia”. Per star dietro a quella che abbiamo chiamato, “realtà immediata”, abbiamo lavorato sui contenuti e sui percorsi formativi innovativi, costruendo, ove possibile, relazioni di business preferenziali.

La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – indirizzata alla ideazione, organizzazione e svolgimento delle attività in totale autonomia di mezzi finanziari ha addestrato il personale alla più assoluta autosufficienza e a maturare – per superare le difficoltà – forti motivazioni di tipo etico/valoriale. Altro che, per prima cosa, chiedere “quanto si guadagna nei servizi segreti?”.

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La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – ha consentito di definire criteri di reclutamento, selezione e formazione del personale scevro da qualunque altra motivazione se non la passione per l’attività finalizzata ad “estrarre dalla realtà quello che c’è ma non si vede” e con queste conoscenze acquisite, agire in difesa della Repubblica e della necessaria convivenza civile.

La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – ha consentito di accumulare un patrimonio di conoscenze atte a individuare i contorni, le linee di confine, le terre di mezzo tipiche dei fenomeni complessi quali sono il crimine internazionale organizzato e le sue ricadute al livello locale, il terrorismo internazionale e le sue ricadute al livello locale, l’hackeraggio sotto qualunque forma si presenti e da dove comunque provenga. Queste conoscenze e queste abilità rappresenteranno, tra l’altro, il “guadagno” (inalienabile) che, in futuro, chiunque sia preposto al reclutamento del personale, potrà/dovrà promettere alle “reclute”. Quanto nell’ambito del progetto denominato “Guglielmo da Baskerville” nello svolgimento delle attività imprenditoriali di volta in volta scelte, è stato fatto, ad esempio, ormai è materiale didattico testato e a disposizione del Paese. Il gruppo di pensiero formatosi a contatto con la cruda realtà italiana ed in particolare con il fenomeno corruttivo dilagante nella classe dirigente burocratico/politica, centrale o periferica che fosse, ha maturato strumenti di rapida individuazione dei modelli e delle architetture labirintiche che possono unire politici inadeguati, mondo del credito spregiudicato, criminalità internazionale, arrivando così, a rilevare, con immediatezza, anche comportamenti oggettivamente atti a servire interessi di Paesi terzi. Difficile, se uno è al servizio di un’altra bandiera che, con il metodo “Intelligence culturale”, da noi messo a punto, noi non lo si riesca ad individuare e “scovare”. Lui, il suo modus operandi e il paese per il quale lavora: per soldi, per sesso, per ambizione, per viltà.

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In oltre sedici anni, la scelta della formula teoria/prassi, gestita in totale “libertà” all’interno del “Progetto – Guglielmo da Baskerville”, svincolata da qualunque formula di subalternità alle strutture di comando istituzionali del settore, ha consentito – sia pur con le ovvie difficoltà dettate dalle necessità di un continuo e precario (a volte, spregiudicato) approvvigionamento – di sviluppare un “sistema di monitoraggio” più vicino a quei cittadini ben disposti a diventare sensori volontari di quella rete d’allarme e di rapido intervento necessaria a rispondere, in modo consapevole, alle minacce che si nascondono alla vista degli uomini di governo (onesti), dei burocrati (onesti) e degli analisi troppo spesso isolati e demotivati

La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – è stata finalizzata a mettere a punto un metodo formativo capace di addestrare il personale prefigurando un tipo di analista/operativo capace di superare la preoccupazione di dover tagliare e miscelare differenti “fatti correnti” costringendolo a rinunciare al misurarsi con le fonti che chiamiamo per semplicità “Intelligence Culturale”, uniche che consentano una completa visualizzazione di ogni aspetto del problema cogliendone la natura multi dimensionale o meglio, come preferiamo dire noi, transdisciplinare. Dice il prof. Edgar Morin, uno dei grandi padri della scienza a cui ci siamo ispirati: “Nata come devianza, la transdisciplinarità sembrerebbe essere agli inizi di una fase di “normalizzazione”. Ma, si sa, le “nuove idee nascono nei vecchi involucri e spesso cadono nelle vecchie trappole (a buon intenditor…poche parole, ndr). La nuova scienza è ancora allo stato di crisalide. Noi siamo in un’era agonica di gestazione o di morte”. Il pensiero di Morin, si ritrova nel volume da lui scritto “Le idee: habitat, vita, organizzazione, usi e costumi”.

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La scelta della formula teoria/prassi – prolungata nel tempo – ha consentito di mettere a regime un metodo scientifico di acquisizione delle informazioni, della gestione delle conoscenze, supportato da una competenza nelle tecnologie e nel controllo delle comunicazioni ormai tutt’uno con l’area strategica di un’Intelligence concepita in chiave culturale. Per oggi basta! Ci siamo concessi qualche anticipazione perché è arrivato il tempo di rispondere così ai neofiti che, per prima cosa, vogliono sapere “quanto si guadagna nei Servizi Segreti”. Se fosse per noi, l’avete capito, risponderemmo sempre: quanto sei pronto “a dare” alla Repubblica per avere l’Alto Onore di servirla, nel modo più anonimo possibile, e con la rimozione di qualunque larvata ipotesi di farti “i cazzi tuoi” grazie al fatto che sei “dei Servizi”? Questa visione distorta (che me date?), unita alla cooptazione nei ranghi, per raccomandazione e spesso senza merito alcuno, hanno condannato “il servizio” a non poche sconfitte che hanno segnato la vita della Repubblica e della convivenza civile. Molto sangue è scorso, alcuni uomini sono ingiustamente caduti e molta ricchezza del Paese è andata dispersa anche per la pochezza dei criteri informatori (reclutamento, selezione e formazione del personale) di quella che doveva essere la regola assoluta (la meritocrazia) per forgiare quello che doveva il vero Corpo d’eccellenza delle Forze Armate del Paese. Di un Paese finalmente armato di capacità, dedizione e di valori etico/morali strategici. Strategici in quanto “intelligenti”. Stop perché, comunque, anche i cretini organizzati, hanno capito che non abbiamo rinunciato al progetto che qualcuno ha voluto interrompere subito dopo il 23 marzo 2012 e che, sia pur stremati, ci prepariamo a consegnarlo, migliorato e ancor più verificato, allo Stato.

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Verrà offerto alla Repubblica che, come abbiamo sempre detto, esplicitamente o implicitamente tra le righe di questi 1550 post, è l’unica legittima destinataria/proprietaria di quanto fatto da Leo Rugens da solo o con chiunque si sia potuto/voluto affiancare a lui, nelle attività svolte di ricerca, studio, sperimentazione e, quando è stato necessario, per dirindindina, di contrasto ai nemici della Patria. A questo abbiamo dedicato tutta la vita. Altro che arricchimenti e appropriazione indebita. Facendo, (di questo ne siamo consapevoli) a volte anche “morti e feriti”. Ora che guardiamo il lavoro svolto, senza compiacimenti, possiamo però dire che abbiamo solo addestrato e formato Italiani pronti alla superiore arte del sapersi ritirare.

Leo Rugens

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