La legge è uguale per tutti, la jella no

17-tombola

L’8 giugno u.s. su Libero, diretto da Vittorio Feltri, compare a firma di una simpatica (così spero che sia, anche in versione carne ed ossa, perché, in foto, è anche bella) giornalista napoletana, Lucia Esposito, un pezzo che, nella mia semplicità di giudizio, definisco “immortale”.

Leggete e, se siete deboli di reni (come ormai sono io), state attenti.

Corredo il post-siparietto (per il resto, senza questi pezzulli, Leo Rugens sta diventando pedante e ripetitivo) con due nostri vecchi articoletti. Uno dedicato a Vittorio Feltri e alla sua pipa di un tempo e l’altro al n°17.  Mettete tutto insieme e fatemi sapere.

Oreste Grani/Leo Rugens

iella

iella-e1560237204987.jpeg

 


SIENA E IL NUMERO 17. TUTTO È ORGANIZZATO SECONDO IL NUMERO. PLATONE

Pinturicchio - Allegoria del Monte della Sapienza - Siena -Pavimento del Duomo

La matematica è una disciplina molto vasta e non si può pensare di conoscerla tutta. Ciò che invece si può fare è esplorarla individuando un proprio percorso: le possibilità che ci si aprono davanti ci condurranno verso altre epoche, culture differenti dalla nostra e concetti che hanno stimolato la curiosità dei matematici e, passatemi il termine, dei filosofi per molti secoli. La matematica è allo stesso tempo antica e moderna, ed è stata edificata a partire da un’ampia varietà di contributi politici e culturali. “Tutto è organizzato secondo il numero” diceva Platone.

Gli avvenimenti senesi mi spingono a dedicarmi più che alla matematica a un suo “momento” cioè, la numerologia. Potete leggere di seguito un ragionamento su Siena e il numero 17. Fatelo a prescindere che siate contradaioli o cittadini del mondo.

Zero 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

A dare una sua compiutezza all’opera che si presenta, ora, per i tipi de “I libri del Graal”, vogliamo però concorrere con una nota esplicativa sul valore simbolico-numerologico del numero 17: il numero appunto delle contrade di Siena.

Il 17, come è noto, porta male e, pertanto, è spesso escluso dalla normale numerazione dei caseggiati, abitazioni, camere d’albergo e via dicendo. Quando si evidenzia ai non senesi che le Contrade che corrono il Palio, a Siena, son 17, qualcuno, per i senesi inopinatamente, si tocca le parti basse.

Ed è tutto un errore. Già, perché, invece che menagramo, il 17 è un gran bel numero, almeno nella tradizione della stragrandemaggioranza dei popoli. È comunque capitato – nella antica tradizione latina – che il 17 sia da considerarsi infausto perchécambiando l’ordine delle lettere romane che lo compongono (XVII) si ottiene la parola VIXI, che vuoi dire “fui, vissi”, quindi “non son più” o “son morto”.

Number One 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

La trasposizione delle lettere, come si vede, è dunque lambiccata se non addirittura arbitraria poiché da XVII a VIXI il passo non è né lineare né agevole, facendo sì che debba essere del tutto opinabile, quindi, la negatività del numero diciassette.

Da escludersi, poi, addirittura, questa negatività allorché si constati come la stragrande maggioranza delle interpretazioni numerologiche in tutte le altre parti del mondo e nelle diverse civiltà, che, questa scienza, conoscono, siano nettamente favorevoli alla interpretazione del numero 17 non solo come numero “fausto”, ma addirittura ambito: infatti già l’alchimista Sufi Gabiribn Hayyatan avvertiva, in un Sura del “Libro della Bilancia”, come ogni cosa di questo mondo sia, in effetti, legata al 17, giacché esso rappresenta la base stessa della “Teoria della Bilancia” e deve essere perciò considerato “il canone dell’equilibrio” (felicissima combinazione che viene cosi a riflettersi nella oggettiva validità dell’insieme delle nostre attuali Contrade).

Number Two 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Gli Sciiti veneravano addirittura il 17 perché vedevano in esso il numero magico di coloro che sarebbero “resuscitati”, dovendo ognuno ricevere una delle 17 lettere dell’alfabeto delle quali si compone il “nome glorioso di Dio”. I greci ritenevano il 17 numero fondamentale, in quanto vi ravvisavano le stesse componenti delle consonanti del loro alfabeto, che a loro volta si compongono di 9 mute e 8 semivocali. Gli ellenici ponevano quindi in relazione questi numeri con la teoria musicale e con l’armonia delle sfere: essi collegavano il 17 al 72 in virtù del rapporto che corre fra questi numeri, ottenendo così dal 17 (7+1) 1’8 e dal 72 (7+2) il 9 È questo un singolare e specifico rapporto che certamente si presenta nelle speculazioni aritmologiche dei greci stessi, tanto che il risultato torna costantemente sul piano grammaticale, musicale e metrico, così come è presente in quello cosmologico e magico. Se i numeri hanno, quindi, un valore ben preciso dal punto di vista escatologico, metafisico, esoterico e filosofico, come pensava Platone (per il quale i numeri erano non solo il più alto grado della umana conoscenza, ma anche e soprattutto l’espressione dell’essenza dell’armonia cosmica e di quella interiore), bisogna riconoscere e convenire che la qualità del 17 ben si addice, anche nelle sue molteplicità, alle Contrade del Palio di Siena poiché assumendo, in esse e per esse, un preciso accordo indicativo in rapporto al valore che il numero ha, le specifica e le precisa quali enti fausti e congeniali alla civiltà di cui son parte. Infatti conferma Giamblico che nel suo Discorso Sacro, Platone afferma perentoriamente: “Tutto è organizzato secondo il numero”.

Number Three 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Non si devono, in virtù dei canoni della magia e dell’esoterismo, usare i numeri a sproposito, poiché essi contengono forze sconosciute e nelle loro combinazioni celano messaggi cosmici e poteri arcani; San Martin credeva che i numeri fossero gli involucri invisibili degli esseri e ne regolassero non solo l’armonia fisica e le leggi vitali, spaziali e temporali, ma pure i rapporti con il principio.

Ora sarà facile notare, conosciuto il vero valore del 17 ed esorcizzato il suo controverso influsso latino, come la qualità positiva dei numeri relativi alle Contrade e al Palio, sia effettivamente in armonia con la “centralità” della festa, sol che si consideri che aggiungendo al 17 delle Contrade di oggi il 5 di quelle assorbite e non, quindi, scomparse, valide dunque come valore nascosto ma contenuto, si ottenga il 22 (non si deve considerare come Contrada autonoma la Quercia poiché mai, in effetti, si distinse dalla Chiocciola). Ora il 22 rappresenta “la manifestazione dell’essere» nella sua diversità e nella sua storia, vale a dire nello spazio e nel tempo, nella tradizione peul il numero 22 (0) significa “molto a lungo” e assume un aspetto di ordine sacrificale ed iniziatico: è la conclusione dell’Opera del Creatore, il “termine delle parole”, la cifra dell’Universo nella conoscenza mistica dei Bambara. Se al significato cosmologico e magico, positivo, del 17 si aggiunge ilvalore eterno (“molto a lungo”) del 22, bisogna riconoscere che le Contrade del Palio di Siena hanno un significato perennemente valido nel tempo e nello spazio, come sostanza etica e culturale di un popolo evidentemente “antico” Sena Vetus.

Ecco perché è possibile rintracciare nei 22 Trionfi dei Tarocchi la simbologia che le antichissime carte di Ermete Trismegisto (il mago del Duomo di Siena) rappresentano e facilmente rapportarla alle 22 entità della festa di Siena.

Che, poi, rami di piccola superstizione vera e propria, come l’apparizione negativa dei quattro verdi in piazza, gli scongiuri alla curva di San Martino, la posizione del bandierino della Torre del Mangia, la defecazione del cavallo in chiesa, le diverse interpretazioni della posizione delle bandiere nella Chiesa di Provenzano o al Duomo rispetto al Palio, ed altre cabale di stregoneria campagnola, come la temuta rottura nelle prove dello specchio che orna la spennacchiera, abbiano un loro posto nella credenza popolare è ovvio e naturale, ma si tratta di credenze basate su osservazioni ed esperienze varie, accadute nel corso dei secoli, e sulla validità delle quali è facile tanto credere, quando si avverano, quanto dubitare o negare, quando vengono, come spesso accade, sonoramente smentite.

Oreste Grani

Number Five 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Number Six 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Number Seven 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Number Eight 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990

Number Nine 1968 by Erté (Romain de Tirtoff) 1892-1990


ALDO BUSI: VITTORIO FELTRI È UNA PIPPA SIMILINGLESE

Aubrey Beardsley, Ritratto di... Aldo Busi

Aldo Busi, che è un mio eroe da tempo e che di recente – unico insieme a me – ha dato del “cattocomunista” a Bersani, pubblicò anni fa un ritratto perfetto del Grande Megagalattico Gentleman Driver Direttore del Giornale Vittorio Feltri.

Chi sia Feltri lo comprenderete fino in fondo leggendo un post che ho ritrovato in un blog di cavallari e che mi permetto di pubblicare per primo data la successione temporale degli eventi: prima “driver” poi “direttore” del Giornale.

robegh 15/08/2010 12:14

In questi giorni Vittorio Feltri sembra erigersi a strenuo difensore della moralità e non esita a rovistare nel fango pur di trovare qualcosa che gli consenta di fustigare gli altrui comportamenti.

Come saprete il Feltri ha avuto una lunga attività come gentleman driver e in questi giorni mi è tornato alla mente un fatterello avvenuto in quel di Milano molti anni fa.

Convegno feriale, pioggia, inverno, corsa sui 2000 metri. Il nostro scende in pista con un favorito abbastanza netto. Sul rettilineo di fronte Feltri sposta e fa l’arrivo un giro prima (al passaggio). Ovviamente il cavallo dopo il palo si ferma esausto per lo spunto anticipato e si ritira.

Domanda: Feltri non sa contare fino a due?

Attendo commenti (vedi CortoMuso.it)

Commento io: Feltri, dal racconto per sconosciuti moventi alterò il risultato della corsa e, io penso, deve essere questa sua capacità di manipolare la realtà ad aver fatto decidere i fratelli Berlusconi ad affidargli la direzione del Giornale.

Veniamo ora al bellissimo articolo di Busi.

 

Aldo Busi va in edicola – Una pippa similinglese

Come ho già detto altre volte, prima o poi mi occuperò del Corriere del la Sera, ma non stavolta però, avendo io terminato dopo nove anni un ennesimo romanzo epocale ed essendomi dedicato a una cura del sonno interrotta solo per accendere la televisione e riprendere a russare, constato che questo quotidiano,sempre più attento agli opportunismi che alla veridicità, fa la cronaca di un deprimente spettacolino con Fiorello e Costanzo e ne parla senza gridare vendetta, tremenda vendetta.

Mi occuperò invece (si fa per dire anche ‘invece’) del Giornale. Alcuni anni fa, quando avevo delle velleitàgiornalistiche, caddi in una trappola tesami, involontariamente, da Andrea Zanussi editore allora dell’Indipendente il cui direttore era Vittorio Feltri, genero di Enzo Biagi, tanto per dire che, gira e rigira, l’inchiostro è sempre quello ma che peramor della pagnotta (un forno a livello industriale) si fa finta che ci sia una qualche differenza.

Zanussi mi propose di curare un inserto culturale dedicato alleditoria, agli editor, agli scrittori, alle recensioni, a premiopoli, al mercato librario, a una branca dell’industria cartacea, cioè, che conosco come le mie tasche. Avrei voluto dedicare una sezione sia ai pettegolezzi (Lalla Romano, vicina ai novanta, scopacon il quarantenne soffiato alla ricercatrice universitaria di un altro quarantenne Itala Vivan? e se no, stasopra o sta sotto?) sia all’editoria scolastica (del settore la più scandalosa, per costi e ricavi e per bufale riciclate).

A tal fine, Zanussi mi prese un appuntamento, lui presente, con questo Feltri; ci andai, parlammo, e il direttore, che mi fece l’impressione di un uomo stanco di far finta di non essere altro che un furbo, mi diede un appuntamento telefonico nelle seguenti quarantotto ore.

La premessa, va da sé, era che il direttore del mio inserto ero io ma che sarei stato ben lieto di dare qualche consiglio a questo uomo con la pipa-biberon in bocca e un ‘fair play’ che solo nelle purtroppo non sperdute valli dell’Adamello potrebbe venir definito ‘inglese’.

Come si sarà capito, potevo far spallucce alla destra e alla sinistra (non avevo mai letto una sola volta il suo giornale), ma alla pipa no, inquietava, mi ricordava la coperta di Linus, cioè la pericolosità, per quanto mesta e infantile, degli uomini che guidano col cappello. Una pipa spenta in bocca non è, come si può arguire, un simbolo fallico altrui, niente di omosessuale in questo, è di gran lunga più allarmante: il fallo è il proprio, è fuori uso, gli si fa un eterno chinotto nella speranza di raddrizzarlo. Tale compito di accentramento su di sé esclude la possibilità di occuparsi di nient’altro che vada al di là del proprio ombelico.

Sapevo indistintamente che avevo fatto male a non farmi dire no subito, ma Zanussi ci teneva sinceramente tanto alla mia collaborazione … Passano due giorni, ne passano tre, questo piparolo non si fa sentire e allora telefono io: una volta, due volte, tre volte, “Il dottor direttore è in riunione, fa sapere di chiamare più tardi”, mi fa la centralinista con voce sempre più allegra. La cosa mi incuriosiva, sicché insisto, e un bel giorno, dopo un buon cinque minuti di attesa, la stessa signorina all’apice della ridarella, mi fa “Il dottor direttore dice che non può risponderle perché sta scrivendo”. Come se il moscerino dicesse al bue, “Fatti in là, che sto arando”. Da allora non ho mai più avuto modo di incontrare questo direttore’ ed è stato un bene. Per lui.

Ora, tutto Il Giornale di Feltri è improntato a questo kinderheim del fanciullino infeltrito che tira la pietra e nasconde la mano, si veda l’inserto centrale (chiamato culturale) di revisionismo storico pressoché quotidiano: che altro è se non un gioco a nascondino allo scoperto per vedere se qualche volta la si fa franca? Articoli sul Ventennio grandi come un lenzuolo con una sola morale degna dicontrastare tutto, dalla resistenza all’olocausto: i treni, ah, i treni però arrivavano in orario!

Se ci sono lettori italianostalgici che hanno bisogno di risentirsi dire questo, io credo che, piuttosto, sarebbe meglio emigrare in Groenlandia e aprire una gelateria. Invece c’è gente che pur di fare giornalismo è disposta a tutto, anche a farlo. Inutile dire la malafede con cui i titoli centrali tentano da un anno a questa parte di far passare le marachelle e le ingenuità di Di Pietro per degli atti illegali gravi almeno quanto quelli di cui sono accusati i fratelli, costruttori per eccellenza, Berlusconi.

Io, che sono un moralista di ferro contro me stesso ma abbastanza rassegnato all’amoralità italiana da chiudere un occhio ‘politicamente’ di fronte alle cose stortine come partenza ma fatte bene come risultato, allora stavo contemplando l’idea di prendermi un piccolo appartamento a Milano 2, ma quando ho saputo che Paolo Berlusconi,  ideatore col fratello Silvio di questa bellissima oasi di verde – senza finti cinema né finti teatri né finta socialità né finta vasca da passeggio – era il proprietario del guinzaglio di Vittorio Feltri e della sua fognaria fogliatura, be’, ho cambiato zona, anche se non ho cambiato idea sulla bellezza di Milano 2.

Fateci caso: non c’è scoop scandalistico sul Giornale che, lodevole Affittopoli a parte, non venga smentito l’indomani. Io ho un solo desiderio nei confronti di questa testata: che incameri Fausto Bertinotti al più presto, lo faccia scrivere su pagine di apposita pergamena tonsur-ton e colonne nere lunghe al ginocchio e, come per tutti gli altri che scrivono sul Giornale, ce lo tolga dalle palle per sempre. Perché, una volta che uno scrive lì, chi lo legge più? Uno direbbe: lo legge Vittorio Feltri. Ma no, illusi: lui non ha tempo per leggere ciò che pubblica, sta tuttora scrivendo, lui, il Robinson Crusoe della perduta civiltà del fascismo. Povero Giornale, ma povero anche Il Venerdì. E povera Repubblica. (Prima comunicazione/Febbraio 1996)

Concludo il ritratto del Direttore ricordando l’abisso che raggiunse durante la vicenda del sequestro di Enzo Baldoni, quando, con il compagno di merende Renato Farina (quindi Pio Pompa quindi Nicolò Pollari) dalle prime pagine di Libero, del quale era direttore, rovesciò insulti a profusione su un uomo che stava per essere ucciso. Fu disinformazione o pura violenza rivolta al montante movimento pacifista? Che fastidio aveva procurato Baldoni al SISMI di Pollari per essere definito “pirlacchione”?

Ci piacerebbe avere un’opinione anche da Aldo Busi.

Oreste Grani