Chi è la talpa al Cremlino?

Temo di dire delle cose ovvie e stranote ma io prima di inoltrarmi sul terreno che definiremo ignoto su come andrà a finire la guerra, qualcosa vorrei mettere in chiaro. Il gruppo di potere che comanda a Mosca (Putin ed altri) ritiene che l’attuale Federazione Russa sia solo una parte, per quanto grande, della Grande Russia storica cioè del vero e proprio soggetto storico della politica europea e mondiale. Secondo Vladimir Putin (e questo lo dice in tutte le salse, da anni, pubblicamente per cui dobbiamo ritenere che lo abbia detto, ad esempio, in privato, ai vari Silvio Berlusconi, Paolo Scaroni, Valentino Valentini, Romano Prodi per citare dei nomi italiani) è politicamente e storicamente scorretto e miope scambiare la Federazione Russa con le sue attuali frontiere per ciò che va considerato uno dei tre soggetti della civiltà euroatlantica cioè ciò che un tempo erano i confini dell’URSS o precedentemente  dell’impero zarista. Questo, ad onor del vero, è quanto da anni Putin va dicendo e sorprendersi pertanto di quanto il neo-zar ha messo in moto negli ultimi mesi è a dir poco ipocrita.
Putin sostiene (e se lo so io non capisco come non lo sapesse da anni Silvio Berlusconi) che nel continente europeo la presenza americana (a cominciare dalle basi militari) è una realtà superflua e imposta con la forza: lui pertanto riconosce solo l’Unione Europea lasciando ben fuori la Gran Bretagna in quanto isola e di fatto satellite USA attraverso l’accordo Five Eyes.

Putin, oggi scendo ancora di livello rispetto al mio solito già marginale e ininfluente standard, attribuisce il crollo dell’URSS e il conseguente decennio di anarchia sul suo territorio alla Russia stessa, sebbene ogni tanto faccia intravedere che a tale crollo non siano del tutto estranei alcuni servizi segreti “occidentali”. Questa sua idea (di chi sia la colpa) è alla base del suo “scendere in campo” avendo conservato durante il decennio anarchico e di saccheggio la coscienza della responsabilità di una classe dirigente di incapaci (fino all’ubriacone Boris El’cin) per organizzare la rinascita e la ricostruzione di quanto si era dissolto nel vuoto di potere determinato dal trionfo dell’anarchia.
Putin si mette in testa (lui e alcuni con lui) che non c’era vera scelta: o si moriva fino alla completa scomparsa, oppure rinasci e raggiungi di nuovo i tuoi confini naturali (quelli che tu consideri tali) politicamente, economicamente, religiosamente, geograficamente.

Putin è questo. Cioè l’artefice della rinascita. Putin ha messo mano alla ricostruzione tenendo conto prioritariamente di ciò che era stato distrutto e lo ha fatto partendo da un dato che è certamente il più difficile da accettare che stesse nella zucca del boss: gli USA devono essere allontanati di fatto dalla geopolitica mediterranea ed europea in generale. E per farlo bisognava, con i suoi servizi rinnovati (questo ha pensato Putin), individuare e coltivare migliaia e migliaia di agenti d’influenza (spesso più semplicemente dei corrotti da corrompere e indurli ad un antiamericanismo di fatto, pescati a cominciare dagli ambienti NATO) da scatenare nella lotta.
Sul finire della presidenza El’cin si trovava in una situazione penosa da tanti punti di vista. Da alcuni anni lo Stato addirittura non controllava parte del suo territorio come un esempio noto a tutti la repubblica di Cecenia nel Caucaso del Nord. Da quelle parti, secondo Putin (e mi duole ammetterlo aveva ragione) non c’erano dei ribelli pronti a lottare per l’indipendenza della Cecenia ma banalmente dei criminali che rapivano e schiavizzavano chi capitava loro a tiro.
Come la Cecenia altre fette di territorio si preparavano ad assumere simili comportamenti anarchici e violenti. I dirigenti dello Stato al livello centrale erano disperati non riuscendo nel loro compito di difesa dell’integrità della Russia: in Cecenia in modo assoluto, altrove in termini relativi. A Putin rimaneva di prendere atto che gran parte della popolazione viveva in miseria e nel caos o decidere di tornare ai bei vecchi tempi.
Evitate di interpretare questo riassuntino in una qualche forma di giustificazione dell’operato del dittatore. Dico che Putin ha preso il potere con delle finalità precise e ritenere che si fosse fatto sussurrare cosa fare da gente come Berlusconi e Prodi è stato un errore macroscopico. Dico che le agenzie di Intelligence (parlo di quelle italiane) non potevano non sapere che Putin si era messo a lavorare per eliminare le minacce alla definitiva disgregazione della Russia (a cominciare dalla repressione in Cecenia e rimettendo un po’ d’ordine nello Stato con nuovi accordi con gli oligarchi saccheggiatori) come condizione per tornare all’URSS o come vorrà un giorno chiamarla. 
Questo piano strategico era noto ad uno come il vostro blogger (cioè una nullità o quasi) ed escludo che non fosse conosciuto da Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e ultimo ma non ultimo da Mario Draghi e ai loro rispettivi ministri degli esteri. E ai presidenti della Repubblica da quando Putin è Putin. Così come escludo che nulla sapessero di tale piano strategico (e volontà aggressiva) i direttori dei servizi che si sono alternati a Forte Braschi in quegli anni.


Se viceversa non sapevano cosa voleva fare da grande Putin traetene le conseguenze.
Invece nessuno con responsabilità di governo o nei servizi pare abbia messo in chiaro cosa poteva succedere.
Putin ha sostenuto inoltre, in questi venti anni in cui si è preparato a quanto ha cominciato a mettere in atto, che avrebbe, prima o poi, preteso di tornare ad essere uno dei protagonisti e che lo avrebbe fatto a qualunque costo. L’inferno che ha scatenato in Ucraina dipende da questo disegno strategico e in parte (forse la maggiore) dal fatto che i suoi servizi lo hanno turlupinato facendogli credere che a Kiev erano già pronti ad arrendersi prima ancora di cominciare a combattere. Basterebbe un minimo sforzo di interpretazione semantica dei comunicati dei primi giorni per capire dove e da chi Putin si è sentito tradire.
In Europa quindi da anni facevano tutti ponti d’oro al “cechista”. In USA sotto Trump le cose si erano messe bene per il boss moscovita. Il vecchio Biden ha fatto la differenza. L’Europa ne sarebbe uscita triturata se qualcosa (la resistenza ucraina?) non fosse successo di inaspettato. Un giorno verremo a sapere chi per primo ha capito che Putin era stato indotto al grande errore. O, cosa ancora più intrigante, chi, agente occidentale, ben piazzato tra i suoi fedelissimi, lo aveva tradito. Tenete conto che sono per questa versione. 

Oreste Grani/Leo Rugens 
P.S. Della serie: chi di coltello ferisce, di coltello perisce.