Opzione per i poveri di papa Francesco

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Papa Francesco insegna, all’Europa in crisi, la teologia della povertà, opzione latinoamericana che ha una storia, iniziata dal Terzo Concilio di Lima del 1583.   Tra le decisioni di quella riunione, presieduta dall’arcivescovo San Toribio de Mogrovejo, ebbe grande importanza il progetto di pubblicare il catechismo in tre lingue: castigliano, quechua, aymara, ad opera del padre gesuita José de Acosta. Nel Primo Sinodo di Asuncìon del 1603,   comparve il  catechismo in lingua indigena del francescano padre Luis de Bolanos, che unificò, in lingua guarani, i dialetti dei nativi  dell’alto bacino del fiume Panamà. Nel 1606,  il re di Spagna  Filippo III approvava la politica dei gesuiti di non sottomettere  los guaranìes o indios con le armi, ma con la catechesi.  Ha scritto Jorge Mario Bergoglio in “I gesuiti nella storia dell’America Latina: “(il catechismo guarani) significa dir loro (ai nativi) che vale la pena lasciarsi addomesticare da Dio per essere indomiti e invincibili tra gli uomini.”      L’ordinanza  del re di Spagna venne applicata dal governatorato di Rio de la Plata , il cui territorio comprendeva l’attuale Paraguay, la parte orientale della Bolivia, l’Argentina, l’Uruguay e il sud ovest del Brasile (fino al 1750 questa terra oggi brasiliana fu governata dagli spagnoli e quindi passò ai portoghesi) in cui agirono due politiche in contrasto, quella delle città dei colonialisti e quella della selva o della campagna   in cui si insediò uno stato costituzionalmente gesuita missionario.

I missionari gesuiti del XVI e XVII, secolo dimostrarono l’opzione della chiesa per i reietti, per  i nomadi, per gli uomini nudi, che furono evangelizzati nelle “reducciones”, in villaggi autonomi culturalmente, economicamente,  e militarmente. Nella sua visita in Paraguay, papa Francesco ha  spiegato le reducciones: “In esse, il Vangelo fu anima e vita di comunità in cui non c’era fame, né disoccupazione, né analfabetismo, né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società  più umana è anche possibile.”  Sappiamo che la polis gesuitica-guaranà resistette per circa 160 anni e poi si dissolse con l’abolizione della Compagnia di Gesù nel 1759 in Portogallo, nel 1767 in Spagna , nel 1773 in Europa. I guaranìes, nella seconda metà del Settecento,  divennero forza di lavoro, schiavi o sottoproletari. Tra il 1810 e il 1825, si impose l’indipendenza  del continente australe d’America (con l’eccezione di Cuba e Puerto Rico) dalla Spagna e l’esperienza delle reducciones gesuite  apparve  ai cattolici come la civiltà  della popolazione creola. Per creoli si intendono, fin dal XVII secolo,  gli uomini bianchi nati nel continente colonizzato e non considerati più europei.

 

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Karl Kautsky e Eduard Bernestein videro nelle reducciones la strada al socialismo umanitario.  Hugo Assmann, nel 1971, in “Opresion-liberacion , desafio a los cristianos.”: “La concreta articolazione e realizzazione dei giusti interessi degli oppressi rappresenta la concretizzazione storica dell’amore.” Papa Francesco ha definito le reducciones: “esperimento sociale ed economico quasi utopico” e ha sognato la esistenza di  un umanesimo creolo.  

Il  “concreto cattolico” penetrò nel concilio Vaticano II del 1962-1965 e spezzò la visione del neoscolasticismo attraverso la partecipazione dei gesuiti francesi della Nouvelle theologie e, da Roma, si riversò in America Latina, nella Conferenza di Meddelin della CELAM ( Conferenza Episcopale dell’America Latina e dei Caraibi)  del 1968. Qui nacque l’espressione “opzione per i poveri” come “concreto” della Teologia della Liberazione. “Il concreto cattolico, che risponde all’incarnazione del Verbo, è costitutivo della nostra realtà latinoamericana” scrisse , nel 2001, l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, nella prefazione del libro di Guzman Carriquiry “El  bicentenario de la indipendencia de los paises latinoamericanos.” Insomma, l’invenzione del catechismo guaranì e l’esperienza delle reducciones divenne segno identitario di una chiesa continentale e inizio di un sistema di pensiero  latinoamericano. “L’aspirazione alla salvezza che freme nel cuore dell’uomo ha avuto, per i missionari un contenuto ben preciso: essi hanno risvegliato desideri di battesimo e hanno dato a un popolo identità e senso di appartenenza.”

 

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Guardiamo adesso il rovescio della medaglia. L’America australe venne considerata priva di pensiero, al momento della scoperta. “In fin dei conti, tutta la filosofia ci viene da Platone, da Aristotele, da San Tommaso, da Marx, da Hegel e non da Montezuma , né da Toro Seduto.” (detto dallo scrittore argentino Ernesto Sàbato). Del nativo non rimaneva che un valore “diverso”. L’America colombiana veniva definita “diversa nelle fondamenta” rispetto al vecchio mondo. Alessandro Geraldini, primo vescovo residente di Hispaniola ventisette anni dopo lo sbarco di Colombo, affermò, nel suo “Itinerarium ad regiones sub aequinoctiali” (scritto fra il 1521 e il 1522), il principio della diversità: “Non capisco come , per inspiegabili fenomeni celesti, Dio Onnipotente Massimo abbia fatto sì che in questa povera parte del mondo sia tutto tanto diverso.” Tanto diverso voleva dire tanto debole. Il naturalista George Buffon, esaminando la zoologia del continente americano meridionale la trova differente e più debole di quella del mondo dei  continenti della civiltà classica in Europa, Asia e Africa. In America, non ci sono i leoni, ma i puma, chiamati leoni nel senso debole: non ci sono gli elefanti, ma il più grosso animale è il tapiro brasiliano. Nella zoologia è compreso anche l’indio: “Il selvaggio  americano è debole e piccolo nei suoi organi riproduttivi, non ha pelo né barba e nessun ardore per la sua donna.” La denigrazione del continente che,  secondo Hegel, è “immaturo, impotente, inferiore” (Filosofia della natura) permise il sottoregno dello sfruttamento coloniale di popolazione bianca e creola. Dalla diversità  è derivata la confusione  dell’identità: “Dall’epoca dell’indipendenza, ci ridomandiamo chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Per molto tempo risposta è stata. Siamo natura.” (lo scrittore cileno Ariel Dorfman) “Siamo un polpettone di carni diverse.” (lo scrittore venezuelano Uslar Pierti, che aggiunge) “L’America Latina ha una preoccupazione ontologica molto particolare: la preoccupazione di identificarsi , di sapere chi siamo. … America Latina, Indoamerica o Iberoamerica, nomi che mostrano i nostri dubbi sulla nostra Identità.” Questo processo verso l’identità, dopo il 1980, trova uno sbocco: “Se pensiamo a quello che era l’America Latina venti anni fa, credo che questa coscienza sia molto maggiore oggi e che per di più sta arrivando fino alle masse.” (lo scrittore  colombiano Gabriel Garcia Marquez). Marquez da ragione a Bergoglio: il catechismo è penetrato nel cuore dell’America Latina  e si è trasformato in cosciente identità anche delle masse.

 

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Il caso argentino è particolare nel quadro del territorio del pianeta, in cui l’Argentina è collocata alla fine del mondo. Il popolo argentino era fatto di europei che si moltiplicavano con le donne indigene. Fino al 1750, in Argentina, si parlava guaranì. Le immense terre del Rio de la Plata erano abitate da meno di un milione di abitanti, quando arrivò un’ondata di quattro milioni e mezzo di immigranti europei, a cui seguirono altre masse di persone in cerca di lavoro,  l’Argentina divenne un popolo metà ispano americano e metà italiano (gli oriundi italiani sono circa venti milioni).  Jorge Mario Bergoglio,  figlio di famiglia immigrata si è scoperto guarani penetrando ideologicamente nelle fortezze gesuite del Seicento in cui il Vangelo era diventato struttura della società. Portata a maturità questa posizione, nel complesso spirito del primate della Chiesa Argentina assurge a improvvisa importanza il francescanesimo, tanto da fargli scegliere il nome di Francesco. Alcuni dissero che forse il sommo pontefice  si riferiva a Francesco Saverio, missionario fra i calvinisti , o a Francesco di Sales, missionario gesuita in Asia. Invece. il cardinale argentino fece una scelta italianizzante, durante il conclave,  seduto accanto al cardinale brasiliano Claudio Hummes. “Quando i voti sono saliti a due terzi – racconta Bergoglio – viene l’applauso consueto, perché è stato eletto il papa.  E lui (Hummes) mi abbracciò, mi baciò, e mi disse: <Non dimenticare i poveri>. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. Francesco è l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato … Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri.”. Il cardinale Hummes dichiarò, in una intervista al quotidiano “Folha” che la scelta del nome Francesco è già di per sé stesso una enciclica. Se l’enciclica è contenuta nel nome, la propensione per i poveri non è il pauperismo medioevale. Invece bisognerà riferirsi alla maturità francescana degli “osservanti” nelle città mercantili dell’Umanesimo. I minori francescani si occuparono allora di economia e finanza inventando, poco a poco. una sorta di teologia del denaro (Riccardo da Mediovilla, Matteo d’Acquasparta, Pietro Olivi, Alessandro d’Alessandria, Giovanni Duns Scoto,  Astesanus de Ast, Nicolò da Osimo, Bernardino da Siena). Con il Tractatus de contractibus et usuris” (raccolta delle quaresimali 1436 -1440) Bernardino da Siena completò una dottrina del denaro non più considerato polvere da calpestare a piedi nudi, secondo la “regula non bullata”, ma la pecunia va inquadrata nella positività della proprietà privata, nell’etica del commercio, nella determinazione equa del prezzo delle merci e del lavoro. La teologia di Bernardino teorizza che l’uomo intraprendente è dotato da Dio di quattro qualità: laboriosità, responsabilità, efficienza, disposizione al rischio. Tali qualità sono tipiche dei mercanti e degli artigiani. Ognuno di questi uomini intraprendenti ha diritto di essere ricompensato della sua opera e deve guadagnarci sopra per proseguire il suo negozio. Il capitale non è più maledetto e si può dire che la prima dottrina cristiana del capitalismo venne elaborata dai figli del poverello di Assisi. A Perugia,  nel 1462, su sollecitazione di Padre Michele Carcano da Milano e di padre Barnaba Manassei da Terni venne istituito un “Mons mutationes” cioè un banco di prestito che prestava il danaro un basso tasso di interesse per coprire le spese degli ufficiali addetti e la fluidità della circolazione  della moneta. L’istituzione si chiamò “Monte dei poveri” o “Monte di pietà” e si espanse in Italia e in Europa, travolgendo l’usura e rendendola maledetta. Un altro francescano, Padre Luca Pacioli da Borgo San Sepolcro elencò le “abusioni”,  gli illeciti  e indicò il modo legale  di usare il denaro calcolando che la sua resa andava calcolata “in sudore e spesa “ di chi lo usava. Il capitalismo ha un debito grande con Luca Pacioli, l’inventore della cambiale.

 

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Mi domando, a questo punto, perché mi sono preso la briga di trattare frettolosamente un tema come la teologia della povertà senza essere una esegeta della sacre scritture. Sono stato spinto da nostalgia dell’America Latina, dove ho visto le favelas di Rio de Janeiro e le villas miseria di Buenos Aires, dove ho conosciuto la lotta politica a Santiago del Chile e a San Paul do Brasil e ho frequentato i preti di strada di tante città latino americane: nostalgia della mia giovinezza,  della lingua castigliana e portoghese e degli amici con una cultura   forte, che mi imponeva una meditazione vivace e una paura della vecchiaia europea. Sono spinto dal rifiuto dei giornali che parlano della Chiesa di Francesco misurando l’ampiezza delle stanze degli alti prelati (la grandiosità ancora mi affascina) e trascurano il cammino di un papa che, per primo, deve diventare europeo e, al tempo stesso, deve dimostrare che la cultura latino americana può rivitalizzare la pietra dell’istituzione apostolica (come Michelangelo).  Sono spinto da una rabbia verso coloro che invocano il pauperismo, nel momento che i poveri crescono per la crisi economica attuale. Sono spinto dall’esempio citato dei francescani toscani e umbri  che combatterono l’usura sul capitale, inventando l’antidoto delle banche non speculative e su questa scia della cooperazione dei poveri. Ed ho una impressione: Papa Bergoglio è a un bivio e mi pare di percepire il suo timore e tremore.

Pompeo De Angelis