Virginia Raggi contro Francesco Gaetano Caltagirone: ad armi pari, non sarà un match

SIAMO AL 21 GIUGNO E FELICI PERCHE’ OLTRE 770.000 CITTADINI ROMANI HANNO SCELTO TRA VIRGINIA RAGGI E UN “PUPO” IN MANO A FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE LA PRIMA E COMPIACENDOCI DI QUESTO SUCCESSO CLAMOROSO “CACCIAMO LE CARTE” DI QUANTO IN DATE LONTANE ABBIAMO SCRITTO E SENZA TEMA DI FARCI NEMICI ABBIAMO POSTATO.

OGGI PUBBLICHIAMO NUOVAMENTE, PER LA NOSTRA VANITA’QUEI TESTI. CHE E’ GIA’ COSA DEGNA RISPETTO AD ALTRE FORME DI SERVITU’ AL POTENTE DI TURNO.

A CUI INDIRIZZIAMO UN SONORO PERNACCHIO DI SCHERNO.

ORESTE GRANI.

————————————————————————–l 10 giugno 2015, in questo marginale e ininfluente blog, veniva postato il “ragionamento” composito (che oggi ripubblichiamo) su chi fosse il vero puparo che metteva in scena, nella Roma Capitale del malaffare politico affaristico italiano, la commedia delle parti: una volta una spruzzata di democrazia di sinistra (con annesso piano regolatore funzionale al business speculativo dell’edilizia) e un’altra volta una svolta a destra (con annesso piano regolatore funzionale al business speculativo dell’edilizia). In quei post, articolati e anticipatori, compariva un “ragionamento” da allora mai smentito. Anzi, confermato, giorno dopo giorno, sia dalle cronache giudiziarie in corso di svolgimento che, nelle ultime ore, dall’eclatante presa di posizione politica, culturale, etica di Virginia Raggi, candidata del M5S alla guida della città. Dichiarazioni ora rafforzate da una significativa serie di interviste. Alcune, va sottolineato, fatte da giornalisti che più che il cervello sembrano usare i piedi, infarcite come risultano di banalità indirizzate al gossip più che ai contenuti politici del programma/pensiero della futura sindachessa. Comunque, una cosa è certa: la consorteria che da quando si è laureato in ingegneria Francesco Gaetano Caltagirone ha, passo dopo passo, costruito intorno a se, con una determinazione unica nella nostra Italietta, finalmente trova qualcuno che potrebbe avere statura morale e capacità umane e professionali per affrontarla e ridimensionarla al rango che si merita di Comitatone d’affari in seduta permanente effettiva.

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Gaetano Caltagirone, lo abbiamo scritto prima che la questione ACEA rivelasse come il “Comitato d’affari” sia articolato in una logica pervasiva di ogni aspetto della vita della città, è, da molti anni, tutto meno che un costruttore. E’ stato piuttosto il Capo affaristico indiscusso di Gianni Alemanno, trattato, dal siciliano autoritario, come un qualunque Massimo Caputi. Cioè un puzazzo di Caltagirone. Prima del fascistello rivelatosi amico di ogni sorta di criminale, i democratici Francesco Rutelli e Walter Veltroni venivano trattati con maggiore apparente fair play ma in realtà, anche loro, tenuti al guinzaglio grazie e soprattutto al gioco combinato del Messaggero e del potere finanziario che all’epoca consentiva di definire il costruttore l’uomo più liquido d’Italia. Più di Silvio Berlusconi. Ma, come la vita insegna e come la tradizione popolare suggerisce, il diavolo è abile a fare le pentole ma non i coperchi ed i nostri “imprenditori di successo” (l’odore dei soldi di entrambi dice ben altro) sono diventati molto, molto, molto meno forti, meno liquidi e solvibili a causa della loro cattive frequentazioni senesi. Come un giorno qualcuno, con abilità maggiori delle mie (che sono solo un piccolo, marginale, ininfluente “preveggente”) dimostrerà, i grovigli (comunisti, paramassonici, ecclesiastici, pippatori di cocaina, sodomiti e contradaioli perversi di ogni tipo) che si articolavano intorno a Rocca Salimbeni e alla città del Palio più famoso del Mondo, hanno innescato un cambiamento di direzione delle fortune, sia di uno che dell’altro. Se dovesse vincere la candidata Raggi, partendo dalla Capitale, in poche settimane, con alcuni colpi ben assestati come quelli annunciati, ci sarebbe l’azzeramento dei pupi messi da Francesco Gaetano Caltagirone, da decenni, alla guida di ogni cosa che avesse una “cassa” da saccheggiare o dei posti da usare come merce di scambio elettorale. Se vince il M5S l’effetto domino potrebbe svelare molte fragilità mimetizzate di Gaetano Francesco. Se vince Virginia Raggi, non abbiamo certezza che la putrescenza venga azzerata e che Roma risorga di conseguenza ma la consorteria criminale che ha reso la nostra la peggiore capitale d’Europa, certamente una grandissima strizza al culo la proverà. Strizza che in queste ore comincia già ad agitare le loro viscere. Scomposti asini si sono messi a ragliare (parla perfino Matteo Orfini, lecca suole delle scarpe di chiunque abbia avuto, nel PCI/DS/PD, un paio di scarpe) nel tentativo di non far sentire le parole chiare e di facile interpretazione, pronunciate da Virginia Raggi: non c’è trippa per i gatti. E a tanta morale determinazione si risveglia dalla tomba lo spirito guida di Ernesto Nathan, capendo che, finalmente, l’onta di una comunità ebraica romana sporcata dall’alleanza ambigua tra il nazifascista Gianni Alemanno e Riccardo Pacifici potrebbe essere lavata. Inoltre ci sembra di intravedere una laicità della Raggi nel suo dire e nel suo già aver agito nella bolgia del Consiglio Comunale precedente che, non può, da repubblicani storici, non piacerci. Se vince la Raggi, l’alleanza oggettiva tentata tra Gianni Alemanno, Francesco Gaetano Caltagirone, Riccardo Pacifici, Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Matteo Renzi, Marco Carrai, Gian Carlo Elia Valori e compagnia cantando, passando per Gianni Letta e finendo a Silvietto Nazionale, ha le ore contate. La leadership che intravediamo (a che santo ci dobbiamo votare per non rimanere delusi anche questa volta?)  nella volitiva avvocatessa pentastellata, è essenzialmente laica nel significato più ampio del termine come in Kami Fabbrica di Idee (crogiolo culturale insuperato degli ultimi venti anni) sapemmo un giorno lontano definire.

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Ho sentito il desiderio, in spirito ben augurante per la nostra possibile sindachessa, di andare a recuperare i testi all’epoca messi a punto con il concorso determinante di quella banda di geniacci che avevo selezionato nella sede/cenacolo di Piazza S.Lorenzo in Lucina, prima fra tutti la Emanuela Bambara che altre volte ho nominato, costretto a farlo dalle sue ondivaghe e contraddittorie sollecitazioni e minacce, infastidita per averla voluta proteggere nell’anonimato perché non venisse affiancata, nello spietato web, al sottoscritto “pendaglio da forca”. Ed io a lei, che santa certo non è. Contenta lei contenti tutti. Come altre volte ho scritto, la leadership implica per sua natura un elemento utopico, cioè una prospettiva di cambiamento. Nel caso di Virginia Raggi di questo si tratta e questo auspichiamo, con tutto il nostro “amore” politico, etico, umano e, nel caso della bella candidata, sentimentale. La Raggi, qualcuno tra i suoi avversari più sofisticati, temendola massimamente, la vorrebbe proiettare, in quella che si definisce l’Alternativa del Diavolo, favorendone la vittoria.

Per meglio farmi intendere da quei 12 e mezzo lettori che ancora insistono a seguirmi riporterò un brano da un libro culto di Frederick Forsyte che proprio così si intitola, “L’alternativa del Diavolo”.

Il Presidente degli Stati Uniti lesse il memorandum con un’espressione sempre più inorridita. «Ma è spaventoso – disse, quando ebbe terminato. – Non ho alcuna possibilità di scelta. O piuttosto qualsiasi scelta faccia, degli uomini moriranno».

Adam Munro alzò gli occhi su di lui, senza la benché minima simpatia. A suo tempo aveva imparato come, in linea di principio, gli uomini politici siano ben poco contrari alla perdita di vite umane, purché non risulti pubblicamente che vi è coinvolta la loro responsabilità personale.

«È già accaduto altre volte, signor presidente – disse con fermezza – e senza dubbio accadrà ancora.

Noi, nell’Azienda (CIA), chiamiamo la cosa “l’alternativa del diavolo”».

Oggi ho qualche dubbio sulla capacità di quanti si stanno radunando intorno alla Raggi ad affrontare le complessità lasciate in eredità ma -certamente – saranno sempre meglio di quella gentaccia che fino ad oggi ha governato la Capitale. Sempre e grazie la volontà indirizzante di Francesco Gaetano Caltagirone, più che del sindaco/pupazzo di turno di destra, di sinistra, di centro che fosse.

Oreste Grani/Leo Rugens che, pagato dalla bella Virginia Raggi, vi invita a votarla (chi di voi è romano) senza esitazioni. Qualunque altro voto sarebbe disperso e conferito, di fatto, al teatrino di Francesco Gaetano Caltagirone. Tra i due anche un ipovedente saprebbe scegliere. E non certo  per le fattezze che, come spesso accade, rivelano l’anima.


POSSIBILE CHE IN QUESTA ITALIA NESSUNO SI RICORDI DI CHI ABBIA FORTISSIMAMENTE VOLUTO GIANNI ALEMANNO ALLA GUIDA DELLA CAPITALE?

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Alcuni anni addietro, su un palco antistante il Colosseo (a proposito, chi allestisce questi palchi? Chi ha l’esclusiva degli arredi che costituiscono la parte “papposa” degli avvenimenti pubblici para-culturali che da trent’anni si susseguono a Roma?) si esibì il celeberrimo Paul McCartey.  All’epoca, fortunato me, abitavo a via del Colosseo (non però a casa Scajola) e la mattina presto dell’evento musicale la mia curiosità fu attratta da un gran vociare che proveniva da Largo Corrado Ricci che è lo spazio stradale che raccorda via Cavour con Via dei Fori imperiali. Scendo in strada e assisto ad un vero e proprio assalto fisico da parte di alcuni energumeni, a malapena arginato da decine di vigili in divisa e in borghese, attuato nei confronti di un signore (seppi dopo che era membro del Gabinetto del Sindaco) che, terreo, taceva e non rispondeva agli insulti e alle minacce. Gli assalitori erano autisti/titolari di quei camion/bar che vedete sostare e, con il loro profilo e oscena mostra di merci “carissime”, deturpare i luoghi più belli del mondo: parliamo dei negozi ambulanti della “Famiglia Tredicine”.

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“A ‘nfame, noi t’avemo pagato e famo come cazzo ci pare! Hai capito? Se mettemo dove diciamo noi e l’ordinanza te la metti nel culo tu e er sindaco amico tuo”. E via così. Che i Tredicine facciano il bello e il cattivo tempo è notorio a Roma. Che sia il controllo dei caldarostai e delle castagne vendute a peso oro piuttosto che le bottigliette da lt.0,50 vendute a 2 euro!  Mi sembra che in passato, per questioni di liti legate al loro business, abbiano anche ucciso qulcuno. Dico questo sperando di non sbagliarmi con altre famiglie di violenti organizzati. Certamente la pagina che pubblico è un documento che serve ad interpretare ruoli e complessità di quanto assistiamo in questi giorni nella vicenda della Capitale in balia della criminalità.

Un cellulare squilla in piena notte:” So’ Giordano…Giordano Tredicine. Guarda che ti stanno facendo fuori! Se puoi, fa’ intervenire qualcuno perché ti stanno facendo fuori!”.

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È la notte tra giovedì 13 e venerdì 14 gennaio 2011 e per il mattino seguente è previsto l’annuale incontro degli amministratori capitolini con il Papa.

Ma prima ancora, entro le sette, Gianni Alemanno ha promesso di annunciare la composizione della nuova giunta.

Umberto Croppi e il suo sindaco si sono salutati alle otto di sera.

L’indomani l’assessore rientrerà a lavorare nel suo ufficio di piazza Campitelli, e il suo staff tornerà a timbrare regolarmente.

“Ma chi è? Chi fanno fuori? Chi parla?”.

“Umbe’ sono Giordano Tredicine. Guarda che ti stanno facendo fuori dalla giunta! O fai intervenire qualcuno o ti fanno fuori!”.

In testa alla pagina riprodotta dal libro scritto a quattro mani da Umberto Croppi e Giuliano Compagno si legge una colta citazione: “Dietro ogni cosa c’è più di quello che si mostra all’occhio“. Wystan Hugh Audén.

Preveggente come non mai ex assessore alla cultura, Umberto Croppi.

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Direi che in presenza della sequenza complessa di atti politico-criminali a cui stiamo assistendo, è opportuno  andare a leggere o a rileggere, se lo avete già fatto, Romanzo Comunale della Newton Compton Editori che non lasciava, già anni addietro, spazio a fantasia alcuna.

Non c’erano i dettagli che oggi sono chiari ma il clima “sgrammaticato e affaristico” che Gianni Alemanno aveva consentito (favorito?) a Roma, soprattutto dopo l’estromissione dalla Giunta di Croppi, era tutto già descritto.

Senza cultura e senza etica, il ragazzotto amorale Alemanno, ha consegnato, mani e piedi legati, la città ai criminali.

A prescindere dagli Odevaine (e tutti quelli come lui) che, di destra e di sinistra, sanno poco e che come criminali andranno trattati, quello che da anni, inutilmente, ci chiediamo è perché nessuno, nelle sedi opportune, chiede chi fosse il puparo di Gianni Alemanno e, così facendo, cominciando a capire perché la nostra capitale sia caduta così in basso.

Giordano Tredicine

Nel nostro marginale ed ininfluente blog, abbiamo ricordato i passaggi politico-imprenditorial-culturali che, piazzando al comando della Città Eterna, Gianni Alemanno, hanno consolidato l’inquinamento della cosa pubblica. È ora di non fare sconti a nessuno: l’attuale malaffare, non lo dimentichiamo, vede la sua gestazione durante le giunte di centro-sinistra che hanno preceduto tanta degenerazione di destra.

Certo, ad un certo punto, le cose si aggravano drammaticamente e i nostri marginali ed ininfluenti (anche un po’ grilleschi)  articoletti indicano chiaramente in Gaetano Caltagirone l’uomo che idea e organizza la “svolta Alemanno”.

Pochissime chiacchiere su questo argomento: il costruttore/finanziere va’ considerato, in “concorso morale”, con tutto quanto  il “politico” contaminato (da mille legami delinquenziali) Gianni Alemanno ha consentito in questa nostra meravigliosa città.

Se, giustamente, si è parlato (e condannato a molti anni di carcere) di “cattivi maestri” per il terrorismo, più che giusto che tali condanne (almeno morali!) vengano applicate per l’affarismo delinquenziale. Che solo apparentemente fa danni minori del tritolo o delle gambizzazioni. Cattivi maestri quelli, cattivi maestri, questi!

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Ripeto: chi lo ha voluto e fatto votare quella mezza sega di Gianni Alemanno?

È come se uno dicesse che Mussari, Verdini, Bisi o Piccini non erano determinanti per decidere – chi e come – dovesse fare il sindaco a Siena.

Tant’è vero che anche uno come Franco Ceccuzzi, nella primavera del 2011, venne “democraticamente” eletto.

Invece la stampa fa pippa (alcune testate – come il Messaggero – sono addirittura sue) nell’estrarre doverosamente dalla realtà ciò che c’è ma non si vede perché, evidentemente, ancora il vecchio padrino sicil-romano e la sua capacità di portare rancore, fanno paura.

Francesco-Gaetano-Caltagirone

Oggi, mi tolgo lo sfizio di di farvi l’elenco pedissequo di ogni parola che ho scritto sull’argomento “Gaetano Caltagirone“, sia in versione senese che in quella romana.

A conferma che non ho paura di nessuno.

Capito, stronzetti che continuate a provare a penetrare la mia corrispondenza elettronica privata?

Oreste Grani/Leo Rugens


Il fattore Beethoven. Papa Francesco lascia soli Casini, Azzurra Caltagirone e molti ipocriti al concerto in Aula Paolo VI.

Gaetano Caltagirone, Oreste Grani e il Monte dei Paschi di Siena

Dopo le “Terre di Mezzo” (Mafia a Roma) si passa a “Ricconia” e spunta il primo nome di rilievo (si fa per dire) del mondo imprenditoriale romano: “Antonio Pulcini”

Dall’autore del “Il Termitaio. I signori degli appalti che guidano l’Italia”, Alberto Statera, mi aspettavo di più


DOPO L’OSSO CARTILAGINOSO DELLA “COOP 29 GIUGNO”, DI QUESTO BRODO VORREMMO ASSAGGIARE IL “LESSO”. PRIMA DI QUANDO IL SOLE SI LEVERÀ AL TRAMONTO

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Da ore mi chiedo: chi sarà, tra i 139 sotto inchiesta per i “global service fraudolenti” ed altro, il “Mario Chiesa” della situazione? Ci deve essere necessariamente previsto, infatti, nella ipotesi investigativa, un “Mario Chiesa” capace di portare la magistratura inquirente, fino ad una vera cupola degna di tale nome e dell’appellativo di “mafiosa”. Ad oggi, tutti gli inquisiti al livello politico o di criminalità comune, sono dei signori chiacchieratissimi, da anni. Tutta gente che la vox populi descriveva avidi e, al tempo stesso sempre presenti nell’amministrazione pubblica in posizioni tali per cui non potevi non “mantenerli” se volevi lavorare a Roma. Se uno ha letto, non dico tutto “Leo Rugens” (cioè 1850 articoli), ma solo alcuni post, sa che sono, e non da oggi, nemico giurato di questo ceto politico di parassiti onnivori. Al tempo stesso, ho difficoltà a circoscrivere, a soli 139 criminali, la feccia che ha reso Roma la più impresentabile capitale del Mondo, dotata (si fa per dire) della più brutta, più sporca, più inefficiente metropolitana fra quelle esistenti sempre nel Mondo di cui sopra. Marte escluso perché ancora non ci siamo potuti “scendere” per cui non sappiamo se le sue metro sono meglio di quella B romana. La città con le più orride pavimentazioni stradali (sempre bucate, sempre in manutenzione), la città con il sistema di raccolta dei rifiuti più arretrata del mondo, si merita un proseguo di inchiesta. Da dopo la morte (sul lavoro!) del Sindaco Petroselli, Roma è stata condannata a stare nelle mani di un sistema partitocratico delinquenziale senza paragoni, con nessun altra capitale del mondo. Lo dico e lo ripeto anche se sembra iperbolica l’affermazione. Parlo ovviamente di quei paesi che si continuano a definire civili. Dalla morte, prematura e sul campo del lavoro, del sindaco Petroselli, insediatosi il “Sistema Sbardella” (quello sì in rapporto stretto con la mafia siciliana tramite i politici Andreotti, Gioia e Lima), il Campidoglio ha visto galleggiare sempre le stesse “feci”, male odoranti e putrescenti, perché il “cancro” partitocratico malavitoso potesse spadroneggiare nei più diversi modi. Dopo una certa data, a difesa della criminalità e della politica, non ci sono stati più, i vari prof. Aldo Semerari ma, in ottavo/sedicesimo, gli equivalenti. Gente ritracciabile un po’ tra chi non ci si aspetterebbe e un po’ tra le forze del “disordine”. Come potrebbe dimostrarsi essere vero, nei giorni a venire. Non credo che la situazione di spolpamento e di inefficienza della nostra città, sia circoscrivibile, quindi, alla semplice ricaduta sul terreno degli appalti e del denaro illecitamente fatto girare, da una realtà imprenditoriale (la Coop 29 giugno) che, alla fine, secondo i numeri ufficiali, fattura meno di settanta milioni l’anno.

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La “29 giugno” difficilmente potrà risultare, da sola, il cardine della cannibalizzazione del denaro pubblico passato per i cinque sindaci che hanno preceduto l’onesto Antonio Marino: Giubilo, Carraro, Rutelli, Veltroni, Alemanno. Il deficit di Roma Capitale, nonostante  i mille rimbocchi che in questi anni gli sono stati fatti, dovrebbe ammontare (di soldi che mancano realmente in cassa) a più di tredicimila milioni di euro. La cifra mi sembra fuori misura per gli spazzini e i tagliatori d’erba della “29 giugno”. Ultimamente avranno sicuramente (con la complicità degli xenofobi e dei razzisti), aumentato i loro incassi illeciti, speculando sul problema degli emigranti e dei profughi, ma non posso e non voglio credere che i miliardi che mancano all’appello, siano stati spesi per pagare, mille euro al mese, mille spazzini e manutentori. Il loro Presidente, per sua ammissione “intercettata”, ne prendeva 4.000! Un po’ pochi per svuotare la “cisterna romana”. Certo, Buzzi, ne dava molti di soldi (più che a se stesso) agli avidi concussori intorno a lui, ma sempre di briciole si tratta. Non vuol dire, nel modo più assoluto e categorico, che non andava fermato con l’arresto. Dico solo che andrebbero indagate le cinque amministrazioni che precedono l’onesto Marino! Dico solo che a forza di far riempire buche stradali con la piccola manutenzione bituminosa (così mi si dice è avvenuto il saccheggio maggiore) qualcuno ha svuotato il forziere. Centinaia di milioni l’anno solo per tappare le buche. La natura mi ha protetto ed io, anziano, ho ancora, sani, tutti i miei denti. Mi manca solo un incisivo anteriore perso “grazie” ad una buca romana che mi aspettava proditoriamente in piena Piazza Venezia, nel cuore della città. Tengo a precisare che non avevo alcuna simpatia per Marino, tanto è vero che ho votato per il candidato del M5S, ma sarebbe un grave errore attribuire al medico/politico alcuna responsabilità se non quella (positiva) di aver onestamente dato una mano alla magistratura, rimuovendo, con anticipo, i criminali interratisi nelle municipalizzate. Sciogliere d’imperio il Consiglio Comunale di Roma per “mafia”, attribuendo questa connotazione all’operato solo dei 139 in oggetto, mi sembrerebbe riduttivo e spianatore di quella strada (per rimanere in tema di buche e appalti cicciosi) che serva, alla fine, solo a togliersi dai coglioni l’onesto Marino.  Mi sembra che, viceversa, se l’inchiesta si spingesse indietro fino a quegli anni ruggenti, di cui parlavo sopra, allora sì che i cittadini comincerebbero a capire chi si è pappata la torta. Altrimenti dovremmo credere che quattro dirigenti di una cooperativa minore, già pluripregiudicati (fino all’omicidio di servitori dello Stato) ma redentisi e voluti bene, anni addietro, da uomini e donne d’ordine e di scienza giuridica quale sono e furono, certamente, Franco De Cataldo, Severino Santiapichi, Rosario Priore, Simonetta Matone, Nicolò Amato, Francesco Cossiga tenevano in scacco, mafiosamente, la Capitale!?!?!?

Bisognerebbe mettere i cittadini (prima di farli votare nuovamente) nella condizione di sapere come il sistema partitocratico che non volle il Generale Franco Angioni alla guida della Città (con il senno del poi forse, qualche volta, qualcuno, potrebbe spendere una parola sulle occasioni mancate per non far succedere ciò che ancora succede) si sia pappato anche il fondo del barile. Sarebbe troppo facile, grazie a questo “terremoto” giudiziario, fare fuori Marino e piazzare al suo posto il ridanciano Marchini di turno o chi altro amico dei costruttori che risiedono a Roma. Carminati è altra cosa, come poi, in altro post, vedremo. Gennaro Mokbel lo diciamo, da anni, chi sia e quale essere la sua pericolosità. Così come, da anni, testimoniamo e denunciamo, con i nostri post, il connubio tra Alemanno e Mancini. Che Alemanno fosse sodale di nazisti (come Carminati e Mokbel e Mancini), solo Riccardo Pacifici della Comunità ebraica romana, non lo sapeva. Se la Procura vuole cogliere l’opportunità investigativa che gli viene fornita da questa “retata”, deve cercare pazientemente alcuni possibili “Mario Chiesa” presenti tra i 139 pesci incriminati in questa operazione. Ora può farlo. Così facendo, finalmente, potremo sapere chi sono i capi mafia a Roma e fino a chi, a due passi da Palazzo Chigi, con Galleria “Albero Sordi”, ha fatto i soldi. Certamente molti, molti di più dei 4.000 euro al mese come il colpevole Salvatore Buzzi, sua sponte, intercettato, dichiara. Ritengo, comunque, che quei pochi attenti lettori che hanno ancora la pazienza di leggermi, in attesa di avere un po’ di nomi di pecore nere, mele marce delle Forze dell’ordine che si prestavano (per soldi e favori) a informare/proteggere il “capo della Mafia”, Massimo Carminati, si meritino ben altre riflessioni di quelle che oggi gli riserva il Messaggero, quotidiano – per antonomasia – della Capitale. Quotidiano, per antonomasia, di Francesco Gaetano Caltagirone.

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Per capire come siamo potuti arrivare a tanto, con diligenza, si devono ripercorrere almeno gli ultimi vent’anni di storia della Capitale. Più ci penso, più ritengo che venti anni siano pochi. Prima di Carminati/Buzzi, si sono dedicati al saccheggio e al taglieggio dei denari della collettività ben altre cupole e ben altri appetiti. Ben altre termiti hanno mangiato Roma e danneggiato il suo nome.

Con questo non voglio dire che un criminale come Massimo Carminati non dovesse essere arrestato. Al contrario. Doveva essere fatto prima.

Veniamo al cuore del post odierno che è particolarmente oneroso per chi scrive e per chi eventualmente lo dovesse leggere. Volutamente  lo trovate corredato da delle immagini evocative di un “cantiere” (quello relativo alla traslazione e all’erezione dell’obelisco oggi presente al centro di Piazza S.Pietro) tra i più significativi che Roma papalina abbia visto e a cui sono particolarmente affezionato avendo avuto, in altri momenti della mia lunga e tormentata esistenza, gli originali di queste tavole. Vendute, ovviamente.

Su chi sia stato a saccheggiare Roma, le mie opinioni coincidono totalmente con quelle di Alberto Statera che, negli stessi giorni in cui cominciava l’indagine paziente dei Ros (2009) che ha portato agli arresti di queste ore, già scriveva il capitolo su come stesse annegando il modello Roma preceduto dai tre lustri “seduttivi” di Rutelli e Veltroni, tra palazzinari, cinema e circoli sul Tevere.

La “Santa Bibbia” (Il Termitaio, i signori degli appalti che governano l’Italia. Rizzoli – giugno 2009), come altre volte ho detto, andrebbe letto tutto, più volte ma, in modo particolare, senza conoscere le pagine 159/182 del volume, rimarrà difficile immaginare che il problema della Capitale siano le multe non pagate (ma in realtà, subito pagate) dall’onesto sindaco Marino e le attività dei “mafiosi”  Buzzi/Carminati, associati con altri. Che, ovviamente, andavano arrestati.

Andiamo indietro, quindi, nel tempo, accompagnati dalla prosa pungente e puntuale (Statera non è stato mai smentito in questa analisi spietata e di facile lettura) pronti, in queste ore, ad accogliere le buone novelle degli arresti effettuati tra “i colleghi mele marce”. Tutto fa brodo, come si diceva – saggiamente – un tempo ma, ora, che ci avete fatto ingolosire, vogliamo il “lesso” e non solo l’osso di ginocchio. “Articolazione cartilaginosa”, come ad oggi ci appare essere, la 29 giugno.

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Continua…

Queste sono le prime sette pagine di quelle che pubblicherò nei prossimi post dedicati alla Cupola Mafiosa (!) a Roma.

Vi basta? Ora cortesemente, vorremmo sapere, in particolare modo dai giornalisti delle maggiori testate romane, se siete pronti ad investigare questa altra di “cupola”. Continuando, comunque a rallegrarci e complimentarci con chi ha effettuato l’indagine dei 139 + altri, in arrivo. Molti altri ma, sempre insufficienti se non si proverà a pescare i pesci grossi.   

Dice il Premier Matteo Renzi a chi (un autorevole giornalista di lungo corso quale Enrico Mentana) gli faceva notare che qualche imbarazzo per il Governo le foto che accostano ministri della sua squadra agli arrestati che si trattava “di foto scattate ad una cena”. Noi, da ieri, abbiamo pubblicato una foto che ritrae Salvatore Buzzi e il ministro del lavoro Giuliano Poletti non a cena ma al lavoro in una manifestazione pubblica. La foto da noi pubblicata voleva evocare un tasso di frequentazione che e di familiarità “politica e culturale” tra il Presidente della 29 Giugno e il signor Ministro. Non rimuovendo il dettaglio che il Buzzi è in realta capo di una struttura di cui mostriamo un grafico che a sua volta è organico al sistema della Lega delle Cooperative ed in particolare della macroscopica realtà denominata CNS-Consorzio Nazionale Servizi.

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Se uno volesse guardare  (ed io lo fatto sin dal lontano 2002!) fin dove arriva a prestare i propri servizi il CNS capirebbe perché nel nostro martoriato paese il concetto di sicurezza tende a zero: non c’è una sola struttura, tra quelle che dovrebbero essere considerate sensibili (caserme, ospedali, aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, metropolitane) che non fosse “pulita” o “servita” dalle donne e gli uomini reclutati e selezionati dal mondo del CNS. Passo dopo passo arriveremo a dirvi dove, secondo noi, si annidano i pericoli, non solo mafiosi.

Oreste Grani/Leo Rugens


E ALLA FINE QUALCUNO (OLTRE A NOI) IL NOME DI FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE L’HA PRONUNCIATO

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Da anni aspettavo che qualcuno, oltre questo marginale e ininfluente blog, facesse il nome che finalmente l’imputato Luca Odevaine (e poi dicono che la carcerazione preventiva, in questi casi, non serva!) ha fatto: dietro ad Alemanno, c’è Francesco Gaetano Caltagirone il quale ora minaccia querele ad Odevaine stesso e a chiunque amplifichi le sue dichiarazioni.

Da alcuni anni che scriviamo che il puparo che ha voluto il cambio da centro sinistra a centro destra, in una ipocrita alternanza di colorazione politica, era Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore/finanziere armato e difeso da tutti i suoi soldi e dal giornale più letto nella Capitale ma, in quanto ininfluente blogghino, nessuno ci ha dato retta e non ci siamo beccati alcuna denuncia. Ora siamo prontissimi ad amplificare ogni affermazione che sarà fatta davanti ai giudici che dovesse riguardare “le mani sulla città” che non possono che essere che quelle dei famelici storici palazzinari. Non credo che troverete nessun cittadino organizzato nel M5S. Siamo determinati quindi a non smentire nulla e a pagarne le eventuali conseguenze. Punto e a capo.

Ora si può procedere, fino a ragionare di mafia o di non mafia. Se questo nome non fosse risuonato – da subito – nell’aula del Tribunale, ci saremmo trovati di fronte ad una strana messa in scena dove Alemanno era il pensiero e Odevaine, Buzzi ed altri, l’azione.  Alemanno, come spero sia chiaro al mondo intero, difficilmente sa dove e come allacciarsi le scarpe da solo (non può andare in giro a meno che non indossi i mocassini o l’infradito) e questo ce lo conferma Umberto Croppi, in tutte le salse, nel libro che gli ha voluto/dovuto dedicare quando è stato tradito dal cretinetti Alemanno e quando l’ex assessore alla cultura ha cominciato a capire come sarebbe andata a finire l’avventura del sindaco ormai solo e in balia delle “cattive compagnie”. Dobbiamo quindi, per avere chiaro come e perché le degenerazioni criminali siano cresciute in modo esponenziale proprio durante l’amministrazione del ragazzotto amico di Riccardo Mancini, Maurizio Flammini (non vi dimenticate mai la farneticazione della Formula Uno all’EUR!), porci il problema di chi, in quegli anni, custodisse i custodi. Se non lo avete capito ve lo ribadiamo: noi, non solo abbiamo fatto il tifo, da quando si è insediato a Roma, per il signor Procuratore generale Pignatone ma riteniamo la sua decisione di contingentare il tempo del maxi processo, un colpo di genio che eviterà uno sbrodagliamento dei passi salienti del processo fino a delle ipotetiche “calende greche” perché si arrivi alla sentenza di 1°grado.  “Calende greche”, loro per prime, nemiche della verità.

Dicevamo quindi che Francesco Gaetano Caltagirone, abituato a fare il bello e il cattivo tempo a Roma e in mezza Italia, al solo sentire fare il suo onorato nome in un quadro maleodorante come il processo “Mafia Capitale”, minaccia sfracelli giudiziari: querele a go-go a chiunque lo infanghi. Il finanziere un tempo anche  costruttore, dimentica che ormai il vaso di Pandora è rotto e che, sia pur con le difficoltà del caso, le responsabilità politiche, affaristico-morali del degrado di questa nostra amata Roma non può essere che non vengano attribuite al vero re di Roma che non era certamente il bravissimo calciatore ma ingenuotto, Francesco Totti.

Oreste Grani/Leo Rugens che si consola con l’aglietto (come si dice a Roma bella nostra) del poter dire che noi, il nome di Francesco Caltagirone, lo avevamo fatto molto prima di Odevaine

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1 thoughts on “Virginia Raggi contro Francesco Gaetano Caltagirone: ad armi pari, non sarà un match

  1. ilrisvegliodeldragone in ha detto:

    L’ha ribloggato su Leo Rugens.

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